Diocesi
Johnny Dotti scuote l’uditorio: “Cosa lasceremo ai giovani, solo badanti e pannoloni”
“Perché è così difficile oggi?”. Se lo chiede Johnny Dotti, formatore, pedagogista e imprenditore sociale, in avvio di serata al terzo appuntamento con la Scuola diocesana di Dottrina sociale della Chiesa, giovedì 30 marzo in seminario, su proposta della Commissione Gaudium et spes. «La vita è un pellegrinaggio – aggiunge -. Cos’è l’eternità: è l’allungamento della vita materiale. Ma oggi rimane un problema di gioia. Come credenti, non riusciamo più a essere una comunità vivente. Siamo anche noi del mondo. Pensate al matrimonio, il luogo del perdono. Sarebbe così liberante, se lo vivessimo in questo modo, invece… Invece lo gnosticismo ci condanna a un moralismo triste. E il nichilismo più brutto è quello di chi fa la predica agli altri. Guardiamoci attorno: non ci sono più figli e non ci sposiamo più».
Cos’è la libertà per noi cristiani?, si chiede ancora il relatore. Siamo in tempi in cui vale ciò che funziona, infatti «l’importante – fa notare – è che tu lavori e che vai, se poi ti fai di cocaina… Siamo immersi nella banalità del male. Anche il campo di sterminio di Auschwitz funzionava. Anche qua Cesena vale ciò che funziona? Vale il come più del perché o del chi?».
Invece, come insegna il Vangelo, «la conoscenza è il rischio esistenziale dell’incontro con l’altro. È il vieni e vedi. Prendi la tua croce e seguimi. Qui si parla del coinvolgimento della nostra libertà radicale. Oggi il sistema capitalistico gnostico è la più grande religione che ci ha ridotti solo a produttori o consumatori». Con quale conseguenza per tutti noi? «La velocità è la modalità di sfuggire all’angoscia – riflette Dotti -. Infatti ci stiamo schiantando contro un muro, anche a motivo di due falsi miti: il primo produci e consuma. Il secondo: più confort possibile e più a lungo possibile. Invece penso che la tecnologia non ci salverà e che la salvezza stia nella pienezza della vita». L’obiettivo è il confort, anche per i credenti, sostiene Dotti, che insiste nella sua arringa che non lascia tempo per il respiro. «I cattolici non studiano più e si dividono tra progressisti e tradizionalisti – affonda la lama nella piaga -. Cristo non è solo storia. Mangio il suo corpo vivente quando faccio la Comunione. Qua c’è la salvezza, ma altrimenti cosa vengo a fare in chiesa?».
Ma noi tutti siamo per la sicurezza e il controllo della vita e di chi ci vive accanto. «Un figlio è perennemente un mistero – prosegue Dotti –. Lo vogliamo capire? E il matrimonio si sa che non funziona. Si mettono insieme due vuoti, ma è lì che non bisogna avere la pretesa di sapere già tutto. L’amore coniugale fa nascere sempre qualcosa». Dotti invita ad agire come attori, non come spettatori. Come comunità che fa nascere qualcosa che prima non c’era. Sussidiarietà e solidarietà hanno bisogno di essere testimoniate con la vita. I beni comuni saranno fondamentali nei prossimi anni. Non sono né pubblici né privati, come ad esempio l’acqua. «Chiediamoci: noi c’entriamo con questi fatti? Con la scuola, con il welfare, con la salute? Cosa lasceremo alle nuove generazioni? Solo badanti e pannoloni? La sfida è creare luoghi di vita. In Italia uno su sei si interessa degli altri. Allora perché in giro c’è tanta tristezza? Perché questa sera non ci sono i giovani? Dove vivo io siamo una comunità di famiglie. A pranzo siamo in 25. Non abbiamo chiavi per chiudere le case».
Nel dialogo con i presenti Dotti distribuisce frasi dense di significato, che lui invita a incarnare. «Bisogna tornare a fare come ai tempi della fondazione delle Bcc e dei sindacati. Non c’era uno che guidava dall’alto, ma si mettevano insieme debolezze per essere più forti». Che significa servire? «Essere con qualcuno e non fare qualcosa. Ecco perché dico alla Caritas: meno pacchi e più abbracci. Portatevi a casa dei figli, perché sono gli incontri che ti cambiano la vita». Da chi amministra la cosa pubblica, Dotti si attende l’ascolto. «Sarebbe già tanto», chiosa. La vita è rischiosa e mortale, «ecco perché un figlio di sette anni lo mando a scuola da solo e a piedi. Rischia? Sì, ma intanto incontra qualcuno con cui parlare e lo conosce». E i bambini al catechismo? «Portateli a un matrimonio, a un funerale, una notte nel bosco ad abbracciare gli alberi – suggerisce il formatore -. Il cristianesimo non è un’ideologia. È vita. E la vita ci presenta sempre situazioni concrete».
«Ma stiamo sereni – conclude Dotti -. Qualcosa succederà. Occorre avere speranza, anche perché dobbiamo essere consapevoli che il valore di un’azione solidale è che tu non mangi i frutti di quell’azione».