Covid-19: morti oltre 80 salesiani. Il rettore maggiore: “Tanti nostri giovani sono stati eroici nel portare aiuto ai poveri”

“Abbiamo cercato con ogni mezzo di invitare i ragazzi e i giovani ad essere anzitutto molto responsabili e a seguire, in quanto cittadini, le indicazioni delle autorità civili e sanitarie di ogni Paese. In questo senso, abbiamo fornito, soprattutto ai ragazzi delle nostre opere, utili indicazioni pedagogico-educative e didattiche. Quando i ragazzi capiscono sono più attenti spesso di noi adulti”. Parla don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore dei Salesiani, sul momento vissuto dai confratelli alle prese con la pandemia nei quattro angoli del mondo

 “È mancata un’azione preventiva. Ma chi avrebbe pensato a una tragedia di queste dimensioni? Non dobbiamo dimenticare che questa malattia, che tutte le nazioni hanno dovuto affrontare, era sconosciuta. A poco a poco, abbiamo imparato a conoscerla e a prevenirla un po’. Ma gli sforzi fatti non sono andati tutti e sempre a buon fine. Basta guardare a questa seconda ondata che ha raggiunto quasi tutti i Paesi, dove il virus ha colpito ancor più duramente. La politica sanitaria dovrà rivedere i propri protocolli di sicurezza, facendo tesoro di questa lezione per il futuro”. Don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore dei Salesiani di Don Bosco, racconta l’impegno degli oltre 14mila confratelli sparsi nel mondo per fronteggiare la pandemia. E rivela un dato allarmante: più di 80 salesiani morti a causa del Covid-19.

I salesiani sono presenti in più di 130 Paesi del mondo. Come state portando avanti la missione in questo tempo?

Sono stati mesi difficili e, nei 134 Paesi del mondo dove siamo presenti, abbiamo cercato di dare una risposta secondo i contesti specifici di ciascun luogo e continente. Per prima cosa abbiamo voluto mettere in pratica il motto salesiano “onesti cittadini”, che è stata anche la regola di vita adottata da Don Bosco nell’educazione dei ragazzi. In altre parole, abbiamo cercato con ogni mezzo di invitare i ragazzi e i giovani ad essere anzitutto molto responsabili e a seguire, in quanto cittadini, le indicazioni delle autorità civili e sanitarie di ogni Paese. In questo senso, abbiamo fornito, soprattutto ai ragazzi delle nostre opere, utili indicazioni pedagogico-educative e didattiche. Quando i ragazzi capiscono sono più attenti spesso di noi adulti.

Non avete avuto paura di restare tra la gente?

Non ci siamo rinchiusi all’interno delle nostre case ma abbiamo formato, con l’aiuto di giovani volontari, gruppi di aiuto e condivisione. Credo di poter dire che questo è avvenuto in tutto il “mondo salesiano”. Fin dal primo momento abbiamo indetto una campagna mondiale salesiana di aiuto ai più colpiti: abbiamo potuto raggiungere oltre 63 nazioni mediante l’invio di aiuti economici offerti da tante persone buone e generose che sono al nostro fianco ogni giorno, a volte anche senza che ce ne rendessimo conto. È purtroppo tristemente risaputo che la pandemia ha fatto non soltanto vittime, ma ha anche impoverito chi non aveva un reddito adeguato. Così abbiamo aiutato con viveri e con altre risorse anche le famiglie di tanti nostri allievi. Dappertutto, poi, c’è sempre stata la collaborazione con la Caritas locale, con le istituzioni e le Ong di tante parti del mondo. Devo anche segnalare l’eroicità di tanti nostri giovani che nelle grandi città hanno distribuito aiuti per le strade ai senza tetto e a persone di ogni tipo, alle famiglie più povere.

Quanti religiosi sono morti a causa del contagio?

Purtroppo abbiamo perso almeno una ottantina di confratelli. All’inizio si pensava che la pandemia interessasse soltanto gli anziani, ma ci siamo resi presto conto che il Covid colpisce tutti. E purtroppo ritengo che queste morti non siano ancora finite. È uno degli aspetti del grande dolore causato dalla pandemia: quello di tanti morti in tante famiglie, di tanti bambini che hanno perso i loro genitori senza poterli salutare con dignità; di tanti fratelli e sorelle nelle nostre comunità religiose e di tanti sacerdoti nelle diocesi. Questa è ed è stata la realtà. Cerchiamo di viverla con fede e speranza.

In che modo avete ripensato la didattica nelle scuole?

Ad onor del vero già molte delle nostre scuole, specialmente quelle superiori, erano predisposte agli insegnamenti a distanza e quindi è stato in qualche modo “semplice” il passaggio dall’insegnamento di presenza alla distanza. Il problema si è posto per i ragazzi più poveri senza famiglia e senza tecnologie. Anche qui siamo venuti incontro donando tablet e creando punti di video-ascolti. Tutto questo è stato possibile con l’aiuto spesso di famiglie che già pagano una retta. Purtroppo la scuola paritaria non può reggersi soltanto sulle famiglie e sui gestori. Noi abbiamo circa 6mila scuole di ogni ordine e grado nelle quali si fa un ingente lavoro educativo. Non si capisce perché questo lavoro in Italia e in altri pochi Paesi non possa avere dagli Stati anche un riconoscimento economico-finanziario. In molti altri esiste, in quanto è considerato un servizio pubblico, anche se svolto da un’istituzione privata. Sappiamo bene che in Italia questo tema è praticamente “eterno” e non è mai esente dal condizionamento delle ideologie del momento.