Lepori a Cesena: “La Chiesa non deve tanto apparire, ma incontrare”

In tanti ieri sera alla catechesi che dom Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine cistercense, ha tenuto in Cattedrale a Cesena. Al suo fianco il vescovo Douglas Regattieri.

«La fraternità è l’irradiamento della bellezza filiale che Cristo ci comunica – ha detto Lepori, in un passaggio del suo lungo e articolato intervento -. Un battesimo che non si compie nella fraternità è come un aborto, un seme che non cresce». Da qui il riferimento, citando gli Atti degli Apostoli, al «contagio di fraternità con gli apostoli che escono dal cenacolo».

«Oggi assistiamo a un crollo della visibilità della Chiesa – ha sottolineato il relatore -. Forse il Signore ci sta spogliando perché siamo chiamati a far vedere la bellezza umile e filiale». Chiarendo il concetto nello spazio finale dedicato alle domande del pubblico, «La Chiesa – ha detto – diminuisce in tutto, in termini di presenza, nella società, nella cultura. Si è pensato che la sua presenza fosse l’essenziale. Invece è come se la Chiesa dovesse tornare alla sua dignità essenziale: i Sacramenti, la Grazia, la Parola. E questo darà frutto. Anche la chiusura di un monastero darà frutto. È evidente che darà frutto. Noi siamo semi. Oggi sempre di più la Chiesa deve accettare questa missione, che produce una fecondità nuova. La Chiesa non deve tanto apparire, ma incontrare. Una bellezza dello sguardo su qualcuno che rivela a ognuno la sua reale bellezza».

«C’è una bellezza – l’esempio – anche nella sofferenza che solo Cristo rivela, se amata e accompagnata, vissuta come un’offerta, un dono della vita. Un seme che cade in terra e porta frutto».

La registrazione della serata è disponibile sulla nostra pagina Facebook al seguente link: httpss://fb.watch/qeVSn2N-1H/

Di seguito pubblichiamo il testo completo dell’intervento.

Catechesi Diocesane – Cesena, 15 febbraio 2024

 

padre Mauro-Giuseppe Lepori OCist

 

Battezzati in Cristo che fa nuove tutte le cose

 

 

 

Nessun distacco fra fede e battesimo

 

Mi è stato chiesto di meditare con voi sul battesimo nel quadro del primo anno di un triennio in cui nella vostra Diocesi si vuole approfondire il tema della dignità del cristiano. Questo primo anno è dunque consacrato alla fede e al battesimo.

In un sua lettera, san Gregorio di Nissa mette bene in risalto il legame intrinseco fra battesimo e fede trinitaria. Dice:

«La dottrina del Signore è questa: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Con il dono della Ss. Trinità, diventano partecipi del suo potere vivificante coloro che sono rigenerati dalla morte alla vita eterna e, per mezzo della fede, sono anche resi degni di questa grazia» (San Gregorio di Nissa, Lettere, N. 5)

 

Di questa riflessione sottolineo anzitutto l’idea che “la dottrina del Signore”, è tutta raccolta nel grande e solenne invio degli apostoli riportato al culmine del Vangelo secondo Matteo, quando Gesù Risorto, prima di ascendere in Cielo, dice loro: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19)

Questo invio in missione, che nella persona degli apostoli manda tutta la Chiesa fino agli estremi confini del mondo e della storia, è “dottrina del Signore”, non solo perché menziona il dogma della Ss. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, ma perché in questa parola di Gesù è affermata l’unità che l’avvenimento della Chiesa stabilisce fra fede, sacramenti e vita dei cristiani. Gesù non invia a battezzare solo affinché il sacramento del battesimo lavi le colpe dei battezzati; né soltanto perché si diffonda la corretta fede nella Trinità; né soltanto perché i battezzati vivano come discepoli. Invia a battezzare affinché tutto questo avvenga nella vita dei cristiani, dentro un’unità circolare, cioè affinché fra la fede, il sacramento e la vita dei cristiani ci sia interazione e fecondazione vicendevole e continua. Questo è espresso meglio poco dopo da san Gregorio di Nissa stesso quando aggiunge: “Una sola è la vita che abbiamo ricevuta per la fede nella Ss. Trinità: promana dal Dio Signore dell’universo quasi da principio fontale, procede per il Figlio e si compie nello Spirito Santo. Avendo questa certezza e convinzione, veniamo battezzati come ci fu comandato, crediamo come siamo stati battezzati e sentiamo come crediamo in modo che non ci sia nessun distacco tra il battesimo e la fede e il nostro sentimento nei riguardi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.”

 

In altre parole, non si può capire pienamente il mistero del battesimo senza la luce della fede trinitaria che in esso viene affermata, e se questa unità fra battesimo e fede non penetra come sentimento, come coscienza e esperienza interiore, nella vita dei battezzati.

 

Ricevere il battesimo vuol dire essere coinvolti in questo processo teso a rendere perfetta nella nostra vita questa unità di sacramento, fede e coscienza.

È evidente che questa esperienza ha accenti diversi a seconda dell’età e maturità di ogni persona. Un bambino che viene battezzato, fa oggettivamente esperienza piena del sacramento, ma non certo della fede e della coscienza. Questo però non vale solo per i bambini, ma fa parte della natura di questo sacramento, come d’altronde della natura di tutti i sacramenti, in particolare quelli che trasformano ontologicamente chi li riceve: il Battesimo, la Confermazione e l’Ordine sacro. La trasformazione sacramentale oggettiva è immediata e totale, ma questo non impedisce che la trasformazione della coscienza di fede e della vita cristiana della persona non necessiti un cammino, un processo, che dura tutta la vita.

 

Questo, d’altronde, è implicito nel mandato stesso di Gesù agli apostoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19)

 

Non sono mandati solo a “distribuire il sacramento”, ma a “fare discepoli”, a formare discepoli di Cristo, uomini e donne che seguono Gesù, che ascoltano la sua parola, che vivono come Lui, che imparano da Lui, Pastore mite e umile di cuore (cfr. Mt 11,29).

È tutto questo l’orizzonte di vita e di cammino che rende denso e pieno di apertura alla grazia il gesto di battezzare. “Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli”. Il battesimo ha dunque questo orizzonte di vita con Cristo e in Cristo. Nello stesso tempo, il dono del battesimo rende ogni formazione ad essere cristiani, un discepolato che si fonda sulla grazia e ne vive, come una pianta che cresce da un seme nella misura in cui si formano le radici.

 

La bellezza dei discepoli

 

Ma qui è importante fare subito una nota fondamentale, fondamentale anche per intuire quanto la dignità del cristiano, che san Leone Magno ci invita a riconoscere in ognuno di noi, sia una reale bellezza, uno splendore della persona. Cogliere questa bellezza è indispensabile per non ridurre il battesimo ad una sorta di pedaggio per la salvezza eterna, saltando la bellezza nuova di umanità, di vita, di concezione di sé e degli altri che la Chiesa ci invita a sperimentare per ricevere il battesimo nella totalità inesauribile della grazia che comporta. Una riduzione del battesimo, e di conseguenza degli altri sacramenti, a pedaggio da pagare per acquistare la salvezza eterna, riduce la dignità della vita cristiana, la rende in fondo meschina, e quindi non corrispondente al sacrificio d’amore con cui Dio stesso è venuto a salvarci. Si potrebbe dire che è veramente troppo poco accogliere da Cristo morto in Croce e risorto “solo” la redenzione dal peccato originale e da ogni altro peccato per non andare all’inferno…

L’avvenimento di Cristo ci vuole dare molto di più, e quindi la dignità del cristiano offertaci nel mistero pasquale, offertaci nel battesimo, è molto più grande. L’avvenimento salvifico di Cristo ci dà Cristo stesso, il Figlio stesso del Padre. Ma non ce la dà solo come una Presenza da adorare, bensì come una Presenza che si vuole compiere in noi, rendendoci Sua immagine sostanziale. Cristo si è fatto uomo fino alla morte in Croce e alla risurrezione col suo vero Corpo perché noi potessimo assimilare la sua umanità perfetta, la bellezza divino-umana della sua Persona. Desidera così tanto renderci capaci di assimilarlo, che si è trasmesso come dono permanente e vivo nella Chiesa nella forma sacramentale che dal Battesimo culmina nell’Eucaristia, il sacramento in cui ci è dato di assimilare il Corpo e il Sangue del Signore perché la nostra vita sia assimilata alla sua, resa simile alla sua, sua immagine viva e reale.

 

In fondo, si tratta di accogliere con il battesimo l’umanità nuova che Cristo è venuto a realizzare in noi.

Leggiamo nell’Apocalisse:

«E asciugherà ogni lacrima dai loro occhie non vi sarà più la mortené lutto né lamento né affanno,perché le cose di prima sono passate.E Colui che sedeva sul trono disse:

“Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.» (Ap 21,4-5)

 

La prima, permanente ed eterna novità che Cristo è venuto a portare è quella dell’identificazione a Lui che il battesimo realizza in ogni cristiano. È una novità che coincide tutta con Cristo stesso, perché è Lui l’uomo nuovo, il nuovo Adamo, Lui che è venuto a vivere la nostra umanità nel tempo senza perdere la sua natura di Signore dell’universo e della storia: “Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (Ap 1,8).

 

Ma detto così, è difficile che cogliamo in cosa consista per noi la dignità e la bellezza di Cristo che il battesimo realizza e vuole portare a compimento in noi. Abbiamo bisogno di una teofania evangelica di Gesù in cui possiamo scorgere i tratti di questa bellezza impossibile diventata possibile per noi, diventata bellezza possibile dell’umanità che viviamo, che ci è già data a sua immagine ma che il peccato ha deturpato e annebbiato ai nostri occhi e a quelli degli altri.

 

Cercate ogni giorno il volto dei santi

 

Dove e come ci appare questa bellezza?

Leggiamo nella Didaché: “Cercate ogni giorno il volto dei santi e trovate riposo nei loro discorsi” (Didaché IV,2). È un consiglio che dovrebbe costantemente rianimare la vita della Chiesa, soprattutto quando essa si sente brutta, deturpata dal male e dalla fragilità dei suoi membri a cui si dà sempre molta più risonanza che alla bellezza che sempre permane sul suo volto, opera dello Spirito che non cessa di rendere la sposa bella e adornata per il suo Sposo eterno.

 

Il volto dei santi manifesta la bellezza matura del dono del battesimo. È impressionante come tutta la tradizione della Chiesa, fin dagli albori, si è sempre appassionata a tramandare il racconto e l’icona di questa bellezza. Agiografia e arte non si sono mai stancate di aiutare il popolo di Dio a cercare ogni giorno il volto dei santi, per ricevere quella scintilla di bellezza impossibile che è promessa e donata ad ognuno di noi. E spesso è il popolo stesso che ha ornato e messo in rilievo questa bellezza, ricorrendo a tutte le corde della creatività popolare. Questa non è mai stata una falsificazione della verità, perché anche la leggenda agiografica ha sempre servito a dare risalto ad un irradiamento di bellezza di vita in Cristo più reale che i fatti documentabili storicamente.

 

Quando ero adolescente, immaginare di vedere un santo mi sembrava comportare le stesse probabilità che di vedere un extraterrestre. Anche i santi che erano vissuti pochi decenni prima di me, mi sembravano lontani, appartenenti ad un altro mondo. Però, pian piano, seguendo la Chiesa e il cammino che Dio mi ha tracciato in essa, mi sono ritrovato ad incontrare e frequentare persone che ormai sono canonizzate: san Paolo VI, san Giovanni Paolo II, santa Madre Teresa di Calcutta, e altri che attualmente sono servitori di Dio o Venerabili, come i fondatori e fondatrici di alcuni movimenti, o il Card. Van Thuan. Ma soprattutto, col tempo, ho visto che le comunità in cui ho vissuto, o che ora visito nei monasteri del mondo intero, sono costellate di questi volti di santi che trasmettono questa straordinaria bellezza a cui Cristo mi vuole assimilare. È una sorpresa continua, che mai cessa di sorprendere, perché è una bellezza dell’altro mondo nel nostro mondo. Quanti laici, quante coppie, la trasmettono, per esempio, dalla fornace ardente di situazioni familiari dolorose, ma soprattutto traboccanti di amore, di carità, di pazienza e servizio senza requie. E i malati: che splendore di martirio, di testimonianza di fede e speranza al di là di ogni umana speranza danno tante persone condannate a soffrire per decenni, e a sottoporsi a cure logoranti!

Uno col tempo capisce che questa ricerca del volto dei santi non è tanto un dovere, ma diventa una sete, un bisogno, una brama, proprio perché si tratta di una bellezza per la vita che non può non attirare, non può non renderci mendicanti di essa come la cerva assetata anela all’acqua viva.

 

Vorrei menzionare solo l’incontro per me più sconvolgente con questa bellezza, perché approfondendo dopo il tema ci sia di aiuto a capire che siamo davvero confrontati ad un grande mistero che solo lo Spirito può rivelarci nel suo pieno significato per noi.

Nell’Anno Santo del 2000, è nato il pronipote di un’amica, Matteo, che praticamente non aveva volto. Era macrocefalo e così deformato che i tratti di un volto umano erano praticamente assenti. Questa amica mi informò di questo e mi descrisse come Matteo appariva. Da allora ho pregato sempre per lui e per la sua famiglia. Confesso che però temevo sempre di dovermi trovare un giorno di fronte a lui. Di fatto per 14 anni non si presentò mai l’occasione. Ma un giorno, senza prevederlo, mi sono trovato, per così dire, incastrato e ho dovuto seguire la mia amica a visitare Matteo che si trovava a soli 5 minuti da una chiesa in cui avevo celebrato un matrimonio di amici comuni.

Ho percorso quel breve tratto di strada come se attraversassi il tunnel della morte, come il percorso di un condannato al patibolo. Ma anche invocando intensamente lo Spirito Santo e la Madonna.

Matteo era in un lettino di una grande camera, per cui entrando dalla porta bisognava percorrere alcuni metri per raggiungerlo.

Fin dalla porta mi accorsi di essere entrato in un’altra dimensione rispetto a quella dei 5 minuti di strada che avevo fatto prima. Il tunnel della morte diretto al patibolo, si era trasformato di colpo nell’uscita dal tunnel verso una grande e dolce luce, che irradiava da quel lettino, e dalla gioia che emanava da tutta la persona di Matteo. Matteo traboccava di gioia, gioia di incontrarmi. La esprimeva con tutti i frammenti deformi e disordinati di bocca, occhio, orecchio che aveva, e con il suo esile corpo, normale, ma che non aveva mai potuto tenersi in piedi per portare la testa enorme. Batteva le mani, suonava note a casaccio con un organetto da bambino. Non mi sono mai sentito così accolto e amato come da quel ragazzo. Esprimeva una bellezza senza confini, indefinibile, fuori da ogni quadro e ragionevolezza, ma reale. Era la bellezza di Cristo. Mai ho incontrato Cristo nella carne come in Matteo.

Sono riuscito a rivederlo solo un’altra volta, con le stesse impressioni, conoscendo meglio anche i genitori, con volti che di quella bellezza erano e sono riflesso privilegiato.

Matteo è morto a 16 anni, il giorno degli Angeli Custodi. È nato per il grande Giubileo del 2000 ed è tornato al Padre nell’Anno Santo della Misericordia. Penso sempre a lui come ad una cometa misteriosa che nella breve parabola della sua vita nascosta ha fatto risplendere il mistero profondo della bellezza che Cristo è venuto ad imprimere nella nostra umanità, tramite il battesimo e la cresima, i soli sacramenti che, con l’unzione degli infermi, Matteo ha potuto ricevere.

 

Quell’umanità traboccante di gioia nella comunione, cioè della gioia che costituisce la gloria della Trinità, che Matteo ha riflesso in me e in tanti, ma anche sul mondo che non si è accorto del suo passaggio in mezzo a noi, quell’umanità, vera dignità del cristiano, che caratteristiche ha? Quali sono i tratti della bellezza di Cristo che il battesimo incide in noi e poi tutti i sacramenti e la vita nella Chiesa vogliono sviluppare, far maturare e fruttificare in noi?

 

L’umanità nuova nel Battesimo di Cristo

 

È qui che dobbiamo fissare gli occhi sulla teofania evangelica del Figlio di Dio quando inizia il suo ministero facendosi battezzare da Giovanni Battista. Gesù non aveva bisogno della purificazione del battesimo di Giovanni, ma ha voluto rivelare, passando attraverso l’immersione nelle acque del Giordano, per quale dignità e bellezza siamo chiamati a ricevere il battesimo nella morte e risurrezione del Signore che, ascendendo in Cielo, egli ha lasciato come primo e fondamentale compito missionario agli apostoli, alla Chiesa.

 

Con che umanità nuova emerge Cristo dalle acque del Giordano e inizia il suo cammino di annuncio del Vangelo fino al compimento pasquale? Ripeto che non è il battesimo di Giovanni che crea questa umanità nuova di Gesù, perché in Lui essa è eterna. Ma facendosi battezzare Gesù ci annuncia che è con questa e per questa umanità nuova che emergiamo noi dal sacramento del battesimo. Contemplando i tratti della bellezza di Cristo, siamo aiutati a capire anche a quali tratti essenziali di questa bellezza siamo chiamati a corrispondere per permettere alla grazia del battesimo di portare in noi frutti di vita nuova, di bellezza nuova, di santità.

 

Sia la liturgia che l’iconografia hanno sempre messo in luce il battesimo di Gesù come prima manifestazione matura e pubblica della bellezza della sua Persona di Figlio del Padre fatto uomo per la Redenzione del mondo.

Basti pensare alle icone o a tante opere d’arte in cui Cristo sorge in tutta la bellezza del suo corpo dalle acque, come nuovo Adamo libero da ogni colpa.

La bellezza iconografica fa eco all’insieme di gesti, atteggiamenti, parole che in questa scena evangelica vogliono illustrare la bellezza umana del Figlio di Dio che attraverso il nostro battesimo ci viene restituita. Per cui è importante meditare su questa bellezza di Cristo per capire a quale bellezza siamo chiamati in Lui se accogliamo e lasciamo agire in noi la grazia del battesimo.

Contemplando questa bellezza di Gesù, che poi risplenderà totalmente nel Crocifisso e Risorto, vediamo la bellezza di vita a cui siamo chiamati e che ci è donata, che vuole imprimersi in noi alla luce del Signore.

 

La bellezza dell’umile

 

Il primo tratto della bellezza dell’uomo nuovo che risalta nel battesimo di Gesù è l’umiltà. L’umiltà di mettersi in fila con i peccatori a chiedere un battesimo di purificazione.

«Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli rispose: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Allora egli lo lasciò fare.» (Mt 3,13-19)

 

Dal racconto del Vangelo secondo Matteo, si vede che Gesù si accosta al battesimo di Giovanni in totale libertà. Gesù viene dalla Galilea al Giordano per farsi battezzare da Giovanni. Si percepisce che tutta la vita nascosta di Cristo in Galilea, a Nazareth, fa parte di questo cammino, di questo venire di Gesù che arriva al Giordano per iniziare la sua vita pubblica con il battesimo di Giovanni. Non è l’umiliazione di un momento, che Giovanni vorrebbe rifiutare di fargli subire, ma l’umiltà di Dio che si manifesta nel Verbo incarnato fin dalla sua concezione nel grembo della Vergine. Questa umiltà è una manifestazione liberamente scelta da Dio, non solo dal Figlio, ma anche dal Padre a cui il Figlio obbedisce, e dallo Spirito che viene a coronare l’umiltà del Figlio apparendo sotto la forma della Colomba.

 

Nel dialogo con Giovanni, Gesù allude chiaramente alla dimensione di obbedienza che la sua umiltà esprime: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Gesù sceglie liberamente di essere umilmente battezzato come qualsiasi peccatore, come tutta l’umanità peccatrice, perché questa è la volontà del Padre, quella di giustificare tutti i peccatori tramite la Redenzione operata dal Figlio, che porterà su di sé in Croce tutti i peccati del mondo.

Vediamo allora che la bellezza dell’umiltà di Cristo è quella di una libertà che accoglie dal Padre il disegno di salvare il mondo. Un’umiltà obbediente che non è solo virtù, ma la sostanza di un amore infinito che si sacrifica per la salvezza di tutti.

Gesù, sottomettendosi al battesimo di Giovanni, dice di sì al Padre perché tutta la sua persona si sacrifichi con amore per la Redenzione del mondo.

Nel Vangelo di Giovanni, in cui il Battista fa solo allusione al battesimo di Gesù, questa umiltà obbediente di Cristo che si sacrifica per tutto il popolo dei peccatori è riassunta nel riconoscimento: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29; cfr. 1,36)

 

Da questi accenni, capiamo un aspetto importante dell’umiltà come dimensione della dignità e bellezza umano-divina di Gesù che il battesimo ci dona e ci chiede di assimilare. L’umiltà cristiana non è solo una virtù gentile che rende le persone gradevoli nei rapporti; è più profondamente l’atteggiamento della libertà che consente a che la nostra vita partecipi con Cristo e in Cristo alla grazia della Redenzione del mondo. È il sì del cuore a che la nostra vita, le circostanze, le gioie e i dolori di cui la vita è tessuta diventino offerta al disegno del Padre per la salvezza del mondo nel Figlio, Agnello di Dio.

L’obbediente umiltà di Cristo è quindi la posizione umana che consente al sacrificio di sé per la salvezza di tutti. È una dimensione dell’amore, della carità. È un atto, magari anche solo iniziale, di disponibilità a che la propria vita sia presa al servizio della Redenzione. È quindi una radicale e sorgiva rinuncia al cerchio chiuso del proprio interesse, della propria autoaffermazione, della propria gloria, per “lasciar fare” al Padre la vera bellezza e gloria della nostra vita, di tutto quello che siamo e abbiamo. Vedremo dopo come a questa disponibilità corrisponde il dono della vita filiale.

 

“Stava in preghiera”

 

Ma prima c’è un secondo aspetto, legato al primo, della bellezza umana di Cristo al battesimo che è san Luca a far risaltare: la preghiera.

“Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera” (Lc 3,21).

Questo “stare in preghiera” di Gesù, messo in risalto, assieme all’umiltà, da tanta iconografia del battesimo di Cristo, rischia di non attirare l’attenzione che merita, non tanto riguardo a Gesù, ma riguardo appunto alla dignità e bellezza che il battesimo ci offre di assimilare. Ci può essere bellezza più straordinaria per l’uomo che quella di essere chiamato ad un rapporto costante con Dio?

 

Gesù in questa scena pratica la preghiera del Figlio, la comunione di amore col Padre che da eterna e invisibile diventa visibile nel tempo. Ma Gesù la pratica nella posizione del peccatore che si lascia purificare dal battesimo. Nel rito del battesimo, c’è il momento importante della consegna al neo battezzato della preghiera del Padre Nostro. Chissà che questa preghiera sia nata nel cuore di Gesù proprio quando stava in preghiera dopo il battesimo, perché lì si voleva identificare a tutti i peccatori che nella Redenzione pasquale avrebbero ricevuto in Lui, dal Padre, per opera dello Spirito, la vita di figli e figlie di Dio. Il Padre Nostro è la preghiera di Gesù, ma tradotta, per così dire, per essere capita e fatta propria dai peccatori, da chi ha debiti da farsi rimettere, e tentazioni di fronte alle quali non ha la forza di resistere, e che di fronte al maligno si sente impotente a liberarsi. Gesù sta quindi in preghiera per noi, al nostro posto, con noi, offrendoci uno spazio di preghiera Sua che ormai ci è aperto e donato.

E questo è un aspetto della dignità e bellezza dei battezzati che troppo spesso trascuriamo. È uno spazio sacro, ma tutto per noi, in cui spesso ci dimentichiamo di entrare, come se non fosse necessario alla pienezza della nostra umanità redenta.

Tutta la liturgia della Chiesa è un continuo e sempre rinnovato entrare in questo “stare in preghiera” di Gesù che prega per noi non tanto come intenzione di preghiera, ma nel senso che prega la nostra preghiera perché noi possiamo pregare la sua preghiera perfetta di comunione con il Padre.

 

I cieli aperti, la colomba e la voce

 

È in questo “stare in preghiera” che su Cristo umilmente battezzato da Giovanni si aprono i cieli, scende la Colomba dello Spirito e risuona la voce del Padre.

“…il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo” (Lc 3,21-22).

 

L’umiltà e la preghiera costituiscono, per così dire, la bellezza recettiva dell’umanità nuova che Cristo ci trasmette con il battesimo. Però, questa umanità nuova è come la bellezza della luna che rivela che questa bellezza ha una fonte, è un riflesso di una realtà nuova che si apre per scendere sull’umanità purificata dal battesimo. La bellezza dell’umanità in Cristo è una posizione di umile e obbediente preghiera, aperta al sacrificio, sulla quale i cieli si aprono. San Marco parla addirittura di cieli squarciati: “E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba” (Mc 1,10).

La vita nuova del cristiano comporta questo aprirsi dei cieli sopra la persona battezzata e quindi un accesso straordinario alla Realtà che i cieli nascondono. Come avverrà per santo Stefano martire, proprio questo vedere i cieli aperti su di lui, se fa risplendere il suo volto di bellezza angelica, è anche il motivo dell’accusa di blasfemia e del suo martirio:

“Tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.” (At 6,15)

«Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui» (At 7,55-57).

 

Si può dire che ormai alla dignità del cristiano appartiene una dimensione mistica, un rapporto svelato con il mistero di Dio, che è il mistero della Santissima Trinità. Nella preghiera umile del Figlio, il cristiano è chiamato per grazia a ricevere il dono dello Spirito e ad ascoltare la voce del Padre.

 

Questa non è una grazia per soli grandi mistici. Pensare che questa esperienza di comunione con il Mistero sia riservata solo a persone privilegiate sarebbe come pensare che solo loro hanno ricevuto il battesimo. Certo, i mistici ricevono un carisma speciale, che è come una lente di ingrandimento su un’esperienza a cui siamo chiamati tutti. Quando leggiamo i mistici, quello che più stupisce e attira, più che non so che rivelazioni e visioni, è la familiarità che questi santi intrattengono con Dio, con Gesù, con il Padre e lo Spirito Santo. Ma proprio questo è segno che il loro carisma è dato alla Chiesa per introdurre tutti i battezzati a questa familiarità con il Mistero a cui siamo chiamati.

 

Vita filiale e fraterna comunione

 

I cieli si aprono e appare la colomba, il mite uccello della pace, della comunione.

I cieli si aprono, e risuona la voce del Padre: «E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.» (Mc 1,11)

Questi due aspetti salienti della rivelazione mistica legata al battesimo di Gesù sono il culmine della dignità e bellezza che il battesimo vuole generare in noi.

È evidente che se il Figlio di Dio è sceso ad immergersi nell’acqua che purifica i peccatori, quello che il Padre gli dice al suo emergere dall’acqua, pieno di umiltà e in preghiera, rivela il grande disegno di Dio sull’umanità decaduta con il peccato. Ad ogni uomo e donna, nel dono del battesimo, Dio vuole dire la parola che ridefinisce tutta la persona e ne ricrea tutta la bellezza perduta: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

 

L’umanità nuova che il battesimo e la Chiesa ci vogliono trasmettere è tutta definita da questa parola del Padre sul Figlio che si tiene umilmente in comunione di preghiera con Lui al posto dei peccatori. Ciò che eternamente il Padre e il Figlio si scambiano, lo Spirito Santo e la Parola che chiama l’Altro con amore e compiacimento, tutto questo, anzi: questo “tutto”!, il Figlio si è messo a riceverlo e ricambiarlo stando al posto dei peccatori. È la grande profezia della Croce, della Morte e Risurrezione.

 

Ma questo vuol dire anche che questo essere definito “Figlio prediletto”, questo dono dello Spirito in cui il Padre e il Figlio nello Spirito Santo si scambiano eterno amore, eterno compiacimento, eterna gioia l’Uno per l’Altro, ebbene tutto questo Gesù lo riceve in una immediata e universale condivisione con tutti i peccatori, con tutta l’umanità, con tutti i discendenti di Adamo. È come se sentendosi chiamare “Figlio”, il cuore di Cristo traducesse immediatamente al plurale, “figli e figlie”, e quindi in “fratelli e sorelle”. L’umanità nuova che sorge dall’acqua del battesimo di Cristo, e poi del nostro, è un’umanità di comunione fraterna, un’umanità che è subito fraternità.

 

La grande dignità e bellezza del cristiano è la grazia di essere figlio di Dio, ma è una dignità e bellezza che si declina subito nell’essere fratello, sorella, perché Cristo nel battesimo, compiutosi nella morte e risurrezione che l’immersione e emersione battesimale simboleggiano, si è messo in amorosa obbedienza al Padre nella posizione della condivisione fraterna del suo essere Figlio unigenito a tutta l’umanità.

 

La fraternità cristiana non è tanto e solo un comandamento, bensì il modo con cui Gesù è venuto a vivere nella nostra umanità il suo essere Figlio del Padre. Il battesimo ci comunica per adozione questa dignità filiale e fraterna del Signore.

Per cui la fraternità cristiana è immediatamente l’irradiamento della bellezza filiale che Cristo ci comunica. La bellezza dei battezzati è la carità con cui la grazia di essere figli di Dio in Cristo irradia in fraternità. Bellezza profonda della Chiesa che gli Atti degli Apostoli fanno risaltare: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.” (At 4,32-22)

 

La carità fraterna è il compimento dell’umiltà, obbedienza e preghiera filiale di Cristo. Il battesimo che non si compie, durante tutta la vita, in fraternità, è come un aborto, un seme che marcisce senza risorgere in nuovo germoglio che cresce fino a dare i suoi frutti.

Però, se la fraternità è compimento dell’umiltà, dell’obbedienza e della preghiera, questo non significa che ne possa fare a meno, come di tappe superate di una maturazione cristiana. L’umile obbedienza e la preghiera rimangono sempre come le radici e la linfa necessari per portare il frutto della carità fraterna.

 

La Chiesa è fatta di questo mistero. Il Figlio prediletto che prende la posizione dell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo trasformando l’umanità peccatrice in umanità filiale e fraterna, non appena esce dal Giordano e si incammina, attrae a sé i primi discepoli, i primi apostoli, e da lì inizia un contagio di fraternità da Cristo e con Cristo che sarà sempre teso a coinvolgere tutta l’umanità. Ogni vocazione cristiana, di qualsiasi forma, nasce da Cristo che ci attrae alla bellezza della sua Persona che, nell’incontro con Lui, si rivela e propone come possibile per noi. E questo fin dal battesimo.

 

Cosa succede quando ci sentiamo attratti da una vocazione? Succede che ci appare la bellezza di Cristo offerta alla nostra umanità. La stessa esperienza che i discepoli di Emmaus faranno camminando con il Risorto: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32).

La bellezza di Cristo che esce dalle acque del Giordano si impone ad Andrea e Giovanni come possibile per loro, cioè li attrae: allora essi seguono e aderiscono!

 

Viviamo in un tempo della Chiesa in cui più che mai siamo chiamati ad essere coscienti di tutto questo, ad essere coscienti della bellezza che il battesimo conferisce, della bellezza a cui il battesimo ci chiama e che segretamente alimenta in noi, anche prima che ne siamo coscienti con fede matura.

Oggi assistiamo ad un crollo della visibilità della Chiesa, della sua importanza e dignità per la società. Forse il Signore ci sta spogliando perché nella Chiesa risplenda solo la sua fondamentale e essenziale dignità e bellezza, quella dei battezzati che nel mondo non sono chiamati a far risplendere altra bellezza che quella di Cristo stesso, la bellezza umile, obbediente, orante, perché filiale, che vuole splendere solo di fraterna carità.

Solo un ritorno a questa esperienza viva rinnova la vocazione, rinnova il battesimo, la vita e il cuore, rinnova le comunità e la Chiesa tutta. Anche se uno è vecchio, può rinascere da questa attrattiva di Cristo che mai si spegne.

 

Il cielo aperto su Cristo e sui battezzati è il dono dello Spirito di Pentecoste e la parola di Dio che si riassume tutta nel dirci che siamo suoi figli amati. Accogliere lo Spirito Santo ascoltando la parola di Dio mantiene i cieli aperti su di noi, aperti sulla comunità cristiana, per vivere in Cristo da figli e figlie del Padre e nella comunione fraterna animata dallo Spirito.

Questa è la Chiesa e la sua più profonda vitalità pasquale, la sua profonda natura che deve animare il cammino insieme, il cammino sinodale, di tutti i battezzati.

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