Il beato don Gnocchi

“La carità fa più bene a chi la fa che a chi la riceve..” (beato don Carlo Gnocchi)

Come avete potuto intendere dal nome dell’autore del verso, oggi voglio parlarvi del beato don Carlo Gnocchi. Nasce da un umile famiglia a san Colombano di Lambro nel Milanese il 25 ottobre 1902. Il dolore sarà suo compagno per tutta la vita. Giovanissimo perde il padre e il primo dei fratelli, e non distante perderà anche il secondo fratello tutti e due giovanissimi. Il desiderio del sacerdozio nasce presto frequentando la parrocchia. La madre, Clementina Pasta, una santa donna nonostante la perdita dei figli e del marito, seppur sola riesce a sostenerlo nella suo cammino verso il sacerdozio. Si legge in uno scritto: “Signore, due miei figli li hai già presi, il terzo, Carlo, te lo offro io perché tu lo benedica e lo conservi al tuo servizio”, una frase-preghiera che dice tanto, dice tutto.

A 23 anni, l’arcivescovo di Milano, Eugenio Tosi, lo consacra a Dio con l’imposizione delle sue mani e la preghiera di ordinazione. È il 5 giugno del 1925. La passione e preoccupazione del giovane don Carlo è la crescita spirituale dei bimbi e dei giovani che frequentano l’oratorio. Fa bene quello che fa, con amore e dedizione, con allegria e devozione. È un punto di riferimento per la popolosa parrocchia di san Pietro in Sala di Cernusco sul Naviglio. Dal 1926 al 1936 è tutto per i ragazzi e la gente della parrocchia. Si parla di lui nei corridoi importanti della diocesi e ovunque. Giunge agli orecchi dell’arcivescovo Alfredo Idelfonso Shuster che lo nomina direttore spirituale del prestigioso collegio l’Istituto san Luigi Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Sul finire degli anni 30, Shuster lo nomina cappellano della II Legione Universitaria della M.V.S.N. (una sorta di gruppo para-militare fascista) a cui venivano inglobati i ragazzi della Gonzaga e dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Gesù di Milano del padre Agostino Gemelli. Nel 1939 perde la mamma a cui era legatissimo. Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale don Gnocchi parte volontario, è incorporato al Battaglione alpini “Val Tagliamento” che viene spedito al fronte greco-albanese.

Torna sano e salvo, ma ha nel cuore il disagio per i tanti ragazzi rimasti vittime della guerra. Terminata la campagna nei Balcani, non passa troppo tempo… e ancora la guerra lo vede partecipe con il grado di tenente al fronte russo come cappellano della Divisione alpina “Tridentina”. Partecipa anche direttamente negli scontri a fuoco nella battaglia Nikolaevka. Rientra sopravvissuto anche a questa guerra raccogliendo dai feriti e malati le loro ultime volontà. Quante lettere da portare su per le valli alpine nella bisaccia di don Carlo. Quante madri e padri, fratelli o sorelle, figli o figlie dovrà consolare. La cosa più difficile è il triste incontrare coloro che aspettano chi non tornerà più. È un dolore straziante per don Carlo, non ha più lacrime, il groppo in gola si è fatto di marmo, talmente duro è il suo incarico, soprattutto quando vede che chi manca è l’unico sostegno per quella o l’altra famiglia.

Vuole aiutare tutti, entra a far parte dell’O.S.C.A.R. un gruppo che si rende disponibile per aiutare Ebrei, prigionieri alleati, ex fascisti a passare il confine svizzero e mettersi in salvo. Finita la guerra e il suo strascico di vendette e guerre intestine, è tempo di tirarsi su le maniche. C’è tanto da fare: la ricostruzione di ciò che la guerra ha distrutto, case, chiese, fabbriche e soprattutto famiglie. Fondò l’Istituto Arosio, nell’intento di accogliere i bambini vittime innocenti delle bombe, invalidi di guerra e civili: saranno conosciuti come Mutilatini. Arriveranno fondi e aiuti per costruire una rete di collegi in tutta Italia: Cassago Magnano, Inverigo, Parma, Pessano, Torino, Roma, Salerno, Milano, Firenze e Genova.. Non contento riuscirà nell’intento di aprire anche istituti per coloro (bambini) affetti da poliomelite.

Don Carlo si è dato da fare, tanto. Ha corso in lungo e in largo, togliendo sonno e riposo ai suoi occhi e al fisico oramai debilitato. Siamo alla fine. L’ultimo suo dono, morente, sono le sue cornee a due ospiti ciechi dell’istituto. Stringe il suo amato Gesù crocifisso al petto, quel crocifisso regalatogli dalla madre dalla quale Carlo era inseparabile. Sono le 18,45 del 28 febbraio del 1956. Il tumore ha vinto. La metastasi lo aveva raggiunto all’apparato respiratorio oltre che allo scheletro. Il 25 ottobre 2009 il suo nome è iscritto nel Martirologio Romano. 

“Prima ti dicevo: ciao don Carlo. Adesso ti dico: ciao san Carlo.” (Un mutilatino all’esequie di don Carlo Gnocchi)