Coronavirus e azzardo. Fiasco: “Nel ritorno all’essenziale per molti c’è stata una ‘remissione’ della dipendenza”

Nella fase 2 dell’emergenza da Covid-19 non sono state ancora previste le attività riguardanti il settore dell’azzardo. Se, da un lato, questo è guardato con sollievo dalle associazioni impegnate sul campo a curare le “ferite” provocate dall’azzardo nei giocatori e nelle loro famiglie, dall’altro, già le lobby delle concessionarie e i lavoratori del settore stanno premendo per un riavvio delle attività, lamentando grosse perdite sul fronte degli introiti e dei posti di lavoro. Con il sociologo Maurizio Fiasco, presidente di Alea e consulente della Consulta nazionale antiusura, riflettiamo su come il coronavirus abbia influito sul mondo che ruota intorno all’azzardo.

L’ultimo Dpcm firmato finora dal premier Conte prevede che l’attività di sale giochi, sale scommesse e sale bingo resti al momento sospesa: è un risultato importante?

Si è trattato di un provvedimento di buon senso, ma che era tutt’altro che scontato quanto alla tempestiva adozione. Diciamo un precedente che lascia ben sperare, anche perché il direttore dei Monopoli, Marcello Minenna, pochi giorni dopo ha risposto seccamente alle pressioni sconcertanti di alcuni concessionari. In spregio alle misure per contrastare la pandemia, stavano per riaccendere le macchine del gioco per denaro.

C’è stata una mobilitazione delle associazioni per chiedere che il settore dell’azzardo non sia considerato essenziale nella fase di ripresa delle attività: cosa si può auspicare adesso, visto che le lobby dell’azzardo stanno premendo per ripartire al più presto?

L’argomentazione più forte, in particolare delle associazioni che s’impegnano concretamente nell’assistenza ai giocatori e alle loro famiglie, ha riguardato la continuità da garantire alle cure. Riaprire le 270mila porte d’accesso all’azzardo sarebbe stato un pessimo messaggio, proprio quando i servizi terapeutici si muovono tra mille difficoltà e a ranghi ridotti. Poi, elevare il gioco d’azzardo ad attività “essenziale” sarebbe grottesco.

C’è chi pone il problema di chi lavora nel settore e per il mancato introito da parte dello Stato…

A fine anno 2020 risulterà un volume di consumo di azzardo pari a quello registrato nel 2010: circa 61,5 miliardi di euro. Quella cifra sembrò spaventosa anche allora, ma poi si è pervenuti a un “saldo” di 110 miliardi e mezzo alla vigilia dell’anno della pandemia. Il bello è che il ricavato netto per lo Stato non si è discostato di molto da quello di inizio decennio! L’incremento iscritto a bilancio è risultato di appena 900 milioni di euro. Come dire: più si gioca e meno incassa lo Stato (in percentuale).

Calcoli alla mano, più che dai giochi d’azzardo le entrate fiscali e tributarie si sono ridotte per il blocco di gran parte delle attività economiche e dunque per il taglio enorme al prodotto interno lordo. Il crollo dei consumi per beni durevoli e dei servizi, compresi quelli alla persona, ha comportato una corrispondente caduta del gettito Iva, di quello delle accise e molto altro ancora. Ma adesso, con la ripartenza si calcola che sarà disponibile uno stock di almeno 30 miliardi di euro per consumi che le famiglie non hanno potuto effettuare per la serrata del commercio.Il dilemma è netto: saranno spesi in direzione dell’offerta di beni e servizi dell’economia reale o saranno dirottati verso consumi “senza valore d’uso”, come quelli di giochi d’azzardo?

In che modo sono cambiati i comportamenti di gioco nella popolazione in questo periodo di emergenza?

Sulla “propensione al gioco d’azzardo” della popolazione, la realtà effettuale ci ha fornito risposte che mai sarebbero state ottenute “in laboratorio” o con il pensiero deduttivo. Con la forzata permanenza in casa, milioni di giocatori abitudinari hanno conosciuto la “remissione del sintomo”. La malattia, insomma, non si è fatta sentire, pur non essendo documentata la vera guarigione. Diciamolo subito: se con la riapertura delle sale da gioco e da scommessa tutto riprenderà come prima, sarebbe un disastro. Le “ricadute” nella patologia peggiorano la dipendenza e dunque il rischio per la salute. I tossicodipendenti, che hanno smesso di assumere droga per mesi e poi riprendono a consumarla, corrono pericoli drammatici. E così avviene anche per l’overdose da gioco d’azzardo dopo mesi di astinenza. Questo sul piano clinico. Se però guardiamo alla condizione esistenziale, la sofferenza per il lockdown ha fatto emergere risorse insospettate in tante persone.Il sentire collettivo, nel continuo alternarsi di paura e di attese, combinate con il silenzio, nel rallentare dei movimenti, nel divenire sfocato delle incombenze, dunque di preoccupazioni “secondarie”, ha reso trascurabile anche la spinta a scommettere soldi.Del resto, il blocco delle attività economiche e sociali dovuto alla pandemia ha offerto un’occasione importante per tutta la medicina delle dipendenze per tirare fuori le persone da un circolo di sofferenza. Il fattore terapeutico è stato costituito da lentezza e quantità di tempo a disposizione. La ridotta socialità è motivo di sofferenza da un lato, ma dall’altro offre una spinta di autocoscienza, collegata alla solitudine.

Le limitazioni imposte in maniera quasi esclusiva al gioco fisico hanno spostato l’attenzione dei giocatori verso il gioco d’azzardo on line?

Il monitoraggio dell’agenzia statale documenta sia il taglio del gioco d’azzardo praticato “con i piedi sul pavimento” sia di quello “virtuale” e on line.Per effetto di “simpatia” anche la raccolta di denaro via web ha risentito dell’astinenza di parecchie persone “compulsive”. Non potevano varcare le soglie dei locali, ma non per questo hanno compensato ricorrendo al terminale “da remoto”, cioè a un computer o a uno smartphone. La gran parte dei giocatori “abitudinari”, dopo la chiusura delle agenzie, hanno smesso di puntare su eventi sportivi, sebbene potessero via internet, versando su “conti di gioco” on line. La maggior parte non lo ha fatto.

La voglia di giocare d‘azzardo ha influito sugli spostamenti personali, per quel che le risulta?

Anche le porte d’accesso al gioco clandestino erano chiuse. E i giocatori “problematici”, riferiscono i clinici, non si sono riversati nelle bische in nero. Sia per i controlli sia, ancor più, per il ritorno a un equilibrio esistenziale. La reciprocità nella paura collettiva e le notizie sulla mutualità che gli italiani manifestavano in misura insospettabile, pur nelle costrizioni e nelle paure di queste settimane, si offrono quali ulteriori ingredienti per rinforzare l’opera del terapeuta. Nel ritorno all’essenziale, molti si sono distanziati socialmente dalla patologia dell’azzardo.

Oggi il dramma della pandemia si aggiunge all’emergenza dell’azzardo che la Consulta antiusura e le associazioni denunciano da anni…

Con l’avvento improvviso e drammatico della crisi economica indotta dal blocco delle attività – resosi necessario per fronteggiare l’epidemia di Covid-19 – l’esposizione al rischio di gioco d’azzardo, capillarmente diffuso, può comportare nuovi effetti di esclusione sociale di portata incalcolabile e comunque molto drammatici. Se già ben prima dell’emergenza conclamata del coronavirus la diffusione del gioco d’azzardo si poneva qual matrice di esclusione sociale, oggi, nel dramma collettivo dell’economia in recessione, della perdita imponente di posti di lavoro tutta la congerie di scommesse, lotterie, casinò virtuali, sale per slot machine assume la consistenza di una diga enorme contro la ripartenza dell’Italia.