Cesena
Coronavirus. Il racconto della 24enne Diletta Piraccini: drammatico rientro dal Centroamerica
Il rientro a San Carlo di Cesena è stato una vera e propria odissea per Diletta Piraccini. La barista ha dovuto superare numerosi ostacoli per poter tornare in Italia dal Messico, insieme al proprio fidanzato Cristian Rosca residente a Venezia.
I due sono partiti lo scorso 24 ottobre, zaino in spalla, per intraprendere una lunga esperienza nel centro e sud America che sarebbe dovuta terminare il 3 maggio. “La prima parte del viaggio in Cile, Bolivia, Perù, Ecuador e Colombia è passata senza problemi tra spostamenti coi mezzi pubblici e autostop – racconta la cesenate – abbiamo documentato tutto sul nostro profilo Instagram ‘inviaggioconcris’. I guai sono sorti quando siamo arrivati a Cuba il 2 marzo con volo da Bogotà. Dopo sette giorni trascorsi in diverse località dell’isola, mentre in Europa il Coronavirus si stava diffondendo, abbiamo chiesto informazioni a tal riguardo alla gente del luogo e alla polizia. Tutti ci hanno rassicurato dicendo di non tornare a casa in quanto le alte temperature di Cuba fossero letali per il virus”.
I primi tre casi positivi al Covid-19 sull’isola sono stati registrati l’11 marzo nella cittadina di Trinidad, appartenenti a turisti di nazionalità italiana. “Tutto è cambiato il 18 marzo, quando è deceduto uno dei tre contagiati, un 61enne lombardo. Dopo due giorni, il presidente Miguel Diaz Canel ha lanciato un ultimatum per gli stranieri sull’isola: noi turisti avremmo avuto 48 ore di tempo per lasciare la nazione”. Per andare a fondo alla situazione, la coppia italiana si è rivolta alla polizia locale e all’ufficio immigrazione di Varadero ma “nessuno ha saputo darci spiegazioni ulteriori, fino a che, tramite un’agenzia viaggi, siamo riusciti a contattare l’ambasciata italiana a Cuba”. Il verdetto è stato che “non avremmo dovuto lasciare il paese. Ci siamo sentiti augurare un ‘buon proseguimento di vacanza’”.
L’unica alternativa per tornare subito in Italia era rappresentata da “un volo Alitalia diretto a Roma, ma la cifra di 5000 euro a persona per il biglietto ci ha fatto desistere”. La 24enne e il 23enne si sono diretti a L’Avana nella mattinata di domenica 22 marzo in bus, “qui abbiamo trovato l’ambasciata italiana chiusa mentre abbiamo scoperto che quella francese era aperta per aiutare i rispettivi concittadini. Questo fatto ci ha abbattuto non poco”. La situazione si è fatta disperata perché “per uscire da Cuba i voli erano pochi e alcuni di essi cancellati. Abbiamo pensato di anticipare il trasferimento in Messico, fino a quel momento meno toccato dal punto di vista di restrizioni dettate per contenere il Coronavirus”. Una mossa non facile da attuare perché non essendo cittadini messicani la prenotazione sarebbe stato negata, ma “insistendo per cinque ore e pagando una penale di 80€ a testa, siamo riusciti ad imbarcarci per Cancun. Sono stati giorni difficili”.
La situazione trasporti era tutta in salita anche in Messico perché “di domenica sera i voli per l’Europa erano quasi tutti cancellati. Nel contempo, a casa in Italia, mia sorella e mia madre hanno contattato il sindaco di Cesena Enzo Lattuca che, appresa la situazione, ci ha fornito un contatto diretto con la Farnesina”. La svolta positiva è avvenuta tramite “una ragazza dell’ambasciata a Roma che ci ha fornito supporto costante, giorno e notte. Ci è stato detto che una volta raccolto un numero sufficiente di cittadini italiani, le autorità avrebbero organizzato un volo di emergenza con destinazione Milano per il rimpatrio”.
La situazione si è definitivamente sbloccata martedì scorso alle 21 locali quando “ci hanno avvisato di un volo Neos in programma il 25 marzo. Abbiamo passato tutta la notte nel tentare di acquistare due biglietti ma le carte di credito non funzionavano e nemmeno quelle dei nostri genitori in Italia. Così l’indomani abbiamo comprato in contanti i posti sull’aereo del rientro in un’agenzia viaggi locale”. La tratta di ritorno è scattata alle 9 del mattino da Cancun con arrivo diretto all’aeroporto di Malpensa all’una di notte del 26 marzo.
“Mettere piede in Italia ha cancellato definitivamente ogni nostra paura, ma abbiamo passato giorni infernali. E’ stata una lotta continua per quattro giorni, tra pianti, senza dormire e con molta paura in corpo. Altri paesi erano molto più organizzati per quanto riguarda la logistica dei rimpatri, noi ci siamo sentiti umiliati. Ora che racconto la storia seduta sul divano di casa sono più tranquilla – conclude – ma non è stata una bella esperienza”.