La dottrina sociale della Chiesa per combattere i paradossi del turbocapitalismo

Si è concluso ieri sera, con la relazione del professor Michele Dorigatti della scuola di Economia civile di Firenze, il primo anno del nuovo corso di Dottrina sociale della Chiesa diocesana. Tema della serata “il bene comune e la destinazione universale dei beni”, ponendo particolare attenzione allo “scandalo della disuguaglianza” come ripetuto più volte dallo stesso professore.

“Anzitutto dobbiamo chiederci come mai quel patrimonio che è la Dottrina sociale, non venga studiato dai cattolici ed utilizzato nella vita pubblica – ha esordito Dorigatti – É come avere un tesoro e tenerlo sotterrato! Invece deve essere condiviso” per contrastare quei paradossi figli del turbocapitalismo.

Elencandoli, la riflessione si è concentrata su alcuni di essi quali la mancata crescita occupazionale in un mercato globale in espansione, l’isolamento esistenziale all’interno del villaggio unico globale e la crescente illusione neoliberista a scapito della responsabilità d’azione.

“Perché nell’epoca delle connessioni (social network, Wi-Fi) siamo sempre più collegati, eppure sempre più soli? Come mai nonostante lo sviluppo economico globale, non siamo in grado di produrre i posti di lavoro necessari all’occupazione? Per quale motivo in economia, ma non solo, la L di libertà è cresciuta a dismisura, come diceva Viktor Frankl, e invece la R di responsabilità si è drasticamente rimpicciolita?” ha domandato ai presenti.

La risposta è stata individuata nell’aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche. “La crisi che stiamo attraversando da oltre dieci anni – ha affermato – è in realtà un cambio di paradigma e non qualcosa di semplicemente transitorio ed assume sempre più caratteri multidimensionali, come la differenza di salario tra uomini e donne, il divario crescente tra nord e sud del mondo (in Italia tra settentrione e mezzogiorno) o gli ostacoli che una famiglia numerosa incontra quotidianamente, piuttosto che una con un solo figlio”.

Ma è contro le disparità di ricchezza globali che Dorigatti ha alzato maggiormente la voce, puntando il dito sulla pretesa liberista di autoregolamentazione del mercato e sulla concentrazione delle maggiori ricchezze del mondo in mano a pochi miliardari. “Non esiste una economia neutra o a-morale, poiché l’economia è una scienza che deve rapportarsi con la felicità dell’uomo, come affermava già nel Settecento l’inventore dell’economia civile Antonio Genovesi: essa è scienza della felicità, ma se ci occupiamo solo di PIL non capiremo mai quanto sia importante non solo la quantità, bensì la qualità della vita”.

“Siamo stati contagiati dal pensiero americano della trickle down economy – ha proseguito – pensando che la ricchezza dei pochi sarebbe poi ricaduta sui molti. Ma è falso. Quei pochi hanno allargato il loro bicchiere, senza lasciare ai poveri nemmeno le gocce. É possibile che 8 persone nel mondo detengano la stessa ricchezza di 3,5 miliardi di uomini?”. E cita i nomi delle grandi multinazionali quali Microsoft, Facebook, Zara, H&M e dei loro fondatori e manager, snocciolando numeri di dividendi da capogiro.

Da consumatore possiamo incidere sul mercato con la strategia del voting with your wallet: il tuo acquisto è come un voto e le aziende sono sensibili a come spendiamo i nostri soldi. Provate ad andare a fare colazione in un bar che non ha slot machine e il proprietario si accorgerà della differenza”.

Forse che allora si deve andare contro l’economia di mercato si è domandato qualcuno? “Niente affatto – ha risposto secco il professore – come diceva Paul Ricoeur questo sistema è l’unico in grado di generare ricchezza, ma non dobbiamo ignorarne i rischi e la disuguaglianza è il primo dal quale metterci in guardia. Lo ricorda anche papa Francesco e lo ripeto stasera: la disuguaglianza non è una costante del sistema, ma il frutto delle regole che il sistema stesso si dà. Quando non prevale la democrazia, si impone la plutocrazia”.

Quali esempi virtuosi poter dunque recuperare? “Il compianto Dossetti, che ho avuto l’onore di conoscere, richiamava i cristiani alla dimensione delle sentinelle nella società, ma per farlo occorre che i cattolici conoscano e utilizzino gli strumenti della Dottrina sociale”.

Infine “non dimentichiamoci di imprenditori virtuosi come il buon Olivetti” ha aggiunto “un imprenditore profetico che vedeva non nel profitto, bensì nel bene comune, il fine ultimo del fare impresa. Oggi servirebbero più imprenditori come lui”.