Dalla Chiesa
“Il Signore della vita ci liberi da questa morte della guerra”
“Vorrei fare un minuto a ricordare le vittime della guerra”. È l’invito del Papa, al termine dell’udienza di oggi, prima dei saluti ai fedeli di lingua italiana. “Le notizie delle persone isolate, delle persone che fuggono, delle persone morte, delle persone ferite, tanti soldati caduti di una parte e dell’atra sono notizie di morte”, ha proseguito Francesco. “Chiediamo al Signore della vita che ci liberi da questa morte della guerra”, l’appello: “con la guerra tutto si perde, tutto. Non c’è vittoria in una guerra, tutto è sconfitto. Il Signore invii il suo Spirito perché ci faccia capire che la guerra è una sconfitta dell’umanità, che abbiamo bisogno di sconfiggere tutti, facendo la guerra, un bisogno che ci distrugge, e ci liberi da questo bisogno di autodistruzione”.
“Preghiamo perché i governi capiscano che comprare armi e fare armi non è la soluzione al problema”, l’appello del Papa: “La soluzione è lavorare insieme per la pace, e come dice la Bibbia fare delle armi strumenti per la pace”. “L’odio e la rabbia alla guerra io l’ho imparato da mio nonno, che aveva fatto il Piave nel 1914”, ha rivelato Francesco nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI e dedicata all’eredità della vecchiaia.
“Lui me l’ha trasmesso – ha proseguito il Papa – perché mi ha raccontato le sofferenze della guerra. E questo non si impara dai libri, si impara così, dai nonni ai nipoti: la trasmissione dell’esperienza di vita dai nonni ai nipoti è insostituibile”.
“Oggi non è così, pensiamo che i vecchi siano materiale di scarto; non è cosi, e i giovani devono sentire i vecchi”, la denuncia: “nella nostra cultura, così politicamente corretta, questa strada appare ostacolata in molti modi: nella famiglia, nella società, nella stessa comunità cristiana. Qualcuno propone addirittura di abolire l’insegnamento della storia, come un’informazione superflua su mondi non più attuali, che toglie risorse alla conoscenza del presente, come se noi fossimo nati ieri”.
“Non è leale l’ideologia che piega la storia ai propri schemi; non è leale la propaganda, che adatta la storia alla promozione del proprio gruppo; non è leale fare della storia un tribunale in cui si condanna tutto il passato e si scoraggia ogni futuro”.
È il triplice monito di Francesco, che poi ha spiegato: “Essere leale è raccontare la storia com’è, e soltanto lo può raccontare bene chi l’ha vissuta. Per questo è molto importante ascoltare i vecchi, ascoltare i nonni”. I Vangeli stessi, ha fatto notare il Papa, “raccontano onestamente la storia benedetta di Gesù senza nascondere gli errori, le incomprensioni e persino i tradimenti dei discepoli. Questa è la storia, questa è la verità, questa è testimonianza. Questo è il dono della memoria che gli anziani della Chiesa trasmettono, fin dall’inizio, passandolo di mano in mano alla generazione che segue”.
“I vecchi sono la storia e trasmettono la storia”, la tesi enunciata all’inizio della catechesi. Questo è il nocciolo del Cantico di Mosè: la fedeltà di Dio che ci accompagna tutta la vita”. “Quando Mosè pronuncia questa confessione di fede è alle soglie della terra promessa, e anche del suo congedo dalla vita”, ha ricordato Francesco: “Aveva centoventi anni, annota il racconto, ma gli occhi non gli si erano spenti. Questa capacità di vedere, non solo fisicamente ma anche simbolicamente, che hanno gli anziani, che sanno vedere il significato più radicato delle cose. Mosè vede la storia e trasmette la storia. Una vecchiaia alla quale viene concessa questa lucidità è un dono prezioso per la generazione che deve seguire. L’ascolto personale e diretto del racconto della storia di fede vissuta, con tutti i suoi alti e bassi, è insostituibile. Leggerla sui libri, guardarla nei film, consultarla su internet, per quanto utile, non sarà mai la stessa cosa. Questa trasmissione – che è la vera e propria tradizione, la trasmissione concreta dal vecchio al giovane – manca molto oggi, e sempre di più, alle nuove generazioni. Perché? Perché questa civiltà nuova ha l’idea che i vecchi sono materiali di scarto, vanno scartati: questa è una brutalità!”.
“La fede si trasmette in dialetto, cioè nel parlato familiare, fra i nonni e i nipoti, fra i genitori e i nipoti”, ha ribadito il Papa. “La fede si trasmette sempre nel dialetto familiare ed esperienziale negli anni”, ha proseguito: “per questo è importante il dialogo dei bambini con i nonni, che sono coloro che hanno saggezza della fede”. Poi ha segnalato una “strana anomalia”: “Il catechismo dell’iniziazione cristiana attinge oggi generosamente alla Parola di Dio e trasmette accurate informazioni sui dogmi, sulla morale della fede e sui sacramenti. Spesso manca, però, una conoscenza della Chiesa che nasca dall’ascolto e dalla testimonianza della storia reale della fede e della vita della comunità ecclesiale, dall’inizio fino ai giorni nostri. Da bambini si impara la Parola di Dio nelle aule del catechismo; ma la Chiesa la si ‘impara’, da giovani, nelle aule scolastiche e nei media dell’informazione globale”. “La narrazione della storia di fede dovrebbe essere come il Cantico di Mosè, come la testimonianza dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli”, la proposta di Francesco: “Ossia, una storia capace di rievocare con commozione le benedizioni di Dio e con lealtà le nostre mancanze. Sarebbe bello che ci fosse, fin dall’inizio, negli itinerari di catechesi, anche l’abitudine di ascoltare, dall’esperienza vissuta degli anziani, la lucida confessione delle benedizioni ricevute da Dio, che dobbiamo custodire, e la leale testimonianza delle nostre mancate fedeltà, che dobbiamo riparare e correggere”.