Il vescovo Douglas alla marcia della pace: “La non-violenza, uno stile di vita che abbatte steccati”

Tanta gente, come da lunga tradizione, oggi pomeriggio a Cesena alla consueta Marcia della pace che si tiene ogni primo dell’anno in occasione della Giornata mondiale della pace giunta alla 56esima edizione. 

A guidare il lungo corteo che si è snodato dalla chiesa di San Domenico fino alla Cattedrale c’era il vescovo Douglas Regattieri con il vicario generale, don Pier Giulio Diaco, e il vicario per la pastorale, don Walter Amaducci. Numerosi i preti tra la folla.

Durante il percorso sono state letti alcuni passaggi del messaggio di papa Francesco scritto per l’occasione, dal titolo “Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”.

In Cattedrale sono state ascoltate alcune testimonianze. Giulia, infermiera all’ospedale “Bufalini” di Cesena parla della pandemia e parte dalla domanda posta da papa Francesco: cosa ha insegnato la pandemia? “Ho avvertito in quei mesi – dice – tutta la mia impotenza” di fronte alla malattia. Poi una piccola confessione: “Mi sentivo privata di qualcosa, visto che non potevo comunicare con gli ammalati. Lo si poteva fare solo con lo sguardo”. I presidi sanitari che si indossavano non davano altra possibilità. “Solo la disponibilità di cuore aiuta ad affrontare anche i momenti più bui. Con alcune colleghe siamo riuscite a confrontarci. In maniera misteriosa il Signore mi è venuto incontro con volti e fatti”. Poi una citazione dal testamento spirituale del papa emerito Benedetto XVI: “Ringrazio Dio stesso, dispensatore di ogni buon dono”. Giulia conclude: “Anche i tratti più bui del mio cammino sono stati illuminati da questa consapevolezza”.

Le foto sono di Pier Giorgio Marini

Paolo Baldisserri, di Famiglie per l’accoglienza, illustra la collaborazione nata tra associazioni nell’ospitalità a profughi ucraini. La nostra associazione, Avsi, Banco di solidarietà, Scuole del Sacro cuore, La Comitiva, la Caritas diocesana e le Caritas parrocchiali. “Abbiamo compreso – aggiunge Baldisserri – che accogliere significa partire da un’accoglienza tra di noi e che le persone che accogli non sono come le vuoi tu”. Quindi ha raccontato dei ragazzi che cercavano la connessione Internet e della signora che si preoccupava di sistemare il gatto. O delle merende che non andavano bene finché non sono andati ad acquistarle nel negozio ucraino in centro a Cesena. 

La professoressa Bernardetta Pasolini, che ha trascorso tanti anni in Russia, ha capito che dalla lingua imparata in quegli anni si poteva ottenere qualcosa. “Pensavo – precisa – che gli ucraini non ne volessero sapere di russo, invece ho scoperto che le loro due lingue, il russo e l’ucraino, fanno parte della loro storia. Abbiamo imparato a comprendere le loro necessità dalla concretezza dei loro bisogni. Ed è cresciuta anche la familiarità tra noi”.

Olga è qui con un figlio di 17 anni. Racconta: “Siamo partiti dall’Ucraina il 23 marzo e siamo arrivati a Cesenatico il 28. A Bagnarola ci hanno dato tutto. A noi adulti il lavoro, ai nostri figli la scuola. Ci hanno insegnato l’italiano. Per una nonna che è con noi è stato predisposto un intervento chirurgico. Lucia e Costante ci stanno vicini ogni giorno. E con loro tutti i parrocchiani di Bagnarola, con il parroco don Giovanni”.

A Olga segue Valentina che aggiunge: “Siamo stati costretti a lasciare all’improvviso la nostra casa, colpita da un razzo. Eravamo senza elettricità. Non eravamo pronti. È stato spaventoso. I bombardamenti sono stati pesanti. Abbiamo bambini piccoli e così abbiamo deciso di partire. Abbiamo scelto di venire qui in Italia, perché qui abbiamo amici”. Poi elenca gli amici trovati nel nostro territorio, tra cui Avsi, la famiglia Comandini, Bernardetta... “Abbiamo sempre una risposta. Sono tutte persone dal cuore grande. Qua ci sentiamo al sicuro. Abbiamo scuola e lavoro. Noi siamo per la pace nel mondo”.

Nel suo intervento, dopo le forti testimonianza ascoltate, il vescovo Douglas ricorda che “abbiamo bisogno anche di riflettere”, in particolare in questo periodo in cui sembra “ci sia una diffusa perdita di fiducia. Noto un certo sconsolamento che potrebbe portarci all’inattività”.

“Abbiamo bisogno di uscire da una certa indifferenza – continua monsignor Regattieri -. Vi propongo tre tipi di sguardi. Il primo è uno sguardo alla pari, quello di chi si mette a livello del povero. Di chi si china sulla sua stessa linea, alla maniera del Buon Samaritano. È lo sguardo di Cristo che abbraccia dal basso. E questo deve essere lo sguardo della Chiesa. Attenzione alla vanagloria di generali che guidano eserciti sconfitti. È necessaria l’umiltà di chi si china, quell’umiltà che è un atteggiamento umano, Dobbiamo dire no ai piedistalli, come ha fatto il samaritano che è sceso da cavallo”. Il presule cita le dimissioni di Benedetto XVI: “rimarranno nella storia. Un gesto di pace intriso di umiltà”.

Il vescovo cita lo sguardo deviato, dell’indifferenza. “Papa Francesco – dice- già dall’inizio del suo pontificato, a Lampedusa, parlò di globalizzazione dell’indifferenza. Non ci interessa la sofferenza dell’altro. Non rischiamo anche noi di fare l’abitudine alle bombe su Kherson? In questi frangenti cosa ci è chiesto di fare? Siamo chiamati a lasciarci cambiare il cuore dalle emergenze vissute”.

Poi lo sguardo in avanti. Il samaritano guarda in avanti. Usa verbi al futuro. Prospetta un futuro per il povero. “Abbi cura di lui”, dice all’oste. L’ha conquistato e con lui anche altri. “Quella strada è rifiorita grazie allo sguardo in avanti del samaritano”, dice Regattieri che cita Martin Luter King e la sua forza contro la violenza: “Vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire e sopportare. E noi vi ameremo ancora”. Il presule conclude con lo sguardo. Aggiunge. “Pregare per il dono della pace secondo quattro dimensioni: altezza, profondità, lunghezza e larghezza descritte da San Paolo. L’altezza è l’amore di Dio. La profondità: la pace dipende dal cuore dell’uomo. Lunghezza: un passo in più rispetto all’odio e alla violenza. Larghezza: l’amore è sempre largo quando è vero, crea ponti e legami, non restringe mai, non isola. E questo vale anche nella Chiesa”.

Infine monsignor Regattieri cita la non-violenza, “uno stile di vita che abbatte steccati”. E ancora si chiede, in chiusura: “Cosa possiamo fare noi, per esempio verso l’Iran che maltratta le donne? Convocare l’ambasciatore è sufficiente? Non basta. Occorre interrompere relazioni diplomatiche e commerciali. Mettete sul piatto della bilancia: diritti della persona o interessi commerciali. Quale piatto deve prevalere?”.

Giulia mentre porta la sua testimonianza in Cattedrale, alla Marcia della pace di oggi