Valle Savio
Da Mercato Saraceno a Ciola, Ranchio, Linaro e ritorno. La collina rimane ferita
Valle del Savio atto terzo. Dopo l’esperienza di venerdì 19 maggio a Sarsina e di sabato 20 a Mercato Saraceno, oggi siamo tornati a Mercato Saraceno dove è iniziato il nostro terzo viaggio. Il panorama è del tutto cambiato. Il sole è alto, il caldo si fa sentire e alla fine ci siamo mangiati tanta polvere che ci è entrata nel naso e ha ricoperto auto e abiti.
Mi accompagna ancora Alessandro Pari, uno che questi posti della collina nell’Appennino cesenate li conosce come casa sua. Non solo li sa girare lungo strade e sentieri, ma li porta nel cuore, li ama, li valorizza, li sa apprezzare per quello che possono offrire. Qui ha deciso di abitare con la sua famiglia, anche se non disdegna interessi sul vicino mare Adriatico. Quel mare che, nelle giornate più terse, da quassù si vede all’orizzonte.
“È passata poco più di una settimana – dice mentre ci inerpichiamo con il suo 4×4 su queste strade a tratti diventate poco più di piste – ma sembra trascorso un mese. In queste pochi giorni siamo diventati di nuovo tutti amici. Prima ci si vedeva una volta ogni tanto. Adesso ci confrontiamo tutti i giorni. È cresciuto il senso della comunità”, con la calamità che è arrivata tra questi calanchi.
Risaliamo la strada di Ciola. Le frane fanno sempre paura e la strada è chiusa al traffico (foto), ma il lavoro realizzato in breve tempo è tantissimo.
Sulla carreggiata non è rimasto più nulla. In gran parte i guasti sono sistemati, in maniera provvisoria, come ci tiene a precisare il vicesindaco di Mercato Saraceno, Raffaele Giovannini. Anche lui si ferma a pranzo da Luca e Morena, dell’azienda agricola Fabbretti. (foto)
Qui è ancora allestito un punto di rifornimento aiuti, anche se le necessità sono diminuite molto. Pari ha pensato di organizzare un pranzo insieme per ringraziare quanti si sono adoperati, e sono stati tanti, per lunghe ore ogni giorno al fine di riaprire una viabilità provvisoria, ma pur sempre utilizzabile. C’è anche Giovanni Torri della Igt, con i suoi uomini.
La pasta al forno è stata fornita da Guglielmo del ristorante Ponte Giorgi. La salsiccia è di Tozzi, il formaggio dei padroni di casa che in questi giorni di isolamento non hanno potuto conferire il latte alla Centrale di Cesena di cui sono soci. Forse da domani, attraverso la via Falconara, salendo da Monte Iottone, un camion potrebbe arrivare in azienda e portare a Cesena per la lavorazione i 50-60 litri che le 35 mucche nella stalla producono ogni due giorni. Nel frattempo i Fabbretti hanno realizzato formaggi, fra cui il Raviggiolo qui molto noto.
A tavola si gustano anche i piselli e la marmellata che, dice Pari che la produce, è da assaporare con il pane, qui tipico e buonissimo, quasi toscano, e il formaggio. Si mangia e si parla di quello che qui è accaduto, un cataclisma, un terremoto, un evento straordinario. Ormai non ci sono più definizioni capaci di fare comprendere quanto si è verificato in pochissime ore, in queste colline che stanno tutte tra i 200 e i 500 metri di quota.
La figlia di Ezio Fabbretti, Morena, mi indica una strada tra i campi, in direzione delle Capanne (foto).
È del tutto franata, “e non sappiamo cosa c’è dopo la prima frana – dice la signora -. Noi là abbiamo fieno e grano e la legna, già tagliata da andare a prendere. Quel podere sarebbe da custodire, da sistemare, ma non sappiamo come arrivarci”.
“Abbiamo liberato la via Falconara per arrivare fin qui – dice il vicesindaco -. È già qualcosa. E abbiamo dato respiro qui a Monte Sasso, a Ciola e alla Musella. L’apertura della strada che conduce a Ciola e poi giù fino al Linaro, nella valle del Borello, dipende dalla Provincia. Stiamo lavorando per riaprila”.
La viabilità ripristinata, precisa Giovannini, è provvisoria. Per i mezzi di soccorso e per chi è autorizzato. “Il territorio si è scoperto molto fragile. Occorre sinergia tra pubblico e privato per la regimazione delle acque. Mercato Saraceno si estende su 100 chilometri quadrati, in tre valli: quelle dei fiumi Savio, Borello e Uso”.
Riprendiamo l’auto. Andiamo fino alla pieve di Monte Sorbo. La volta scorsa avevamo trovato i Vigili del fuoco del Lazio intenti a ripristinare la viabilità devastata da due smottamenti enormi. (foto)
La strada è riaperta e la famiglia Chiarini non è più isolata. Arriviamo fino alla pieve ed è sempre uno spettacolo.
Davanti alla famiglia Petrini il manto stradale è stato ripianato con la ghiaia, ma rimane sempre molto avvallato. (foto)
A Ciola, di fianco al ristorante “Allegria”, imbocchiamo la strada per il monte di San Vicinio, la Musella. Anche Pari la percorre per la prima volta. Dopo aver svalicato, la strada appare migliore. Ce lo diciamo e ne siamo contenti. Pochi secondi dopo incontriamo due voragini che hanno costretti quanti qui lavorano a realizzare dei bypass (foto).
La strada non esiste più. Un tecnico del Consorzio confida che occorrerebbe dare subito incarichi ad aziende locali, capaci e abituate a lavorare su questi terreni. “In caso contrario – aggiunge – qui ci vorranno anni a sistemare tutto quello che è venuto giù”.
Sbuchiamo sul passo del Finocchio, sulla provinciale 128, e ci dirigiamo in discesa verso Ranchio. Questo tragitto è molto amato dai ciclisti. La salita da Ranchio è dolce, mai dura. Oggi la strada è irriconoscibile. In diversi punti non esiste più, travolta dalla montagna venuta a valle. Sembra ci sia stato un bombardamento. Non si contano le deviazioni e gli smottamenti. (foto)
Sbucati a Ranchio, verso destra in direzione di Linaro la viabilità è interdetta. Noi proseguiamo lo stesso.
Dopo i quattro tornanti che fanno scendere verso Linaro e Nuvoleto, si apre davanti a noi una montagna venuta giù. Lo squarcio è spaventoso: 180 metri di fronte per 80 di altezza. “Si tratta di 55 mila metri cubi di terra, ghiaia e alberi caduti a terra”, precisa Ombretta Farneti, titolare del Mulino d’Ortano ed esponente dell’opposizione in consiglio comunale a Mercato Saraceno. (foto)
“Qua a me quell’ondata di fango e smottamenti ha distrutto tutto – dice la Farneti che poi ci conduce a vedere i guasti causati da un rivolo d’acqua che quella notte del 17 maggio si è trasformato in un uragano -. Sentivo i rumori della montagna che cadeva, qui davanti a noi. Ho cercato per diverse ore e i primi giorni di dire che qua era un disastro, ma non si vedeva nessuno. Ho chiesto anche l’intervento dell’esercito. Per arrivare a Linaro, mio marito e io ci siamo aperti un varco grazie a una motosega nelle 12 frane del primo momento”. Poi mostra video impressionanti che ha fatto girare anche sui social. “Uno – dice – è diventato virale, con oltre 50 mila visualizzazioni su Youtube”. (foto)
I campi della Farneti sono devastati dal fango. I suoi 800 ciliegi non daranno frutto. Lei non si perde d’animo, ma ricorda ancora bene quei momenti drammatici. “Eravamo senza luce, acqua e gas e spesso qua i telefoni non prendono. Chiamavo in Comune e dicevo: fate qualcosa, qua viene giù il mondo. Non c’è più la strada. Per fortuna alcune aziende locali hanno lavorato senza autorizzazione. In Provincia, dove sono anche consigliera, mi hanno detto: fate quello che potete”.
Il pensiero della Farneti va anche ai dieci dipendenti che lavorano con lei. Non sarà semplice riprendere a lavorare. “Sentire la montagna che veniva giù – confida – mi ha fatto piangere. Qua siamo rimasti in pochi. Il rischio è che se ne vadano anche quelli”.
Riprendiamo la strada per Linaro. Le frane sono immense. Le fogne sono interrotte, ma ovunque si lavora in maniera intensa, non senza pericoli. Al bivio per Ciola, dove eravamo arrivati sabato 20, il panorama oggi è diverso. La strada è aperta per i mezzi di soccorso e in molti punti l’asfalto si presenta a sbalzo. Le voragini e gli squarci spesso sono impressionanti. (foto)
Ovunque ci sono uomini e mezzi al lavoro. (foto)
I progressi in pochi giorni sono tanti enormi e sono evidenti. Rimane altrettanto evidente che occorrerà molto tempo per tornare a una viabilità normale, alla vita di prima.
Nel video le immagini dei luoghi visitati