Dall'Italia
Di Maolo (Istituto Serafico): “dal Covid in dono una capacità di amare e di accompagnare l’altro mai sperimentata prima”
La celebrazione della XXIX Giornata mondiale del malato “diventa momento propizio per riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono e le curano, non solo nei luoghi come il Serafico, ma anche nelle famiglie dei pazienti e degli operatori”. Lo si legge in una nota dell’Istituto, che ha sede ad Assisi.
Per l’emergenza Covid al Serafico, operatori e sanitari hanno assunto un ruolo chiave per i ragazzi disabili ospiti e le loro famiglie: “Tantissime sono le storie che potremmo citare, dalle caratteristiche molto simili, per la drammaticità e l’intensità dell’esperienza vissuta. Dal momento in cui abbiamo appreso i primi risultati di positività, lo scopo di ogni nostra giornata è stato quello di curare i ragazzi, di sconfiggere questo male invisibile e di proteggerli. Le vite di molti di noi sono cambiate, mettendo da parte le nostre famiglie e i nostri affetti, anche allontanandoci da loro, per dedicarci anima e corpo alle fragili vite che ci sono state affidate”, dichiara la presidente Francesca Di Maolo.
Che spiega: “Quando ci siamo trovati a combattere il virus all’interno del Serafico, ci siamo ritrovati immersi in un dolore vasto e allo stesso tempo intimo, ‘innocente’ e puro. Tuttavia, siamo riusciti a condividere i nostri stati d’animo e le nostre emozioni ed è stato chiaro che anche nel dolore la vita è in grado di ritessere la sua trama con il filo della speranza e ci ha lasciato in dono una capacità di amare e di accompagnare l’altro che personalmente non avevo mai sperimentato prima”.
La presidente ricorda come sia stato “scioccante vedere con quanta aggressività il virus colpisce le vite più fragili. Quando abbiamo perso uno dei nostri ragazzi, Antonio, che era stato abbandonato alla nascita dalla famiglia e nel tempo era diventato il figlio di tutti noi, è stato un grande trauma. Queste esperienze non solo ci ricordano la fragilità umana in tutte le sue molteplici forme, ma confermano che nel rapporto del prendersi cura non sperimentiamo solo un rapporto professionale, ma un’autentica relazione, dove ogni giorno rinnoviamo la nostra capacità di amare, di accogliere e di affidarci all’altro”.