Dal Mondo
Guinea Bissau: Lucia ora è felice. No al matrimonio combinato a 15 anni grazie a un missionario e a una giudice
“In un villaggio della Guinea Bissau dove abitavo qualche anno fa, un giorno le suore mi dissero che una ragazza, Lucia, era andata da loro piangendo, perché il papà le aveva detto che avrebbe dovuto sposare un uomo che lei neppure conosceva e con cui il padre aveva già preso accordi. La ragazza aveva poco più di 15 anni e l’uomo che doveva sposare era molto più vecchio di lei e aveva già altre mogli. Andai a parlare con il papà, che conoscevo bene. Mi disse che ormai era stato deciso e che non poteva cambiare idea”. È padre Celso Corbioli, missionario Omi (Missionari Oblati di Maria Immacolata), a raccontare una storia delicata e, se così si può dire, a “lieto fine”.Un matrimonio combinato, dunque, come spesso ne accadono in vari Paesi del mondo, con una ragazzina costretta a sposare un uomo che non ama e neppure conosce. Ma padre Corbioli non demorde.
Ricorso alla giustizia. “Era un tempo molto critico per la Guinea (vendette politiche, imprigionamenti arbitrari…) per cui era difficile fidarsi delle autorità civili. Chiesi consiglio a chi si occupa di queste situazioni e mi consigliarono di andare a parlare con una giudice dei diritti dei minori. Aveva il suo ufficio al ministero della Giustizia. Andai subito”. La giudice ascoltò attentamente la storia di Lucia, testimonia il missionario (il cui racconto è pubblicato sul sito della Fondazione Missio). “In Guinea esistono delle leggi – sono parole del magistrato – e noi siamo qui per farle rispettare. Il fatto è che molti non lo sanno e, anche se lo sapessero, hanno paura delle gravi ritorsioni che ne potrebbero scaturire dai propri familiari o dalla gente del villaggio”. Poi aggiunse che, “per risolvere la cosa, sarei dovuto tornare con la ragazzina e con un suo documento di identità: sarebbe bastato anche un documento della scuola, purché vi fosse scritta la sua età”. Tornato al villaggio, il missionario manda a chiamare la ragazza e le chiede: “Saresti disposta a venire con me in tribunale a raccontare la tua storia alla giudice?”. “Sim, N’misti (cioè: Sì, lo voglio)”, la risposta decisa della 15enne.
Parole convincenti. La giudice ascoltò il racconto di Lucia, ponendole delle domande specifiche e le promise che l’avrebbe aiutata a uscire da questo incubo, ma, perché tutto avesse forza di legge, la ragazza sarebbe dovuta ritornare con il padre, al quale sarebbe stato chiesto di firmare una dichiarazione in cui lasciava libera la figlia di completare i suoi studi e di sposarsi quando e con chi voleva. A questo punto Lucia rispose: “Mio papà non accetterà mai. Se sa che sono stata qui, mi ammazza!”. “Non ti preoccupare. Tuo papà non saprà mai che tu sei stata qui. Lascia fare a noi”, rispose la giudice. La quale inviò al padre una lettera di comparizione per lui e la figlia. Quando i due si presentarono in tribunale, la giudice pose al papà le domande di rito sulla figlia, ma alla domanda sull’età il padre mentì dicendo che era maggiorenne. “È vero – la domanda successiva – che la vuoi dare in sposa a qualcuno?”. Alla risposta affermativa del padre, gli fu fatto notare che era contro la legge: “Non si può forzare una figlia minorenne a sposarsi. Lo sai che rischi la prigione?”. “No, non lo sapevo. Ma voi come fate a sapere tutte queste cose?”, rispose il padre. Ferma la replica: “Noi sappiamo tutto, noi abbiamo antenne dappertutto”. L’uomo allora temette l’arresto. “Se non vuoi finire in prigione, devi firmare una lettera in cui dichiari che lasci libera tua figlia di proseguire i suoi studi e poi di sposarsi quando vuole e con chi vuole”, le parole della giudice. Il padre non avrebbe certo voluto firmare quella dichiarazione, ma il timore del carcere lo convinse a farlo senza pensarci troppo.
Una vera famiglia. Il missionario infine commenta: “Gli anni sono passati. Lucia, terminata la scuola, ha cominciato a frequentare l’università per diventare infermiera. Nel frattempo, si è sposata con chi ha voluto e ha avuto una bambina. All’inizio il padre non voleva saperne, ma con il tempo si è riconciliato con tutti. E la giudice ci aiutò in seguito a risolvere altri casi simili a questo. Credo che non dobbiamo aver paura di impegnarci in prima persona per far trionfare la giustizia, specie verso i più deboli, anche se questo richiede tempo, fatica e costanza”.