Coronavirus e scuola. Savagnone: “Se i docenti saranno intelligenti non sarà una maturità di serie B”

L’esame di maturità è sempre un momento molto atteso e temuto dagli studenti e, una volta superato, resta indimenticabile nella memoria. Eppure, quest’anno ciò sarà ancora più vero per l’emergenza legata al Coronavirus. Nel decreto legge 22 dell’8 aprile sono ipotizzati due scenari: se i ragazzi potranno rientrare a scuola entro il 18 maggio, ci sarà un esame con commissione interna. La prima prova di italiano sarà preparata dal Ministero; la seconda, quella diversa per ciascun indirizzo, sarà predisposta dalle commissioni, poi ci sarà l’orale. Se non si rientra a scuola, come ha ipotizzato come più probabile anche la ministra all’Istruzione Lucia Azzolina in una recente intervista, è previsto il solo colloquio orale. Resta ferma la necessità di raggiungere almeno il punteggio di 60/100 per ottenere il diploma. Di questi inediti esami di maturità parliamo con Giuseppe Savagnone, responsabile di Tuttavia.eu, il sito della Pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo.

Che maturità sarà quella del 2020?

Innanzitutto, bisogna decidere se la maturità in queste condizioni ha un senso: molti dicono di no, ma non sono d’accordo. Sono ancora convinto che la maturità rappresenti un rito di passaggio importante per segnare il transito a una fase diversa dall’adolescenza. Nell’attuale emergenza la didattica a distanza ha mostrato grandi pregi e limiti. Io che ho insegnato 41 anni nei licei conosco l’importanza del rapporto diretto con lo studente, che viene interpellato, sollecitato, stimolato dai professori. Questo non si può sostituire nel rapporto puramente virtuale, che, tra l’altro, crea delle grandissime differenze di fruizione nei destinatari. Mentre a scuola si è tutti insieme nelle stesse condizioni, a casa ci possono essere ambienti umani molto problematici, con adulti che parlano, fratellini che piangono, scarsità o mancanza di computer o smartphone per seguire le lezioni. La maturità di quest’anno deve essere, per forza, diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta perché i ragazzi non sono stati messi tutti nella stessa condizione di partenza, a causa della pandemia. E come ci sono ragazzi svegli, intelligenti, dinamici, desiderosi di imparare, che non hanno risentito di questo periodo di educazione a distanza, ce ne sono molti altri per i quali invece la situazione ha pesato.

Sarà più che mai importante, allora, il ruolo dei docenti?

Le disuguaglianze che la pandemia ha causato dovranno essere considerate con molta attenzione in occasione della maturità.

I docenti con intelligenza dovranno valutare le prove,

basandosi non su un’uguaglianza quantitativa, ma su una valutazione che comprenda anche la situazione in cui si sono trovati gli studenti. Questo compito è facilitato dal fatto che ci saranno commissioni interne e solo il presidente sarà esterno. I professori conoscono le famiglie e sono in grado di capire dove ci sono casi di deprivazione e fragilità. Direi che, per il 2020, l’esame sarà una prova non solo della maturità dei ragazzi, ma anche di quella degli esaminatori. Un professore che crede di poter livellare tutto con una giustizia puramente commutativa sarebbe disastroso. In questo caso si deve applicare la giustizia distributiva, considerando la fatica che è stata necessaria allo studente per raggiungere quel determinato risultato.

Perciò, non sarà una maturità di serie B?

Dipenderà dai professori. La serie B è negli atteggiamenti. Ho partecipato a tante commissioni di maturità. I docenti dovrebbero essere consapevoli che la loro missione è aiutare i ragazzi a prendere coscienza del loro valore e dei loro limiti, favorendo la loro crescita in questo passaggio verso l’età adulta. Ho visto ragazzi distrutti dall’esame di maturità con commissioni che non avevano questa consapevolezza. C’è un esame di serie B quando la commissione gioca tutto su una stanca routine, in cui il ragazzo non viene quasi guardato. Quest’anno il compito è reso più facile, come dicevo prima, dalla commissione interna, che può basarsi anche sui risultati del primo quadrimestre svolto in presenza.

Che ragazzi usciranno dalla maturità di quest’anno?

Ci sono studenti che sono stati capaci di valorizzare il periodo di isolamento leggendo, studiando più approfonditamente, riflettendo, stabilendo rapporti migliori con la famiglia. Ma ci sono altri che hanno considerato questo come un tempo di prolungata vacanza. Oltre la maturità, anche il Coronavirus ha messo tutti in una condizione di esame, giovani e adulti. Da questa prova ci sono alcuni che escono rafforzati perché l’hanno vissuta come opportunità per riconsiderare la propria vita, con la fine di certi attivismi e dispersioni, e come occasione di crescita e di maggiore consapevolezza e attenzione alla vita: ad esempio,

conosco studenti universitari che si sono messi ai fornelli per cucinare pietanze per i senza dimora;

poi, ci sono altri che invece hanno vissuto questi giorni con rabbia e frustrazione. Il discorso, ripeto, vale per i giovani come per gli adulti.

Non potendo prevedere l’andamento dell’epidemia dopo che si allenteranno le misure restrittive, che scuola ci dobbiamo aspettare dopo l’estate?

Temo che il Coronavirus, più che a una tegola che ci è caduta addosso, si possa paragonare a un parassita di cui è difficile liberarsi. Ed è un nemico insidioso che, probabilmente, condizionerà anche il prossimo anno scolastico. Le misure di distanziamento sociale sono problematiche per la scuola: gli studenti si accalcano non solo in aula, ma anche all’ingresso, per le scale. È la vita della scuola che è di massa. Si possono ipotizzare doppi turni, la frequenza a giorni alterni. Certo,

continuare solo con la didattica a distanza è molto pericoloso, anzi direi rovinoso,

per le differenti condizioni in cui si trovano i ragazzi, basti pensare alle difficoltà di connessione che si registrano al Sud, mentre la scuola tradizionale crea uguaglianza. Con la formazione a distanza rischiamo di perdere una percentuale importante della popolazione giovanile.