L’appello di Confcommercio e Confesercenti: pubblici esercizi aperti fino alle 21,30

Salute e lavoro non sono, e non devono essere, in contrapposizione. A lanciare un appello per l’apertura dei ristoranti a cena, in sicurezza, sono le associazioni di categoria Confcommercio e Confesercenti di Forlì e Cesena, secondo le quali: “I protocolli ci sono e garantiscono la sicurezza. Eppure, a ottobre scorso, si è preferito colpire tutti anziché sanzionare chi non rispettava le regole. Ora ci sono dalle 50mila alle 60mila aziende che, in Italia, non riapriranno più. E, in assenza di risposte, i numeri sono destinati a peggiorare”.

Più che un grido di dolore, quello delle quattro associazioni è un appello costruttivo a rivedere certe regole di prevenzione del Covid. In un incontro con la stampa, oggi pomeriggio a Borello, i presidenti Corrado Augusto Patrignani (Confcommercio cesenate), Cesare Soldati (Confesercenti Cesenate), Roberto Vignatelli (Confcommercio Forlì), Mauro Lazzarini (Confesercenti Forlì) hanno spiegato meglio una proposta “che permetterebbe alle imprese di salvare l’80 per cento del fatturato”.

Lo hanno fatto, iconicamente, nel ristorante dell’area di servizio sulla superstrada E45, uno dei pochi a poter rimanere aperto secondo quanto previsto dal Dpcm del 4 dicembre scorso: “È la dimostrazione che lavorare secondo le regole si può e che l’obbligo di chiusura alle 18, che azzera le cene pressoché ovunque, non solo è iniquo e penalizzante, ma non è neppure sostenuto dal buon senso”.

Per questo le associazioni propongono l’apertura dei pubblici esercizi in zona gialla fino alle 21,30 (per garantire il rientro a casa entro le 22), con asporto fino alle 22 e delivery sempre. In zona arancione viene chiesta l’apertura fino alle 18 (come oggi in zona gialla) con asporto fino alle 22 e delivery sempre. In zona rossa si resterebbe chiusi, come oggi, ma con asporto fino alle 22 e delivery sempre.

La ristorazione è uno dei settori più colpiti dalla pandemia, come ha ricordato Patrignani: “Nel 2020 si stimano 24 miliardi di fatturato persi in oltre 170 giorni di chiusura, un calo del 70 per cento. Eppure, anche se chiusi, le spese dei ristoranti non si fermano e i ristori non bastano. Sono arrivati 2,5 miliardi dallo Stato, ne sarebbero serviti almeno il doppio per non rimetterci. Tra affitto, utenze e altre voci la spesa fissa per un locale medio è di 5mila euro, tasse escluse. E, nonostante la cassa integrazione, ogni dipendente grava per 137 euro al mese, una media di altri 822 euro mensili per ristorante. A queste spese vanno aggiunte tasse e assicurazioni”. Peggio ancora è andata a discoteche e cinema, oltre a palestre, piscine e sale giochi, ricordate nell’intervento del presidente di Confcommercio.

Sulle proposte presentate, le associazioni di categoria hanno già raccolto 750 firme in provincia di Forlì-Cesena.

“Non siamo una minaccia per nessuno ma una opportunità per le nostre città – ha chiuso gli interventi Andrea Zocca, responsabile pubblici esercizi Fipe- Confcommercio Forlì – e abbiamo già dimostrato come si può lavorare nella massima sicurezza. Ci sono già tanti colleghi che non potranno riaprire, cerchiamo di non peggiorare questi numeri”.