Fisichella ai sacerdoti: “La speranza nasce dall’amore. Si fonda sull’amore. Rende evidente l’amore”

"Il Giubileo 2025 è una grande opportunità": la riflessione del vescovo Rino questa mattina in Seminario a Cesena, in apertura della due giorni di aggiornamento del clero diocesano

Il Giubileo è una grande opportunità. Così il vescovo Rino Fisichella ha aperto la sua riflessione questa mattina nell’auditorium del Seminario, a Cesena.  È stato questo il messaggio del vescovo Rino Fisichella, intervenuto in apertura della due giorni di aggiornamento dei sacerdoti della Chiesa di Cesena-Sarsina. Monsignor Fisichella – già cappellano alla Camera dei Deputati e membro della congregazione per la dottrina della fede – è prefetto del dicastero per la nuova evangelizzazione e responsabile del Giubileo 2025.

Il Giubileo, una tappa che ognuno desidera vivere

“Sono contento di essere con voi – ha detto rivolgendosi ai tanti sacerdoti e qualche diacono intervenuti -. È mio desiderio far comprendere che il Giubileo è una grande opportunità pastorale. Viene ogni 25 anni: nella nostra quotidianità e pastorale, può essere un momento forte attraverso il quale raggiungere persone che non frequentano abitualmente la comunità, ma si sente chiamata a vivere la dimensione del Giubileo. Nell’immaginario collettivo il Giubileo è una tappa che ognuno vuole vivere. E con la maggiore intensità”.

Il giubileo cattolico è da rapportare al capitolo 4 del vangelo di Luca, quando Gesù nella sinagoga parla del senso delle scritture, e citando il profeta Isaia dice: “Sono venuto ad annunciare un anno di grazia”. “Il Giubileo è pensato come un anno di grazia. Il popolo di Dio ha così possibilità di accedere all’esperienza del perdono, che è l’indulgenza giubilare. La caratteristica del Giubileo è il perdono: è desiderio del popolo avere un momento di esperienza del perdono pieno e totale. Cioè l’indulgenza”.

Non lucrare, ma vivere l’indulgenza

Fisichella richiama all’uso opportuno delle parole: “L’indulgenza è da usare sempre al singolare. Vi chiedo di non utilizzare l’espressione ‘lucrare l’indulgenza’: non c’è niente da lucrare e anche il linguaggio ha la sua significatività. È vivere l’indulgenza, sperimentare l’indulgenza”.

Il Giubileo si aprirà il 24 dicembre alle 19 con la Messa presieduta da papa Francesco in piazza San Pietro. “Pellegrini di speranza è il tema. Dalla bolla di indizione “Spes non confundit” di papa Francesco – “Tutti speriamo. Nel cuore di ogni persona è attesa la speranza, pur non sapendo cosa il domani porta con sé. L’imprevedibilità del futuro tuttavia porta a sentimenti dall’incertezza al dubbio. Incontriamo persone sfiduciate che guardano con pessimismo. Possa il Giubileo essere occasione per rianimare la speranza”.

Tre gli interrogativi a cui Fisichella ha ispirato la riflessione: è davvero necessaria la speranza, se ne sente davvero l’esigenza? E cosa si nasconde dietro il termine speranza? Ed è proprio vero che la speranza non delude? Come dare certezza della speranza?

La tecnologia dà speranza, ma porta a una povertà di umanità

“Viviamo sotto il processo della tecnologia: produce speranze, anche se non ce ne rendiamo conto – le parole del presule -. Ma allontana dall’attesa di una speranza, perché ti dà tutto. È un progresso che si esprime nella mancanza di rapporti personali. La tecnologia aumenta, ma toglie. Il cellulare non è uno strumento, ma è una delle conseguenze della cultura digitale, che cambia il mondo di pensare e il linguaggio. I ventenni di oggi non ci capiscono più: parliamo illudendoci che ci capiscono, ma non è così. Il linguaggio è diverso, la cultura di oggi è quella del tutto e subito. Inconsciamente. Non esiste più la cultura dello spazio e del tempo. Sono saltate le categorie. Se si modifica il linguaggio – diventato semplicistico, sintetico – cambia inevitabilmente il comportamento delle persone. Ecco che ci troviamo con la tecnologia che ci dà tanta speranza, ma con povertà di umanità. Povertà di rapporti interpersonali. Povertà che porta l’individuo a rinchiudersi sempre più in se stesso. Lo vediamo negli adolescenti: i ragazzi sono ansiosi, sempre attaccati al pc, chiusi nell’illusione di avere tanti amici sui social. Attenzione a non sottovalutare questa dimensione. Ecco perché la speranza entra di forza in tutto questo. Perché il nostro compito è quello di risvegliare la speranza. Darle forza, toglierla dal cadere nell’illusione e delusione. Per i nostri giovani, c’è una fobia a tutto quello che è programmato. La speranza non fa programmi. La speranza dei nostri piani, se li butta alle spalle. La speranza è creativa. Ci deve portare a comprendere di più la missione che abbiamo ricevuto e la responsabilità di cui dobbiamo essere consapevoli”.

Monsignor Fisichella ha proseguito citando la bolla di papa Francesco: “La speranza va coniugata con segni concreti di speranza”. Non basta, quindi, attraversare la porta santa: “porta a rimboccarti le maniche, a dare segni tangibili di speranza a tutti. È una responsabilità che abbiamo ci porta al secondo interrogativo”.

Cosa è la speranza?

“Un filosofo come Gabriel Marcel, profondo conoscitore dell’animo umano – è la citazione del vescovo – dice che l’unica speranza genuina è quella che si rivolge a qualcosa che non dipende da noi. La speranza la dobbiamo vedere come un dono che ci viene concesso e fatto conoscere. Noi abbiamo il compito di passare dalle speranze alla speranza. Non è facile, ma necessario: dare certezza di una speranza che non delude”.

Non è facile da definire, la speranza – ha proseguito Fisichella -. Come l’amore, la misericordia… sono esperienze della vita che non possono essere ridotte a una definizione o frase con la quale la ragione ha detto tutto. La ragione è una delle forme di conoscenza, ma non è l’unica. La speranza, come l’amore, sfugge dall’essere definitiva.

La speranza appartiene a una triade. “Va vissuta insieme alla fede e alla carità – continua la riflessione monsignor Fisichella -. Nessuna delle tre virtù va dimenticata. Della speranza abbiamo bisogno adesso. Ci spinge e ci obbliga a guardare al futuro, perché abbiamo a vivere con coerenza il presente. È da sperimentare oggi. L’apostolo ci dice: “Nostra speranza”. Non dice: “Mia speranza”. Pastoralmente, abbiamo bisogno di rompere la roccia dell’individualismo”. E cita sant’Agostino: “Non voglio essere salvato senza di voi“. Più aumenta nel nostro linguaggio io io io e più viene a meno il noi, il senso della comunità. Ciò per la quale noi viviamo: la relazione nella comunione, nella comunità. La speranza non è un fatto individuale. È noi crediamo. E la prima che spera e che crede, è la Chiesa”.

Nella speranza si cammina, la speranza è dinamica. “Il motto del Giubileo ‘Pellegrini di speranza’ non è stato pensato in italiano, ma in latino. Che è Peregrinantes in spem: credere è un cammino continuo – continua nella riflessione il vescovo -. La speranza è un dono da scoprire sempre più”.

La speranza non delude, perché fondata sull’amore

Il terzo interrogativo: è vero che la speranza non delude? Monsignor Fisichella richiama la lettera ai Romani al capitolo 8: la speranza non delude perché è fondata dall’amore. “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? – è il testo della lettera – La tribolazione, l’angoscia, la spada, il pericolo? In queste cose noi siamo più che vincitori. Siamo trionfatori perché né morte, né alcuna creatura potrà mai separarci dall’amore di Cristo”.

“La speranza nasce dall’amore. Si fonda sull’amore. Rende evidente l’amore”, sono le sottolineature di monsignor Fisichella, e cita lo scrittore francese Charles Péguy: ‘La speranza è nata il giorno di Natale’. È una bella intuizione. La speranza è la sorella piccola che nessuno vede, ma trascina le due sorelle maggiori. Lei, piccola e nascosta, trascina la fede e la carità. Pensate alla sfida che abbiamo di parlare della fede rivestendola con gli abiti della speranza. Anche la letteratura ci invita a riflettere. Faccio riferimento a un libro degli anni Settanta, di Ignazio Silone, “Severina”, pubblicato dopo la sua morte. Silone era un’anima tormentata, un non credente che non poteva fare a meno di vedere l’importanza della fede. Sono personalmente amico di Vittorino Andreoli, psichiatra, e quante volte mi ha detto: ‘Voi credenti non vi rendete conto della nostra sofferenza dei non credenti”. Voi avete un dono che noi vediamo in voi, e soffriamo nel non averlo’.  “Severina” è la biografia di Silone, dove Severina è una giovane suora che entra in una profonda crisi di fede. Erano gli anni della contestazione sessantottina. Severina lascia il convento e ritorna in Abruzzo. Lì viene invitata da alcuni giovani a partecipare a una manifestazione. La polizia spara, e Severina viene colpita a morte. Portata in ospedale, subito una consorella corre al suo capezzale, le prende la mano e la scuote: ‘Severina, dimmi che credi. In questo momento dimmi che credi’. Severina la guarda e risponde: ‘No. Però spero’”.

Quanta gente spera e ancora non riesce a credere – monsignor Fisichella riprende la riflessione -. Tutti sperano. A noi sacerdoti viene offerta una grande opportunità pastorale. Recuperiamo il nostro patrimonio”.

“L’arte non è stata molto generosa con la speranza. Forse ha trovato più facilità a rappresentare la fede e la carità – prosegue -. Nel simbolismo, la speranza è raffigurata come un’ancora: ’State aggrappati a Cristo, come a un’ancora che dà stabilità e sicurezza” è un brano della Lettera agli Ebrei. L’ancora è Cristo. I primi cristiani hanno inciso l’ancora spesso accompagnati dal pesce, e in alcuni momenti anche con il pane eucaristico. Probabilmente i primi cristiani avevano più coraggio di noi, perché la certezza della speranza è lì, nella resurrezione”.

L’attesa è caratteristica della speranza

Fisichella si è rivolto infine ai sacerdoti: “Cari confratelli, ma noi parliamo più della vita eterna? Nemmeno durante i funerali… ‘Nell’attesa della tua venuta…’, preghiamo: l’attesa è una caratteristica della speranza. Ma quale attesa? Le persone trovano in noi annunciatori credibili dell’incontro con il Signore, che dona speranza a vita nuova? I battisteri nel Medioevo erano ottagonali, perché con il battesimo si dà l’ottavo giorno: la vita di Dio, la vita eterna. Noi già abbiamo la vita eterna, vita di grazia avuta nel giorno del Battesimo: sono temi di cui il nostro popolo ha desiderio, bisogno. Ci chiede una parola forte, efficace. Perché altrimenti diventiamo figli di questo mondo, e ci perdiamo in quella che dovrebbe essere la dimensione più profonda: quella di dare un futuro”.

Possa diventare contagiosa

Per la conclusione, monsignor Fisichella richiama la bolla di indizione del Giubileo, scritta da papa Francesco: ‘Lasciamoci attrarre dalla speranza – è un brano al numero 25 -. Permettiamo che attraverso noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: spero nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore. Possa la forza della speranza riempire il nostro presente nell’attesa del ritorno del Signore Gesù’.

Attraverso la nostra esperienza di vita, la speranza possa diventare contagiosa. Possa suscitare entusiasmo e interesse. Per fare della nostra esistenza, un’esistenza carica di significato”.