Il lago di Quarto (Sarsina): secondo l’esperto occorre svuotare il bacino dai detriti

Si torna a parlare della diga di Quarto (Sarsina) come risorsa da sfruttare. Almeno ogni 3-4 anni, qualcuno torna sull’argomento, ma poi in concreto nessuno ha mai fatto nulla. Oggi, a causa della siccità e dell’idea di accumulare le acque piovane, potrebbe davvero essere l’occasione giusta per valorizzare di più il manufatto, anche se ci sono degli ostacoli che sembrano difficili da superare.

Chi ha studiato a lungo diga e lago è stato Carlo Ammoniaci originario di San Piero in Bagno, ex dirigente del Consorzio agrario e oggi in pensione: nell’anno accademico 1977-‘78 si laureò con una tesi relativa al bacino artificiale. A lui siamo tornati a chiedere un’opinione, come già facemmo su queste colonne anni fa.

“Mi sono laureato in Agraria – esordisce Ammoniaci – a Bologna discutendo la tesi dal titolo Il lago di Quarto, degradazione di un bacino artificiale. Già dal titolo si comprende che negli anni ’70 il bacino era in buona parte interrato, più o meno come lo è oggi. La mia tesi fra le varie funzioni aveva lo scopo di dare informazioni per permettere una maggiore durata funzionale di queste opere. Non va trascurato che un lago artificiale costituisce una riserva idrica di acqua potabile per uso domestico, così come una potenzialità per l’agricoltura e la zootecnica”.

A causa della particolare conformazione del territorio e delle colline circostanti, il bacino si è interrato molto rapidamente. Nel 1925, anno della costruzione della diga, la capacità dell’invaso era pari a 4,5 milioni di metri cubi. Lo si evince dalla tesi e Ammoniaci aveva ricavato tutti i dati presso l’archivio dell’Enel, a Firenze. Ma dopo soli 8 anni l’apporto di detriti era tale che la capacità era già dimezzata, scendendo a 2,2 milioni di metri cubi. Per fare un confronto, Ridracoli ha una capienza di circa 33 milioni di metri cubi.

“L’interramento è stato veloce – continua Ammoniaci – e progressivo: nel 1938 la capacità era scesa a 1,7 milioni di metri cubi, mentre nel 1958 era pari a 617mila metri cubi. Nel 1977, anno del mio rilevamento, avevo stimato una capacità di circa 517mila metri cubi. Da allora penso che le cose siano rimaste pressoché stabili”.

Quando la diga è piena, il livello dell’acqua è a quota 317,80 metri sul livello del mare. Ridracoli, ad esempio, è a 557.30 metri sul livello del mare. La profondità del lago di Quarto, in origine, era in media di 5 metri nel ramo del torrente Para e 8 metri sul Savio. Le punte massime di profondità sono 11 metri sul Para e 12 sul Savio.

Ma come mai il lago di Quarto si è interrato in così breve tempo? Ammoniaci ha le idee molto chiare: “I motivi sono molteplici. Prima di tutto all’epoca le pendici dei monti, e si tratta di un bacino di oltre mille ettari, erano quasi totalmente brulle e la mancanza di alberi ha causato forti fenomeni erosivi. In più, all’epoca non erano state costruite briglie di contenimento, cioè quelle particolari strutture che rallentano il flusso dei torrenti limitando in tal modo anche l’erosione. Se la diga fosse costruita oggi sono certo che il lago avrebbe un tempo di interramento molto più lungo”.

Riguardo all’ipotesi di utilizzo dell’acqua del Savio per scopi potabili, Ammoniaci non si sbilancia: “Non sono esperto su questo versante, ma di certo prima occorre vuotare il bacino dai detriti. E non si tratta di una cosa da poco: sono oltre 4 milioni di metri cubi di argilla e limo che, una volta movimentati, aumentano di volume. E poi occorre trovare siti dove depositarli”. 

C’è un’altra curiosità legata ad Ammoniaci: suo padre Pietro è stato geometra capo della Forestale e ha lavorato dalla fine degli anni ’50 fino ai primi anni ’90, sempre in valle. I mille ettari del bacino del Savio, negli anni successivi alla guerra, erano quasi spogli, con pochissima vegetazione. Grazie al lavoro di decenni da parte della Forestale la Valle oggi è totalmente coperta di boschi.

“Mio padre e tutti gli uomini della Forestale – conclude Ammoniaci – hanno piantato milioni di alberi. Nelle foto d’epoca si vede chiaramente che i monti erano brulli e questo comportava fenomeni di ruscellamento. Oggi, se i nostri monti sono ricoperti di vegetazione, lo si deve al paziente lavoro degli uomini della Forestale in cui mio padre, per decenni, ha lavorato con dedizione e impegno”.