Ius scholae, la “terza via” virtuosa per cittadini protagonisti

Ci sono volute le Olimpiadi per riaprire in Italia il tema dell’acquisizione della cittadinanza da parte di cittadini di origine straniera. Il dibattito (e il relativo iter legislativo), arenato nelle secche del confronto tra i partiti, pare riprendere quota. Al centro dell’attenzione c’è in particolare il riconoscimento della cittadinanza italiana alle cosiddette “seconde generazioni”: ragazzi figli di immigrati da altri Paesi che sono però nati o cresciuti in Italia.

Così si è tornato a parlare di ius sanguinis (acquisizione della cittadinanza essendo nati da un genitore che possiede quella cittadinanza) e di ius soli (essere nati in quel Paese). Poi c’è la “terza via”, che in Europa non è applicata: lo ius scholae (ma c’è anche la variante ius culturae) che lega la cittadinanza al completamento di un ciclo di studi nel Paese stesso. Ipotesi interessante, perché il soggetto non “subisce” più la cittadinanza (per nascita o per parentela), ma se ne rende protagonista, abitando nel Paese, frequentandone le scuole, apprendendone la cultura, creando – indirettamente, ma necessariamente – relazioni con i compagni, gli insegnanti e altri nuovi amici. Una prospettiva innovativa, che però in Europa non trova applicazione. Gli Stati del vecchio continente si affidano sostanzialmente, salvo qualche variante, allo ius sanguinis o allo ius soli.

Va ricordato che attualmente la cittadinanza italiana può essere acquisita in diversi modi, risultando però sempre una pratica molto restrittiva (sembra infatti prevalere una preoccupazione securitaria rispetto a quella che vede la persona integrata sul piano sociale e culturale e parte attiva della comunità nazionale). Dunque a oggi si è italiani dalla nascita, se almeno un genitore è italiano (ius sanguinisentro il compimento del 19esimo annocalciatori stranieri, il dibattito langue.

Dunque stando allo ius scholae, le proposte normative in circolazione consentirebbero l’ottenimento della cittadinanza italiana ai ragazzi, figli di genitori stranieri, che hanno fatto ingresso nel Belpaese entro il compimento del dodicesimo anno di età e che hanno completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni.

Tornando all’Europa comunitaria, e ad ampia parte delle nazioni del mondo, si evidenzia una grande diffusione dello ius sanguinis (che è la regola prevalente, ad esempio, in Germania, Francia, Polonia, Romania, Svezia, Ungheria, Danimarca). Ma si registrano anche formule miste, come lo ius soli “temperato” o “rafforzato”, detto anche “doppio ius soli” (nascita da genitori stranieri che abitano da alcuni anni nel Paese; almeno uno dei genitori è nato in quel Paese), che valgono in Germania, Francia, Spagna, Belgio, Irlanda, Portogallo Paesi Bassi. Nessuna ipotesi di ius soli, invece, finora in Italia, Polonia, Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Romania.

L’Istituto di statistica dell’Unione europea Eurostat ha elaborato mesi fa una ricerca, su dati del 2023, secondo cui il tasso di naturalizzazione dei cittadini di origine straniera è molto basso, attorno al 5 per cento nella quasi totalità degli Stati membri Ue. Solamente in Svezia e nei Paesi Bassi supera il 10 per cento. In alcuni Paesi orientali e baltici il dato non arriva all’1 per cento, mentre in Italia si colloca sotto il 3 per cento.

Lo ius sanguinis è diffuso in Giappone e in molti Stati dell’America Latina tra cui Brasile e Messico. Per diventare cittadini cinesi occorre avere almeno un genitore cinese oppure nascere da genitori che da tempo stabilmente risiedono nel Paese. In India occorre aver vissuto continuativamente per almeno 12 anni dei 14 che precedono la richiesta. Gli Stati Uniti si affidano invece allo ius soli, pratica sancita dalla legge che ha contribuito a far grande il gigante nordamericano, principio più volte contestato dal candidato alla presidenza Donald Trump (ci sono poi altre opportunità legate al processo della “green card”).

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