Dalla Chiesa
Francesco Saverio, il gigante della missione ad gentes
Francisco de Jasso Azpilicueta Atondo y Aznares de Javier, che noi abbiamo abitualmente castrato in lingua italiana in Francesco Saverio, il più grande dei missionari, nacque in Spagna il 7 aprile del 1506 ad Javier, un comune di 100 anime più o meno della Provincia Autonoma Forale Navarra. La famiglia di Francisco apparteneva ad un ramo nobile a cui i beni erano stati confiscati da una battaglia persa contro lo strapotere di Ferdinando il Cattolico sugli autonomisti della Navarra filo-francese (una specie di regione autonoma con sbandamenti autarchici condizionati). Francisco espatriò in Francia per continuare gli studi di teologia alla Sorbona di Parigi, dove dopo il triennio divenne insegnante. Qui vi fece l’incontro che segnò il destino della sua vita: Ignacio (Ignazio) de Loyola. Si trovarono insieme, noi diremo “per caso”, ma fu sicuramente Qualcuno a farli incontrare nel collegio di Santa Barbara. Nello stesso edificio aveva preso posto anche Pierre Favre Faber, che fu il terzo della neonata Compagnia di Gesù nella chiesa di saint Pierre a Montmartre, il 15 agosto del 1534. Fecero i voti di castità, povertà, obbedienza e più il voto di un pellegrinaggio in Terra Santa. Non vi riuscirono e optarono per andare a Roma, la città eterna, per mettersi a disposizione del Santo Padre, il Papa. Tre anni più tardi Francisco giunse a Venezia, dove per causa della guerra contro i Turchi, insieme a Ignacio, si dedicò all’assistenza dei malati all’ospedale degli Incurabili, fondato da Gaetano da Thiene. Dopo qualche tempo giunsero a Roma e sotto papa Pietro Barbo (Paolo II) venne ordinato sacerdote, nel 1537.
In questo tempo di permanenza romana, la Compagnia di Gesù ritoccò i voti fatti in precedenza e vi aggiunse un quarto: l’obbedienza al Papa. Una volta sacerdote, Francisco si dedicò alla predicazione nelle piazze in lingua neolatina. Si recò a Bologna, acquisendo presto la fama di predicatore e consolatore dei malati e carcerati. Sei mesi più tardi, dopo le penitenze dure che lo portano alla malattia e a recuperare il fisico, il re del Portogallo, sua grazia Giovanni III, chiese a papa Paolo III, Alessandro Farnese, di avviare l’evangelizzazione delle nuove colonie nelle Indie Orientali e, così, di inviare i suoi missionari in quei luoghi. La missione attendeva Francisco e i suoi fratelli in: Malesia, Filippine, Giappone e Cina a metà del XVI secolo. Si imbarcarono da Lisbona in un viaggio lungo 13 mesi fino all’isola di Goa, India. Comincerà il suo apostolato nel 1542 occupandosi, come faceva in Italia, di malati, prigionieri e schiavi: con un campanello raccoglieva per le strade i fanciulli e insegnava loro il catechismo e i cantici spirituali. Non si fermò. Tappa successiva: Taiwan e Filippine. Annotò nel suo diario: “Sono talmente tanti i convertiti che sovente le braccia mi dolgono tanto ho battezzato e non ho più la voce e forza di ripetere il Credo e i comandamenti nella loro lingua nativa”. In un mese arriverà a rendere figli di Dio circa 10 mila pescatori della casta dei Macuna nel Tranvcore. Instancabile. Dopo cinque anni, padre Francisco raggiunse Malacca, una penisola chiamata Grande Malesia. Qui entrò in contatto con persone e credenti di origine giapponese che lo convinsero a raggiungere il paese del Sol Levante e a condurre anche lì l’evangelizzazione. Nel 1549 è presente a Kagòshima. Qualche problemuccio gli bloccò la libertà di predicazione con l’imperatore che riuscirà a risolvere facendosi amico il principe di Yamaguchi. La buona esperienza giapponese gli spalancherà la porta della Cina, pur con tutte le difficoltà date dalla chiusura del Paese verso la nuova religione ed i suoi predicatori. Scrive: “Pregate molto per noi perché corriamo il grande pericolo di essere imprigionati. Ci consola il fatto che è meglio essere prigionieri per amor Suo che esser liberi ed aver voluto fuggire il tormento e la pena della croce”.
Non raggiungerà mai l’entroterra della Cina. Il suo viaggio si fermò qui nei confini. Una forma grave di polmonite, unita alle tante sofferenze e ai disagi della salute di anni di chilometri di pellegrinaggio con scarsi mezzi, lo condusse alla fine. Padre Francisco Javier morì a Shangchuan Island, Jiangmen in Cina. Venne ricomposto e sepolto, qualche giorno dopo, nella chiesa di Bom Jesus a Goa, in India. Il braccio destro venne portato in trionfo a Roma e lasciato come reliquia che riposa tutt’ora nella stupenda basilica madre dell’Ordine dei Gesuiti o della Compagnia di Gesù, la chiesa del Gesù nel centro storico di Roma nel 1614. Negli anni avvenire altre parti di padre Francisco furono asportate dal corpo ai fini di culto e per farne reliquie. Oggi nella chiesa parrocchiale a lui intitolata nel quartiere romano della Garbatella. Gregorio XV lo canonizzò il 12 marzo del 1622. Possiamo dire che san Francesco Saverio è stato il pioniere della diffusione del cristianesimo in Asia.
“Ad majorem Dei gloriam”.