Domenica prossima la festa a Tornàno (Mercato Saraceno)

Domenica 2 agosto ricorre la tradizionale festa parrocchiale di Tornano, grazioso e antichissimo borghetto di 20 abitanti collocato nel Montefeltro Romagnolo, ma in Diocesi di Cesena–Sarsina più volte nei secoli, e in modo definitivo dal 1977. Tornano, come Serra e i paesi vicini, si rianimano nel mese di agosto quando gli ex abitanti, che hanno conservato o ricomprato le abitazioni, vi tornano per le vacanze estive.

Alle 17 sarà celebrata la Messa all’aperto, vicino alla chiesa, dal parroco don Maurizio Macini. Seguirà la processione in direzione del cimitero, dove si trova una piccola celletta mariana all’interno del giardino mariano che verrà inaugurato, opera di Tonino Carigi, dove si trova la celletta e altre opere create con sassi policromi. Esse si trovano infisse nelle rovine della vecchia rocca e raffigurano lo stemma dei Malatesta, la penisola italiana, una fontana decorata e altre originali creazioni. Sono stati rivalutati quest’anno antichi sentieri e camminamenti, grazie al lavoro dei parrocchiani stessi. Lucio Brigadeci ha acquistato la graziosa canonica in sasso (distaccata dalla chiesa) e altre costruzioni adiacenti, dando alla struttura il nome di “Ca’ della Verena”: un luogo dove la gente possa evadere dalla città, andare a rilassarsi, trovando accoglienza in onore di Verena, moglie defunta del signor Lucio. Per quelli che desiderano trasformare una vacanza in condivisione con altri, e anche persone che hanno bisogno di assistenza e riabilitazione, un luogo di inclusione dove le famiglie possono condividere le esperienze con altre famiglie per sentirsi a casa. (notizie più dettagliate si possono trovare in: www.cadellaverena.it).

Quindi, seppur in tempo di Covid, sarà una festa molto importante…

LA STORIA

Ma… proviamo a raccontare qualcosa su Tornano, questo borgo affascinante.

Dove si respira aria di storia, di antico, di mistero. Un borgo che ancora vive. Seppur un puntino nell’universo, quando sei a Tornàno sei al centro del mondo. Quasi ti sembra di dominare il mondo, da quell’altura panoramica che spazia a 360 gradi. Arriva al cuore una pace data dal luogo, forse dalla protezione di queste casupole in pietra nelle quali scorre l’unica strada centrale, che termina con la chiesa parrocchiale. Lo sguardo corre alle vallate circostanti e si estende, come dicevo, lontano fino al mare. Qui percepisci che, prima di te, il luogo ha vissuto. Già in età romana la gente aveva scelto di abitare a Tornano.

Poi è arrivato l’esodo: dentro le vuote case o ai ruderi sono rimasti imprigionate gioie, amori, fatiche, drammi della vita. Questa gente che si è trasferita andando a cercare fortuna in una vita nuova, diversa, ha mantenuto in genere un forte attaccamento alla proprie radici. Da Tornano i più si sono trasferiti giù nel riminese, qualcuno anche a Cesena. Sebbene sia del comune di Mercato Saraceno, la parlata e la mentalità risultano far parte della Valle dell’Uso, come estrema propaggine. Il luogo, posto sul rilievo collinare che emerge dalla roccia sottostante, è ben visibile anche da lontano per lo strapiombo della rupe a per alcuni aspetti rotondeggianti. E il nome deriva proprio da questa immagine: Torno, Torni, Tornium equivalente a collina toneggiante. Deriva anche tornio, utensile ben noto a tutti. Nei documenti, appare per la prima volta il nome “Tornano” alla fine del XIII secolo, quando nella “Ratione Decimarum” è detta “Plebs Tornani”. Della Pieve di Sant’Ilario, invece, si parla nella bolla di Papa Onorio del 1125, dove è menzionata come “S. Hilari”.

L’importantissima corte di Tornano, citata anche nella Divina Commedia, noi la ritroviamo in quelle casupole del borgo, ubicate sul quello splendido sperone roccioso, e ne coprono da secoli il cucuzzolo. Se quel piccolo torrente, che nasce dal monte Aquilone di Perticara nei pressi della chiesa di Piè di Monte, e scorre alle falde del borgo di Serra, con le sue acque chiare, fresche, scintillanti ai raggi del sole, ridire a noi le vicende del passato, chissà quale lunga lista di eventi verrebbe alla luce! Il fiumiciattolo che scorre sotto la rupe a strapiombo di Tornano si immette, come affluente, nel fiume Uso poco sopra Pietra dell’Uso.

Vorrei tanto che le foschie del passato ci dicessero quando sia sorto il fortilizio di Tornano. Credo si possa affermare che è sorto attorno all’ottocento. Ma il tempo tutto spazza, e talvolta restano solo rovine senza ricordi. Ma non è il caso di Tornano: qualcosa qui è rimasto… una piccola comunità, guidata ora da un sacerdote piuttosto giovane e innamorato del luogo e della popolazione.

Adagiato su un giogo dell’Appennino, è contornato di prati verdeggianti, da seminati ricchi di messi, allietato da viti e piante da frutto, contornato da querceti; da faggi, da aceri e pioppi; che vede al suo fianco elevarsi, quale gigante, il monte Aquilone che non minaccia, ma è baluardo. In quel periodo era necessità che ciascun feudatario avesse il proprio castello, circondato di mura dal grosso spessore, con all’interno abitazioni e un oratorio, come luogo difeso dalle scorrerie e dagli assalti nemici.

Gli imperatori di Oriente, rappresentati dagli esarchi di Ravenna fino al 755, avevano estese le loro insegne su questi territori. Al dominio dell’esarcato succede la Santa Sede, e tale si riscontra dopo il 953. Ciò è documentato da cause, recate davanti al tribunale dell’arcivescovo di Ravenna, denominato Filippo, riguardanti alcuni diritti del vescovado Feretrano sopra determinati castelli tra cui Tornano. Ai tempi di Dante il Montefeltro faceva parte della Romagna. Alla dominazione della Sede Apostolica subentra quella dei Malatesta. Una prima documentazione l’abbiamo, quando nel 1433, Sigismondo Re di Ungheria, coronato imperatore dei Romani, passando da Rimini viene accolto sotto ricco baldacchino dal vescovo, da Giovanni Malatesta, da Jacopo Carpegna, dal conte di Piangnano, oriundi del Montefeltro. In tale occasione il re Sigismondo concede in dominio al ricordato Giovanni Malatesta i castelli di Tornano e Serra.

Nel 1507 la rocca di Tornano fu testimone di un delitto. Qui il conte di Sogliano, il famoso Ramberto Malatesta, personaggio inquieto e violento, uccise a pugnalate la moglie Maria Zoagli, parente dell’allora Pontefice Giulio II, il quale spogliò Ramberto del vicariato di Sogliano. Esiliato a Pisa, riuscì a tornare, lasciando poi ai figli il patrimonio e il figlio Leonida ereditò i castelli di Tornano e Serra. Esistono gli inventari degli oggetti contenuti nei castelli in quel periodo, e si viene a conoscenza degli attrezzi e delle suppellettili in uso in quelle vecchie dimore. Tantissime cose. Ma anche tanti debiti, lasciati dal citato Ramberto, legati all’acquisto di terre.

Nel 1748 i detti castelli, denominati “Luoghi del marchesato malatesta” tornano alle dipendenze della Chiesa, finchè nel 1860 tornano a far parte del Regno d’Italia.

La pieve antica venne abbandonata intorno dal XVIII secolo e divenne pieve la chiesa di San Donato dentro le mura.

Nel 1779 il pievanato di Tornano era ancora punto di riferimento politico e religioso per un ampio territorio che si portava dalla valle del Marecchia a quella del Savio. Facevano capo al pievanato di Tornano le parrocchie di Serra, Perticara, Savignano di Rigo, Maiano, Ugrigno, Montepetra e Rontagnano. Fa sorridere e un po’ stupire che il Tornano che conosciamo oggi, minuscola parrocchietta dispersa, avesse un così grande potere. Di questo potere nulla è rimasto, come si diceva: né la Pieve, né la Rocca. Perdita di potere avvenne nel 1873, quando per comodità venne costruita la nuova chiesa di Perticara, posizione più centrale rispetto alle altre parrocchie sopra nominate, e venne istituito qui il nuovo fonte Battesimale. Una perdita soprattutto economica, in quanto ogni comunità e ogni famiglia che chiedeva il battesimo doveva versare una quota al parroco di Tornano.

Il parroco di Perticara, per ottenere il fonte battesimale nella sua chiesa nuova promette e assume questi impegni:

1) di passare annualmente tre libbre di cera al Pievano di Tornano;

2) di recarsi a tornano per la funzione del Sabato Santo;

3) di continuare a pagare alla Pieve di Tornano il quartesimo nella stessa quantità di sempre. E il Vescovo di Pennabilli, nel 1878, firma il decreto di concessione del Fonte Battesimale alla parrocchia di San Martino di Perticara per la difficoltà di accesso alla Pieve di Tornano, e per l’eleganza e la bellezza della nuova chiesa di Perticara. Questo determinerà una grande perdita di prestigio per Tornano.

Nel 1921 vengono compiuti lavori di restauro radicali, come si legge dentro un cerchio sotto la cuspide della nuova facciata in mattoni.

Nel 1923 si iniziarono importanti scavi in cerca dello zolfo a Tornano; le ricerche furono complesse, le più impegnative in campo nazionale sia per la profondità raggiunta, sia per lo sviluppo dei lavori. Ma non si riuscì a trovare zolfo; la Montecatini utilizzò queste gallerie come ventilazione della miniera di Perticara.

Nel 1932 nella costruzione di un acquedotto, si rinvennero delle monete di età da Augusto degli Antonini e ciò fa pensare all’esistenza di un culto idrico. Altri reperti di epoca romana furono rinvenuti a seguito di profonde arature nel 1952 e si trattava di mattoni, tegoloni, frammenti e resti di un pavimento ini coccio pesto facente parte di una villa campestre. Il terreno di queste zone è molto particolare, in parte argilloso e in parte di matura arenacea e calcarea.

L’apertura nel 1947 della odierna strada, che collega Tornano al bivio della strada che da Perticara va a Savignano di Rigo, ha contribuito a diminuire l’isolamento della popolazione; la precedente strada, l’unica, si imboccava a Barbotto scendendo per Ville di Tornano e Cà di Bucci, giungendo al borgo di Tornano e poi giù a Serra.

Dopo la seconda guerra mondiale ecco inizia lo spopolamento, che ricevette il colpo di grazia nel 1964 con la chiusura della Miniera di Perticara. A questo tipo di commercio erano molto legati gli abitanti di Tornano.

Anche a Tornano nei primi anni ’60 compare la televisione, le antenne spuntano sui coppi delle vecchie case contadine, ma molte famiglie “coperte” dal Monte di Perticara, riescono a vedere solo Rai 1.

La posizione della Pieve primitiva, che serviva anche ai contadini della zona, oltre agli abitanti del Castello, non era ubicata dove sorge l’attuale parrocchiale, cioè dentro al Castello; essa sorgeva dove poi è stata costruita una casa colonica di proprietà della prebenda parrocchiale, detta ancora appunto “La Pieve”. La casa colonica esiste ancora oggi. Durante lavori sia esterni sia interni alla casa colonica sono venute fuori, in passato, molte ossa umane: vi era un cimitero.

Nel monticino di fronte alla chiesa, qua e là, si vedono disseminati sassi e piccoli muri di pietre, sono i ruderi della vecchia rocca Malatestiana. Imprimono nell’animo un senso di tristezza, richiamando alla mente che su questa terra tutto viene travolto e passa; ci fa capire e riflettere come, nel variare delle vicende umane, il supremo conforto delle anime dei credenti è la fede cristiana.

L’attuale parrocchiale era l’oratorio dell’antico castello, è dedicata a Sant’Ilario Abate. A tre altari, ha la particolarità mai riscontrata prima (almeno a me) di avere il fonte Battesimale in sacrestia, entrando a destra. La parrocchia, nel 1938 contava 403 abitanti e il parroco godeva del supplemento di congrua.

Dal 1935 al 1953 Pievano parroco fu don Fedele Guidi. Dal 1953 al 1961 il giovane don Elio Masi, che fu l’ultimo parroco residente a Tornano (morirà in carica di parroco di Mercatale nel 2008), ancora ricordato dalla popolazione di Tornano perché faceva cantare e organizzava le commedie. Ancor giovane, visto il venir meno della popolazione, ritornò a Pennabilli lasciando la parrocchia al parroco di Serra, don Giuseppe Tosi. Non aveva più senso un solo parroco, tutto per Tornano, vista la scarsità della popolazione e la vicinanza della parrocchia di Serra. Per alcune attività, i due parroci già collaboravano, come si vedono alcune foto di una gita a Gradara del 1958 con visita in spiaggia con don Giuseppe e don Elio e adulti e bambini insieme.

Nel 1955, all’ingresso di don Giuseppe Tosi alla parrocchia di Serra, c’erano ancora oltre 650 abitanti dei quali 300 a Serra e 350 a Tornano, con 50 bambini alla comune scuola, che viene chiusa nel giugno 1981.

Don Giuseppe Tosi viene accompagnato nel suo ingresso a Serra da don Savino Merli, parroco di Massamanente, noto musicista e studioso, morto nel 1971. Don Giuseppe, non volendo abbandonare le sue comunità, essendo sacerdote della diocesi del Montefeltro, nel 1977 passa sotto la Diocesi di Sarsina, dove sono tornate definitivamente le parrocchie di Serra e Tornano, perché sono comune di Mercato Saraceno, e sono state portate da Sarsina al Montefeltro le parrocchie di Sapigno – Romagnano e Rivolpaio, perché facenti parte del Comune di Sant’Agata Feltria.

Chi avrà portato per primo a Tornano il messaggio di Cristo? Senza dubbio in questa località riverbera la luce di quel faro che è per tutti noi il trono Viciniano di Sarsina. Sappiamo che altri fulgidi astri brillano nel territorio montefeltrano: ma Tornano, per la sua ubicazione e per le sue attinenze alla Romagna, è e rimane territorio irrorato dalla Diocesi di Sarsina, anche se è appartenuta nei secoli alla diocesi del Montefeltro, come è stato per tutto il corso del 1900 fino al 1977. Nel 1986 le due parrocchie vengono fuse, e nel 2012 fuse con la parrocchia di Rontagnano, sempre della Diocesi di Cesena – Sarsina. Dal 2012 guida la comunità don Maurizio Macini, che dal 2010 era già parroco di Rontagnano e Montecastello, con residenza a Montecastello.

 

ARREDI

Dietro l’altare maggiore, affisso al muro, c’era un grande quadro del ‘500 – ‘600 che rappresentava Sant’Ilario, semigenuflesso, rapito da un fascio di luce, perso in uno stato d’estasi. Purtroppo non abbiamo notizie precise, né dell’epoca né dell’autore. E nello stesso quadro, sotto le croste, disegnata una mappa di Tornano. Nel muro si vedono ancora le tracce delle sue misure: era largo cm 230 e alto 250, con centina superiore. Me ne parlava sempre un uomo, specialissimo per Tornano, il maestro Adriano Sardonini, scomparso qualche anno fa (e lo ringrazio per la stima dimostratami: a cavallo tra il 2011 e il 2012 ero cappellano a Sant’Egidio di Cesena e andai, dietro incarico del vicario generale mons. Guidi Virgilio, a dire messa per diverse domeniche pomeriggio a Serra e Tornano, dopo la morte di don Tosi; Sardonini scrisse al Vescovo Douglas chiedendo che le 2 piccole parrocchiette fossero affidate a me; ma i disegni erano altri e arrivò un parroco migliore di me, don Maurizio, già parroco a Montecastello e Rontagnano: aveva più senso unire alle parrocchie vicine più che un servizio festivo da Cesena; ma non nascondo che ci sarei andato volentieri la domenica pomeriggio pur mantenendo gli altri incarichi…).

In una lettera (della quale possiedo fotocopia) scritta da un amico di Rimini (non è possibile capire il nome dalla firma autografata) del 5 novembre 1962, indirizzata all’ispettore delle Belle Arti, Antonio Corbara, che fece il censimento in tutta la zona, si legge: “Vorrei accompagnarla in una delle sue peregrinazioni nel cosiddetto Montefeltro Romagnolo. A Tornano di Mercato Saraceno esiste un quadro di Sant’Ilario, ai piedi del quale è inginocchiato l’offerente, in atteggiamento da orante. Io presumo che si tratti di un Malatesta, signori del luogo. Se del quadro si stabilisce l’epoca, sarà facile stabilire anche l’identità della persona effigiata”.

In una lettera del 19 gennaio 1965, che possiedo in fotocopia, redatta dal famoso parroco studioso di Vignola di Sogliano, don Antonio Bartolini, che lasciò la parrocchia nel 1997 e morì nel 2011, leggo: “A Tornano v’era un quadro religioso con un ritratto (forse di un Malatesta), ma da non molto tempo è scomparso. Dalla canonica di Tornano – antica pieve – sono scomparsi (almeno così mi è stato riferito) anche registri manoscritti. L’autorità sia religiosa sia civile dovrebbe agire con severità e non lasciar correre. Non le pare?”.

Il Corbara visitò Tornano nel marzo 1963 ma il quadro era già scomparso, per cui non potè censirlo né fotografarlo.

Unico cimelio antico è una grande campana, in bronzo, di forma affusolata gotica, sospesa a sei anelli attorno a piantone centrale. Il fianco è liscio, privo di ornati. Si trovano due scritte, una sulla cervice e l’altra sopra l’anello percussorio, misurante in altezza 78 cm e diametro 56.

E una delle opere di Jacobus più grande di dimensioni, che si sia rimasta. In alto troviamo scritto: + A.D. MCCCLIII MENTEM SCAM SPONTANEA DEO ET PATRIE LIBERATIONEM. In basso: IACOBUS ME FECIT.

Un vero cimelio, e anche piuttosto al sicuro in quanto di difficile prelevamento viste le dimensioni e la vicinanza a case ancora abitate. Se mi fermo a pensare lo stupore assale la mente: questa campana, da 7 secoli è la voce di una comunità cristiana. Ha scandito i momenti belli e lieti della comunità; è stata il richiamo di decine di generazioni. Con tutti i pericoli che attraversa una campana rispetto, non so, ad un altro arredo: può rischiare la caduta oppure la rottura. Quante campane, anche in tempi recenti, sono state colate per formare nuovi concerti, perdendo così cimeli medioevali.

Con il suono crudo e carico di secoli, così diverso da quello delle moderne campane, ci parla del tempo che inesorabilmente scorre, e lascia segni anche nelle nostre vite e in quelle delle nostre comunità. Sono salito sul campanile da ragazzo, oltre 20 anni fa, per fare il censimento e ho ammirato e fotografato questa maestosa campana. Sul campanile, in direzione della facciata della chiesa, è murato un mattone in cotto che porta la data 1639: è la data, quasi certamente, di edificazione del campanile. 

Gli anziani ricordano che in chiesa, proprio sotto al grande quadro di Sant’Ilario, v’era un mobile da sacrestia, anch’esso scomparso, certamente venduto arbitrariamente. Come si trovano ancora in diverse parrocchie della zona (Rontagnano, Montegelli, ecc.) aveva la particolarità di avere tanti sportellini, con i nomi delle parrocchie: in esso erano contenuti gli amitti e la biancheria personale per la S. Messa, in modo che ogni sacerdote, andando a celebrare, potesse usare più volte il materiale. Un esempio stupendo di comunione presbiterale, quando i parroci si spostavano, giravano le parrocchie quotidianamente per gli “Uffici” (occupando anche il loro tempo) e tessendo legami veri, vissuti nella quotidianità. Poi anche tutto questo si è dimenticato, non andando certamente a migliorare la situazione. Anche questo splendido mobile è andato disperso nei primissimi anni ’60.

La chiesetta, graziosa, assomiglia molto alle chiese di questa zona; della Valle dell’Uso e della zona di Sogliano in genere. Quasi tutte sono caratterizzate della presenza della cantoria in legno sopra la porta d’ingresso, e dalla colomba dello Spirito Santo collocata, a grandezza naturale o anche maggiorata, sul soffitto sopra l’altar maggiore.

Se ha bisogno di cambiare aria, di pace… ricorda che attorno a noi abbiamo tutto… non sono necessari viaggi snervanti ma un giro a Tornano e tornano le energie e la serenità.