Economia e occupazione in sofferenza. Becchetti: “La sfida è spendere bene i soldi del Recovery Plan”

Nell’introduzione ai lavori dell’ultimo Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale presidente Gualtiero Bassetti aveva indicato anche quella delle “nuove povertà” tra le fratture che caratterizzano il nostro Paese dopo un anno di pandemia. “La situazione socio-economica in cui si trova il nostro Paese è fonte di preoccupazione crescente”, disse allora Bassetti. E una settimana dopo è l’Istat a certificare che dal punto di vista economico ed occupazionale, l’Italia paga un prezzo significato: nel 2020 il Prodotto interno lordo è diminuito dell’8,9% rispetto all’anno precedente, mentre a dicembre sono risultate 99mila le donne occupate in meno da novembre e il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 29,7%. Con il professor Leonardo Becchetti, economista e docente all’Università di Roma Tor Vergata, cerchiamo di individuare ricadute e prospettive.

Tra ieri e oggi l’Istat ha diffuso dei dati economici decisamente severi sull’Italia che esce dal primo anno della pandemia. Che fase stiamo attraversando?Abbiamo vissuto una tragedia globale e, quindi, dobbiamo confrontarci con gli altri Paesi. L’Italia, secondo le ultime stime, ha perso l’8,9% del Pil nel 2020, un anno terribile; ma la Francia ha perso il 9,4%, la Spagna il 12%, il Regno Unito l’11,3%. Nel nostro Paese la disoccupazione è rimasta costante perché sono state pagate casse integrazione, sono stati bloccati i licenziamenti mentre nel Regno Unito la disoccupazione è raddoppiata in questo mese. Gli italiani stanno vivendo dei momenti difficilissimi ma bisogna considerare anche che ci sono situazioni differenti.

Quali?C’è una parte, quella più tutelata, fatta da dipendenti pubblici e delle grandi imprese che hanno lavorato da casa e non hanno perso il loro stipendio – e, paradossalmente hanno anche risparmiato; e poi c’è quella parte che è stata pienamente investita da questo dramma – l’Italia dei commercianti, delle piccole imprese, degli autonomi – per la quale dobbiamo fare di più. I ristori all’inizio sono arrivati lentamente e il rimborso non è stato pari a quello che hanno perso nella pandemia.

Ora che prospettiva ci attende?Tutto quello che in questo periodo il Paese ha dato, ed è stato moltissimo, ha fatto aumentare il rapporto debito/Pil quasi del 30%. Adesso vediamo la luce in fondo al tunnel. Se, come ha detto Ursula von der Leyen, probabilmente avremo il 70% degli europei vaccinati entro l’estate e potremo tornare quasi alla normalità, allora sarà fondamentale sospendere questi “antidolorifici depressivi” che abbiamo dato sinora e mettere in moto quelle misure che possono davvero far ripartire il Paese, farlo stare sulle sue gambe per dargli una ripresa un po’ come quella che avevamo intravisto nell’estate scorsa, quando pensavamo che la pandemia fosse alla fine.

I dati Istat confermano che tra le categorie più penalizzate dalla pandemia ci sono giovani e donne…Purtroppo sono le parti più fragili del mondo del lavoro. Per un giovane che stava entrando nel mercato del lavoro l’anno della pandemia sicuramente non è stato propizio. Credo che l’assegno unico per il figlio serva a far nascere giovani famiglie, bisogna rafforzare la transizione tra la formazione e il mondo dell’impresa e del lavoro. Serve investire su contratti di inserimento lavoro e contratti di espansione, cioè favorire e incentivare tutto quello che aiuta i giovani a formarsi e a inserirsi nel mondo del lavoro.

Anche le 99mila donne occupate in meno sono più di un grido d’allarme…Dobbiamo continuare tutti gli sforzi per realizzare la parità uomo-donna, evitando che le donne siano costrette ad abbandonare l’occupazione dopo che hanno avuto un figlio. Ci vogliono forme di aiuto e di incentivazione per il lavoro femminile, tenuto conto che nel nostro Paese la cura domestica è ripartita in modo ineguale tra uomini e donne. Anche tutto il tema dello smartwork va concepito al femminile, perché sia accompagnato con aiuti, voucher o servizi per la cura domestica in modo tale che non risulti un aumento di carico assolutamente asimmetrico tra uomo e donna.

Per la ripresa la fiducia è riposta nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Che giudizio ne dà?Sul Recovery Plan il Paese ha fatto un grave errore, quello di dilagnarsi su come spendere i soldi, su come dividerli tra le varie voci. Si doveva partire già da agosto e vararlo molto presto. E poi dedicarsi alla sfida più affascinante che è quella di come spendere bene questi soldi. Conosco le bozze sin da agosto, è una tavola imbandita piena di ogni ben di Dio, se riuscissimo a fare l’80% di quello che c’è scritto avremmo davvero cambiato il Paese. È stato un delitto litigarci così tanto, purtroppo quando ci sono i soldi si litiga su come spenderli. Il problema non è la definizione generale del Piano ma iniziare a realizzarlo senza pensare, da nessuna parte, di avere la verità in tasca ma accettando anche un compromesso con tutti gli altri.