Dall'Italia
Gli esperti: i jihadisti sono pochi e non strutturati ma non meno pericolosi
Una galassia sempre più fluida, non coordinata, priva di una strutturazione ma attiva, quindi potenzialmente pericolosa. Si configura così la minaccia jihadista in Italia. Le celebrazioni della Settimana Santa e le vacanze di Pasqua hanno visto su tutto il territorio italiano un vasto dispiegamento di forze di polizia, a cominciare da Roma e Vaticano. Nonostante il crollo dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, il ministro degli Interni Marco Minniti ha dichiarato che “la jihad in Italia non è mai stata così pericolosa”. Gli arresti degli ultimi giorni a Foggia e Torino sono indicativi: le forze dell’ordine hanno arrestato un imam che aveva istituito una madrasa estremista all’interno di una moschea nella città pugliese, e un ventitreenne a Torino, autore del primo documento pro-Stato Islamico in lingua italiana pubblicato online. Ma chi sono? Chi hanno dietro? E quanti sono in Italia?
La scena jihadista in Italia. Francesco Marone, ricercatore dell’Ispi e autore insieme a Marco Olimpo del Working Paper dal titolo “Conquisteremo la vostra Roma. I riferimenti all’Italia nella propaganda dell’IS”, fa subito notare come il fenomeno jihadista tricolore presenta ordini di grandezza numericamente molto diversi rispetto a Paesi come Francia e Gran Bretagna dove i censimenti ufficiali parlano di una presenza di 20mila radicalizzati in ciascuno dei due Paesi. In Italia, pur non esistendo stime ufficiali pubbliche, si stimano cifre attorno alle centinaia, e cioè 500/1.000 persone potenzialmente radicalizzate. Si tratta pertanto di una scena jihadista piccola, poco strutturata, in cui non ci sono gruppi consolidati né grandi filiere né jihadisti autoctoni, figli della seconda generazione”.
La propaganda ufficiale dello Stato islamico. Anche la propaganda ufficiale, cioè quella organizzata direttamente dallo Stato islamico, è scesa moltissimo negli ultimi anni. Se nel 2015, si parlava di una quantità stimata attorno ai 1.000 prodotti al mese (video, audio e reportage fotografici), adesso siamo di fronte a un quarto della produzione, con una riduzione consistente che “però non significa azzeramento”, precisa subito Marone.
“Significa una produzione di 200 singoli prodotti al mese e, cioè, quasi 10 al giorno”.
Roma e l’Italia. Questo quadro di relativa quiete presenta almeno due dati importanti che mettono in allerta le forze dell’ordine. Il primo è la menzione nella propaganda dello Stato Islamico, dell’Italia e, in particolare, di Roma, città citata prevalentemente per il suo valore simbolico come centro dell’Occidente e della cristianità, come simbolo del nemico. Analizzando i contenuti ufficiali in lingua inglese pubblicati dallo Stato Islamico a partire dall’autoproclamazione del “Califfato” (nel giugno del 2014), lo studio dell’Ispi ha contato 432 riferimenti all’Italia, al Vaticano e a Roma.
“La preoccupazione – spiega Marone – è che individui attivi in Italia, anche se pochi e non strutturati, si sentano chiamati a colpire Roma, passando cioè dai messaggi online ai fatti”.
La propaganda non ufficiale. L’altro motivo di allerta è che se i messaggi provenienti direttamente dallo Stato islamico sono diminuiti, è aumentata, come ha detto lo stesso ministro Minniti, la produzione di propaganda non ufficiale, contro Roma e il Vaticano. È una propaganda che viaggia ovviamente sempre online.
Telegram è diventato un canale preferenziale perché dà maggiori garanzie di sicurezza. Si tratta sempre di materiale contro Roma, scritto in Italiano, da persone che riciclano foto e immagini, le traducono, fanno collage. “È però anche per noi un tema scivoloso”, ammette Marone. “Perché c’è il rischio di dare risalto a produzioni di cui non sappiamo origine e finalità. Si può addirittura prefigurare la situazione di un ragazzino di 15 anni che con il suo pc si diverte a fare collage che riguardano Roma, e diffonderli online ma non è detto che la simpatia per le cause estreme possano necessariamente passare dalle parole ai fatti”.
Lotta al terrorismo. Insomma, tra cautela e allerta, la galassia jihadista italiana è diventata per gli inquirenti sempre più fluida e meno strutturata. Anche le persone arrestate a Torino e Foggia, rivelano di non essere veri e propri membri dello Stato islamico. Erano persone che dall’Italia s’ispiravano alla causa dell’Isis o al più avevano qualche contatto con qualche militante ma non erano membri organici. “Da una parte possiamo essere rassicurati perché grandi attacchi richiedono un minimo di partecipazione di persone organizzate. Per cui sarà difficile avere un nuovo 11 settembre. Dall’altra però ci troviamo di fronte ad una minaccia sempre possibile. L’attacco di Nizza in questo senso è indicativo perché seppur compiuto da una sola persona, senza alcun aiuto e rete di sostegno, provocò 87 morti.
Strategia di de-radicalizzazione. “Una cosa che come Ispi segnaliamo – conclude Marone – è il fatto che da una parte l’Italia è un Paese avanzato come apparato repressivo di arresto, coordinamento delle varie forze e uso delle espulsioni. Un sistema che ha dimostrato fino ad oggi di saper funzionare. L’altro aspetto meno positivo è che siamo uno dei pochi Paesi europei che non ha ancora elaborato una strategia nazionale di iniziative di contro-radicalizzazione e di de-radicalizzazione, politiche che coinvolgono non solo le forze dell’ordine ma anche le forze della società civile, dalle comunità islamiche, alla scuola, al terzo settore, all’associazionismo. Da questo punto di vista, siamo ancora all’anno zero”.