Coronavirus. Il direttore dell’Ispi dialoga con i giovani e fa una panoramica sugli scenari della crisi. “Mi aspetto un coordinamento europeo”

Un’ora intensa di botta e risposta online. Ieri, sul canale Instagram, il direttore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) Paolo Magri, ha accolto l’invito dei giovani che danno vita al think tank Orizzonti politici, in gran parte studenti dell’università “Bocconi”, a dialogare su quanto sta incidendo il Coronavirus nel mondo. Sono stati in media tra i 120 e i 130 i collegamenti da tutta Italia.

“La Cina ha tanto da farsi perdonare – ha esordito l’esperto – per il ritardo con cui ha comunicato la pandemia in atto. Un ritardo anche grave. Minore rispetto a quello che si verificò per la Sars. Comunque anche noi in Europa e in Italia abbiamo avuto i nostri ritardi. Non sono di certo state copertura. Vivere il durante a volte non è semplice”.

“Il Fondo monetario internazionale dice che la Cina soffre, ma meno di noi e del resto del mondo – ha aggiunto l’ospite -. E pare che dal 2021 possa già tornare con un Pil in attivo. Se la crisi sarà a v, cioè caduta e rapida risalita, il contraccolpo non sarà complicato. Se invece sarà a u, cioè alla caduta potrebbe seguire una fase di lunga recessione, allora sarà difficile per un grande paese come la Cina giustificare la rinuncia alle libertà senza avere un tornaconto in termini di benessere diffuso”.

“Il presidente Trump – ha proseguito il direttore dell’Ispi – da tre anni si scontra con la Cina, anche perché il grande Stato asiatico va in giro per il mondo a comprarsi pezzi di altri paesi. Gli interventi in aiuto, come quelli che avvengono anche in queste settimane, non sono mai per solo fine umanitario. Sono sempre strumenti politici, di propaganda, come lo fu il piano Marshall dopo la Seconda guerra mondiale. Ora, l’opinione pubblica italiana è grata alla Cina per gli aiuti che ci invia, quindi influisce su di noi. D’altronde, chiedetevi, come mai la cooperazione allo sviluppo fa parte del ministero degli esteri?”.

Il crollo economico attuale può incidere sui populismi? “Con l’attuale pandemia – ha risposto Magri – siamo di fronte a una crisi sanitaria, economica, finanziaria che può trasformarsi anche in sociale e politica. In Europa, prima del Coronavirus, i populismi avevano grande vigore. Ora è difficile che vengano meno, anche se dei cambiamenti sono probabili. Il consenso per i leader tra crescendo ovunque, anche in Italia, come sempre accade nei casi di guerra, quando si sospendono tutte le polemiche interne e ci si concentra e ci si coagula contro il comune nemico. Al termine della crisi questo consenso si squaglierà come neve al sole, perché il lockdown finirà. E ci sarà pure una nuova Norimberga”.

Negli Usa come sta andando? “Il presidente Trump era fiero di poter dire che con lui Wall street – ha proseguito nelle risposte il relatore – era ai massimi storici e che l’economia spingeva forte, con la piena occupazione. Ora la borsa americana è in caduta libera, in poche settimane i disoccupati sono diventati 26 milioni, la recessione sarà lunga e il debito pubblico è esploso. La prossima campagna elettorale sarà tutta un’altra cosa rispetto alla precedente. Trump sta spostando il tiro, ecco perché se la prende con l’Oms. Sul Coronavirus ha sempre sostenuto che era una bufala, poco più di un’influenza. Ha sempre riservato maggiore alla crisi economica. In una parola, si è sempre schierato con la pancia della gente, come quando all’inizio del suo mandato disse a chi era di fronte a lui, con tutto lo staff seduto dietro: da oggi voi governerete questo Paese”.

Il taglio ai fondi per l’Oms riveste una grande valenza politica – ha fatto notare Magri – anche se lo stesso organismo dispone di poco potere. L’Oms ha colpe nell’attuale crisi. Nel caso di Ebola fu Medici senza frontiere a lanciare l’allarme. L’Onu ha cercato di bloccare alcune guerre, vista l’emergenza sanitaria, ma l’Iran è ancora sotto sanzioni e i dazi Usa sono ancora attivi anche sulle apparecchiature mediche cinesi di cui peraltro gli States avrebbero bisogno”.

E la crisi petrolifera, con il prezzo del greggio negativo? “Alcuni Paesi che dipendono quasi totalmente dal petrolio e per i quali è costoso estrarlo, penso ad alcuni Stati arabi e anche al Venezuela che hanno impianti ormai obsoleti, andranno in default con questi prezzi. Altri Paesi come Norvegia, Russia e Usa potranno sostenere livelli così bassi di prezzo e supereranno la crisi attuale. Poi ci sono altre aree di crisi, come ad esempio il Brasile dove il presidente Jair Bolsonaro imita gli atteggiamenti di Trump. Lì siamo in presenza di un’economia informale fortissima: se uno non esce di casa non mangia. Non si può tenere la gente ritirata”.

E l’Europa invece? “Vive una frattura insanabile tra nord e sud, già presente prima della crisi dovuta al Covid. Iniziò con la crisi della Grecia. Queste mesi l’hanno resa ancora più plastica. Comunque mi pare che ora l’Europa si stia muovendo con tempi meno europei del solito. Certo, i soldi non arriveranno domani, ma neppure troppo in là. Le parole della Merkel di venerdì sono rivoluzionarie”.

Si può parlare ancora di fratellanza europea? “Fra italiani al massimo – risponde il direttore –  ma poi neanche tra noi, visti i divieti che sarebbero pronti a imporre i vari governatori delle diverse regioni. Non parlerei neanche di solidarietà europea. Caso mai di coordinamento europeo. Di sforzi congiunti. Fratellanza e solidarietà sono categorie etiche che tra Paesi non tengono”.

Assisteremo a un ritorno del protezionismo? “Se si blocca la Cina, come abbiamo visto, ci blocchiamo anche noi qui in Italia e in Europa. E questo è un problema reale. Da noi non produciamo le mascherine. Allora, ci diciamo, le dobbiamo produrre in Italia, un assurdo. Si ritorna all’autarchia, come quando dopo il 1929 tornarono a galla tutti gli ismi e con essi l’autarchia. Ci saranno grandi cambiamenti nel prossimo futuro, come i fondi per green deal che prenderanno la strada del Coronavirus. Per il tema-clima servono tante risorse, ma prima è importante sopravvivere, poi viene il resto. Per il prossimo futuro auspico empatia tra gli Stati, ma mi accontenterei di accordo e di consapevolezza. Solo quando i Paesi sperimentano le conseguenze atroci dell’andare ognun per sé, è lì che scoprono lo spirito solidaristico. Uno spirito che di norma dura poco, ma che speriamo di ritrovare senza dover arrivare al fondo del barile”.