Intercultura: non solo per l’inglese, ma per affrontare il futuro

Uscire dalla zona di comfort non è facile subito. Nemmeno se a fare “il salto nel blu” è un adolescente con la prospettiva di allontanarsi dall’occhio vigile dei genitori.    

Lo sanno bene in volontari di Intercultura che hanno scelto un testimonial del calibro di Samantha Cristoforetti per raccontare dove si può arrivare quando si cerca sul serio la propria strada. Astrosamantha è la prova “provata” che una volta mollati gli ormeggi, si apre letteralmente un mondo. A raccontarlo direttamente è Margherita Rossi, 25 anni, di Villachiaviche di Cesena, volontaria di Intercultura da 8 anni, prima esperienza a 17 in Lettonia, otto mesi in un luogo mai neppure contemplato nella propria geografia immaginaria, e divenuto poi una seconda casa. 

Oggi, dopo anni di campi con i ragazzi stranieri, Margherita è responsabile di campo, ed è rimasta attiva anche in piena pandemia quando nell’autunno 2020 e primavera 2021, i pochissimi programmi attivi erano targati Intercultura che si è adoperata sia per inviare studenti italiani all’esterno sia per accoglierli. Numeri bassi rispetto al pre-pandemia, ma senza mai fermarsi. 

Margherita vive questa esperienza dal 2014, prima come viaggiatrice poi anche come volontaria, subito dopo il rientro dal primo campo. Tutti i volontari dell’associazione, giovani o adulti, hanno in qualche modo a che fare con una partenza o un arrivo, il cui fine ultimo è lo scambio culturale. “La conoscenza della lingua – spiega Margherita – è un mezzo, ma la mission (utopica, ne siamo consapevoli) sarebbe la pace nel mondo, da raggiungere attraverso la conoscenza. Un progetto maturato durante le guerre mondiali quando una compagnia di ambulanzieri si era messa a disposizione sul campo di guerra per aiutare i feriti, indipendentemente dalla loro nazionalità. Da queste relazioni tra chi operava e chi veniva aiutato sono nati scambi, inizialmente tra Francia e Stati Uniti, dal 1960 in Italia. Ora sono coinvolti 60 paesi”. L’intento è di far conoscere il progetto educativo a più persone possibile. Il mezzo principale è lo scambio tra paesi, ma si sta investendo anche in laboratori nelle scuole. 

Si parte davvero a cuor leggero?

Quando sono partita, nel 2013/2014, avevo davanti 10 mesi in Lettonia. Avevo fatto domanda a 16 anni. Sognavo di fare questa esperienza sin da piccola, stavo solo aspettando di avere l’età giusta e avevo il pallino di partire per l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Poi la disponibilità di una borsa di studio in quel paese, la conoscenza con una ragazza appena tornata da là e la voglia matta di partire hanno fatto il resto, e sono partita anche se per un Paese diverso da quello desiderato.

Com’è andata?

È andata talmente bene che sono rimasta in Intercultura come volontaria.

E la scuola?

Da Decreto Ministeriale, l’anno scolastico all’estero se fatto completamente e con successo è riconosciuto anche in Italia. E qui entra in gioco la parte linguistica. Stare 24 ore su 24 con gente che ti parla una lingua straniera permette inevitabilmente di migliorare il proprio inglese, e poi di imparare per forza la lingua del paese che ti ospita, è il pass necessario per inserirti al meglio e farti nuovi amici.

E se va male?

Prima di partire si fa formazione. Ci si prepara. Il viaggio è accompagnato da un tutor. Diamo tutti gli strumenti, compresa la valutazione dell’idoneità delle famiglie e dei ragazzi che partono. Ma resta assolutamente vero che la buona esperienza la fa il ragazzo. Sta in lui scegliere se anche in caso di intoppi – ci sono state esperienze negative e cambi di famiglia – trarre comunque beneficio oppure gettare la spugna.

Sono di più quelli che partono o quelli che arrivano da e per l’Italia?

La bilancia del dato italiano pende per i primi, poi dipende dagli anni. In un anno normale, dalla nostra provincia partono una ventina di ragazzi e ne vengono ospitati da due a cinque.

Qual è la durata minima dei soggiorni offerti?

In generale dipende dal programma e della destinazioni, nel bando ci sono tutti i dettagli compresi i costi (www.intercultura.it).  Ci sono anche soggiorni come il breve estivo, un mese, poi due mesi, tre mesi, sei mesi e 10 mesi ,ovvero l’annuale. In base al programma ci sono diverse destinazioni. Non tutte le destinazioni sono per tutti i programmi. 

Consiglierebbe senza dubbio questa esperienza?

Anche se non avessi continuato l’esperienza da volontaria, io consiglio a tutti di farlo, porta dei benefici che tuttora vedo. Ho una marcia in più rispetto ai miei colleghi di università o miei compagni e una visione più globale. E inoltre nasce un legame con i compagni di associazione, anche se sono stati in una parte opposta del mondo rispetto a quella che hai visto tu. Finita l’esperienza nasce il desiderio di fare volontariato e lo si può fare anche se non si è partiti, purché maggiorenni, come famiglia ospitante o come insegnante. O anche solo perché si è venuti in contatto con il progetto e ci si innamora. Se siamo attivi in provincia è grazie al volontariato, l’associazione organizza campi di formazione ad hoc per i volontari. Quest’anno in provincia siamo 26, e veniamo un po’ da tutta la provincia e da tutta Italia perché Cesena e Forlì sono città universitarie. Con noi abbiamo una volontaria che viene dalla Repubblica Ceca.

Per saperne di più, mercoledì 3 novembre il centro di Cesena organizza un incontro via zoom alle 21Per partecipare è necessaria l’iscrizione al sito httpss://linktr.ee/interculturafc. Per ulteriori informazioni contattare Sofia Baldazzi (3457230517) o scrivere alla mail centrolocalefc@gmail.com. Ci sono poi anche un paio di appuntamenti di persona all’info point istituito presso la sede di Assiprov Forlì-Cesena, il  6 novembre a Forlì dalle 14,30 alle 17,30 in viale Roma 124 e a Cesena, dalle 16,30 alle 19,30 in via Serraglio 18.