Danni da animali selvatici. Le proteste degli agricoltori

Contro il dilagare degli animali selvatici, come i cinghiali, occorre favorire anche a Forlì-Cesena il principio dell’autodifesa, così come sta già avvenendo in altre parti d’Italia, fra cui Rimini. È uno dei concetti emersi qualche sera fa durante un incontro a Linaro (Mercato Saraceno), presso l’agriturismo Il Molino D’Ortano, al quale ha partecipato una delegazione in rappresentanza degli agricoltori dell’Appennino.

“Occorre essere autorizzati a livello regionale e provinciale – ha esordito Ombretta Farneti che conduce un’ampia azienda agricola a Linaro – per poter difendere in autonomia i propri raccolti ed è indispensabile avere tutti i requisiti. Ma, una volta ottenuto il via libera, l’agricoltore può difendere i propri confini dai danni ad esempio dei cinghiali. Poche sere fa, fra il grano ormai pronto per essere mietuto, è passato un branco di quasi 30 esemplari. Lascio immaginare cosa può essere rimasto dopo il loro passaggio (cfr. foto)”.

La preoccupazione che sta attanagliando diversi agricoltori è quello di vedersi costretti ad abbandonare il territorio, con tutte le conseguenze che si avrebbero, localmente e a valle, a causa di mancanza di regimazione delle acque e mantenimento dei suoli. “Purtroppo nessuno valorizza il nostro lavoro – ha detto Loris Mengozzi che ha oltre 100 ettari in zona – mentre noi siamo i custodi del territorio. Qua in collina e prima montagna è difficile lavorare, abbiamo più spese e rese minori, mancano tanti servizi, ma nessuno si preoccupa. La Pac favorisce la pianura. I piani di sviluppo spesso sono ostacolati dalla burocrazia. Se continua così, fra 15 anni qua a Linaro e zone limitrofe non ci saranno più agricoltori, ma solo cinghiali”.

Primo Bagni, allevatore con sede aziendale a Luzzena (Cesena), ha ricordato che a causa delle buche che i cinghiali scavano il rischio di un incidente con il trattore è sempre dietro l’angolo. “La densità dei cinghiali è troppo elevata. O noi o loro, non c’è più alternativa”.

Domenico Bonetti, che coltiva oltre 70 ettari di seminativo, è stato perentorio: “Da sei anni a questa parte la situazione è andata sempre peggiorando. La pressione dei cinghiali è così forte che ottenere produzioni di qualità è sempre più difficile. E le rese in campo precipitano”.