Funerali don Sauro Rossi. Il vescovo Douglas: “Un confratello amato e stimato. Ha vissuto lunghi anni di sofferenza, con coraggio e disponibilità”

“Per noi è la perdita di un confratello amato e stimato”. Queste le parole pronunciate questa mattina in Cattedrale a Cesena il vescovo Douglas Regattieri all’inizio della Messa funebre per il sacerdote diocesano, monsignor Sauro Rossi, deceduto venerdì scorso (cfr notizia a fianco). Monsignor Regattieri ha portato le condoglianze alla nipote Luciana Rossi, ai parenti, a quanti vivono e operano all’interno della casa di riposo “Don Baronio”, in cui don Sauro è stato ospite per oltre dieci anni, e alle parrocchie a lui affidate nel corso del tempo. 

Il presule ha ricordato la sua visita pastorale all’ospedale Bufalini della scorsa settimana e il suo affacciarsi nella stanza in cui era ricoverato don Sauro. “Ho pregato, l’ho benedetto – ha ricordato monsignor Regattieri nell’omelia -. Poi siamo passati di nuovo. La sua stanza era chiusa. Era morto. L’ho saputo mentre rientravo in vescovado. Mi ha preso una stretta… (e qui il vescovo si è fermato non poco per la commozione, ndr) alla gola”.

Il ritornello del salmo cantato all’ambone dall’ex parrocchiano di San Paolo, Valeriano Biguzzi, “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”, ha dato il senso della vita di don Sauro, donata tutta a Dio e ai fratelli a lui affidati che questa mattina hanno riempito la Cattedrale per ricordare il loro parroco.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia.

In questi giorni Il Signore mi ha concesso la grazia di incontrare il dolore nei volti, nei corpi e negli occhi di tanti ammalati, degenti al nostro ospedale. Sono stati tre giorni pieni di grazia quelli che ho vissuto facendo la visita pastorale in tutti i reparti del nostro nosocomio. Venerdì, con il cappellano, sono entrato, a distanza di tre giorni, nella stanza dove era ricoverato don Sauro. Stavolta non dava più segni di vita. Ho pregato. L’ho benedetto.  Abbiamo continuato la visita agli altri degenti del reparto. Ritornando, dopo mezz’ora, siamo di nuovo passati davanti alla sua stanza. Era chiusa. Abbiamo pensato. Sono in visita i medici. No, in realtà, stavano ricomponendo il suo corpo ormai esanime. Era morto. L’ho saputo mentre rientravo in auto in vescovado. Mi ha preso una stretta alla gola. 

 

  1. 1.    Il dolore 

Sono stati lunghi gli anni di sofferenza che don Sauro ha vissuto da quando fu colpito da un terribile ictus che lo ha immobilizzato in quasi tutto il suo corpo, senza toglierli però, la parola, la capacità di pensare e di comunicare, di pregare e anche di annunciare il Vangelo, nel dolore. Dopo l’esperienza della parrocchia, prima di Macerone, poi di san Paolo e infine di san Domenico, gli ho chiesto di impegnarsi presso la Chiesa del Suffragio, di guidare la fraternità diaconale e devo dire che ci ha messo tutto l’impegno possibile, nonostante le sue condizioni fisiche precarie, con grande coraggio e disponibilità. Ma le forze venivano meno di giorno in giorno e si fu costretti a ricoveralo al don Baronio dove ha trovato, per diversi anni, una comunità accogliente, una cura attenta e premurosa, un ambiente sereno, insieme anche ad altri sacerdoti anziani.

Questo dolore che ha accompagnato per tanti anni don Sauro ci invita oggi, mentre lo accompagniamo all’ultima dimora terrena, a riflettere. Il dolore è un crogiolo, così ci ha detto il testo della Sapienza. Il kintsugi è una tecnica giapponese di restauro per riparare tazze per la cerimonia del tè. Le linee di rottura, unite con lacca urushi, sono lasciate visibili, evidenziate con polvere d’oro. Impreziosite con questa polvere queste tazze frantumate accentuano la loro bellezza, rendendo la fragilità un punto di forza. Don Sauro è apparso agli occhi nostri come una tazza frantumata. Ma una lacca particolare, come l’urushi, cioè la sua fede, la sua pazienza, la sua vita interiore, ha impreziosito le sue fessure facendone una splendida tazza che ora in cielo brilla ancora di più perché illuminata direttamente dalla luce divina.

 

  1. 2.   La morte

La celebrazione dei funerali di don Sauro ci invita a riflettere, oltre che sul dolore, anche sulla morte. Non solo come prospettiva che, prima o poi, toccherà tutti, ma anche come sollecitazione a vivere bene il presente. Significativo è l’invito di un saggio cristiano, di molti secoli fa, che ha scritto: “Quanto felice e prudente è chi si sforza, ora, di vivere in quel modo in cui vorrebbe esser trovato in punto di morte! Impègnati ora a vivere in modo tale, che nell’ora della morte tu abbia più da gioire che da temere. Impara adesso a morire al mondo, per cominciare allora a vivere in Cristo” (L’imitazione di Cristo, I, 23).

È stata la Parola del Signore che abbiamo ascoltato nella prima lettura e nel Vangelo a suggerirmi questi due pensieri sul dolore e sulla morte. Il testo della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio / Agli occhi degli stolti parve che morissero, / la loro fine fu ritenuta una sciagura, / la loro partenza da noi una rovina, /ma essi sono nella pace. / Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, / la loro speranza resta piena d’immortalità. /In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, / perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; / li ha saggiati come oro nel crogiuolo / e li ha graditi come l’offerta di un olocausto” (Sap 3, 1-6). “Come oro nel crogiolo” facendone delle tazze dorate seppur sfregiate.

E il vangelo: c’è un posto lassù per ciascuno di noi, già preparato: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14, 3), una prospettiva meravigliosa. 

 

3. L’attesa

Attendiamo di occuparlo, perché per tutti verrà il momento, per stare sempre con il Signore quando saremo presi con lui. Ora quaggiù, in cammino, siamo come un bocciolo di mandorlo che sta per aprirsi e manifestare così pienamente la sua bellezza e spanderne qui in terra il profumo, almeno per quei pochi giorni che la Provvidenza ci concede ancora di vivere.

Viviamo l’attesa colmando e riempiendo con la polvere d’oro della nostra fede e delle opere buone le fessure delle nostre debolezze e dei nostri vuoti. Saremo un giorno anche noi, accanto a quella di don Sauro, tazze luminose sulla tavola del banchetto eterno preparato per noi dallo Sposo celeste.

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