Cesena
Io sono mia moglie, spettacolo al cinema San Biagio
Dall’8 al 20 giugno (escluso lunedì 14) alle ore 21, e poi a Modena (Teatro Tempio, dal 22 giugno al 4 luglio) è in scena, nella nuova collocazione della sala cinema al Centro San Biagio di Cesena, in via Aldini, il monologo “Io sono mia moglie” di Doug Wright, tradotto, diretto e interpretato da Michele Di Giacomo.
Di molti temi che riguardano la sfera della sessualità in questi ultimi anni si dice, spesso, che siano divisivi: non può che essere così, dato che alcune visioni (religiose o morali) ritengono inconcepibile che ci siano persone che possano amare persone del loro stesso sesso, e che questo sia un male da estirpare. C’è e ci sarà sempre divisione al riguardo: la speranza, per la futura convivenza dell’umanità, è che ci si ricordi che, al di là degli interessi sessuali, si sta parlando sempre di persone, e le persone dovrebbero essere più importanti delle scelte ideologiche, politiche, persino religiose. Almeno, in uno stato laico e democratico.
Al centro, la vera storia di Charlotte Von Mahlsdorf, sopravvissuta da travestito all’assalto nazista e al regime comunista a Berlino, recuperando e collezionando oggetti e mobili di antiquariato: un’indagine sviluppatasi quasi come un’inchiesta giornalistica, scritta da Dough Wright, tra luci e ombre di una vita tormentata: una difficile prova per l’attore in scena, che impersona oltre venti personaggi. Il testo ha vinto il premio Pulitzer nel 2004. Charlotte, all’anagrafe Lothar Berfelde, berlinese, nata il 18 marzo 1928, ha attraversato la dittatura nazista, è sopravvissuta alla vita nella Germania dell’Est, ed ha potuto vedere le due Germanie riunite: è morta il 30 aprile 2002. La vita di Charlotte è stata molto difficile, sia perché essere omosessuali nella Germania nazista era proibito (ricordiamo che nei campi di concentramento c’erano anche loro) sia perché pure nella Germania dell’Est il fatto che un uomo si vestisse da donna, cosa che lei fece per tutta la sua vita, non era accettato. Charlotte, però, aveva una grande passione: tutto ciò che riguardava l’epoca Gründerzeit, ovvero gli anni della nascita della nazione tedesca. La Germania nasce infatti nel 1870, dopo la guerra franco-prussiana, e per epoca Gründerzeit si intende il periodo compreso fra quella data e l’inizio della Grande guerra. Charlotte, quindi, salvò mobili, suppellettili, oggetti di ogni tipo, in particolare strumenti di riproduzione musicale e migliaia e migliaia di dischi e cilindri, raccogliendo il tutto nel Gründerzeitmuseum, inaugurato nel 1959. Addirittura l’intero arredo della birreria Mulackritze, che stava per essere demolita, passò nel 1963 nel Gründerzeitmuseum. Tale birreria era il ritrovo della comunità omosessuale berlinese, e tale rimase una volta trasferita all’interno del museo. Nel 1991 un assalto di neonazisti ferì molti visitatori del museo, e spinse Charlotte a lasciare la Germania. Contemporaneamente, dagli archivi della Stasi, la polizia segreta della Germania orientale, emergeva la possibilità del suo coinvolgimento con opere di delazione nei confronti di altri appartenenti alla comunità omosessuale berlinese. Trasferitasi in Svezia nel 1997, ove aprì una versione più piccola del suo museo, ritornò a Berlino per una visita nel 2002, quando un infarto la uccise. Fu sepolta nel cimitero berlinese di Mahlsdorf, accanto a sua madre.
Come si vede, una vita difficile, tormentata: passata attraverso tre drammi, in primo luogo l’identità sessuale in un periodo storico in cui non solo non vi era attenzione a questo tema, ma in cui c’era una vera e propria persecuzione per i diversi, e in secondo luogo, l’attraversamento di due cupe epoche storiche moderne, la dittatura hitleriana e il totalitarismo della Germania orientale. Dal punto di vista teatrale, gli spettatori vedono una stanza disseminata di scatole da scarpe colme di nastri, in cui l’autore del testo, Dough Wright, rivive gli incontri con Charlotte. Lo spazio fisico diventa luogo della mente, in una ricerca volta a comprendere chi sia davvero la persona che lui ha di fronte. In scena si accampa, ed è una delle idee più efficaci, una riproduzione del Gründerzeitmuseum, una casa delle bambole, in cui decine e decine di oggetti si susseguono, ed ognuno di loro ha una sua storia da raccontare: mobili dalle case degli ebrei deportati, dalle macerie delle bombe della Seconda guerra mondiale, dalle abitazioni confiscate dalla Stasi. Michele Di Giacomo, cesenate, si impegna grandemente per lo spettacolo, e riesce a dare vita ai vari personaggi in scena con efficacia: in qualche passaggio, soprattutto nella parte finale dello spettacolo, la transizione fra una voce e l’altra non è ancora del tutto fluida, ma si tratta di un piccolissimo appunto in un’interpretazione di un’ora e mezza senza sbavature e con grande energia, attoriale, registica e umana. Un dettaglio cesenate: le musiche che si ascoltano durante lo spettacolo sono state registrate dagli strumenti di “Musicalia”, il museo di musica meccanica di Villa Silvia. Lo spettacolo è stato brillante ed emozionante, ma forse l’elemento più emozionante è giunto alla fine, quando il pubblico, non molto numeroso per le regole di distanziamento, ha applaudito con grande calore la compagnia (oltre al regista e interprete, Riccardo Canali, scene; Valentina Montali, luci; Marco Mantovani, suono). Si vedeva chiara l’emozione per essere tornati a fare teatro come si deve: in una sala, con un pubblico presente, in un dialogo muto ma efficace. È una rinascita anche questa.