Libri per essere liberi. Studenti e detenuti, attori assieme

È andato in scena ieri uno spettacolo proposto dagli studenti del liceo "Monti" di Cesena con i reclusi del carcere di Forlì

Nella foto d'archivio, il carcere di Forlì
Nella foto d'archivio, il carcere di Forlì

Sotto la regia di Sabina Spazzoli e con il sostegno del gruppo consorti del Rotary club Cesena è stato dato vita a uno spettacolo ricco di messaggi per chi è dentro e per chi è fuori. Si tratta di un progetto di alternanza scuola-lavoro

Libri e liberi. Oppure: liberi grazie ai libri. Il messaggio arriva forte. Ha la potenza di un pomeriggio trascorso nella gelida palestra della casa circondariale di Forlì. Si arriva per seguire la drammatizzazione messa insieme dagli studenti del liceo “Monti” di Cesena e i detenuti della Rocca, un carcere di cui da lungo tempo si invoca da più parti la chiusura, mentre il nuovo è in costruzione da ormai vent’anni. Tempi biblici quando si parla di carceri e di detenuti. Tempi che si scontrano con le intenzioni di chi si trova a gestire oggi situazioni a limite del gestibile.

“Leggere è l’atto più rivoluzionario”

Le mura sembrano non esistere, quando si ascoltano gli attori nei loro monologhi che riprendono o si ispirano a brani di libri famosi letti durante la fase del progetto che è anche un’esperienza di alternanza scuola-lavoro, ora Pcto. “Leggere è l’atto più rivoluzionario che possiamo compiere. Leggere rende consapevoli”, che recitato dietro quelle inferriate ha il sapore della beffa per chi tra poco dovrà rientrare in cella.

Il progetto è portato avanti da anni dai docenti e dagli studenti del liceo cesenate. Viene realizzato in collaborazione con il coordinamento Teatro carcere Emilia Romagna e si avvale della regia, sapiente e precisa, di Sabina Spazzoli. L’ultima edizione è stata possibile grazie al sostegno del Gruppo consorti del Rotary club Cesena.

“Vi parlo non per chiedere perdono, ma per farvi riflettere”

“Chi sono io? Sono il peso che trascino o la leggerezza che cerco?”, dice uno che non si sa se è uno studente o un detenuto. Gli fa eco un altro, difficile da incasellare per chi non conosce volti e nomi. “Voi che mi giudicate senza comprendermi…”. E ancora: “Vi parlo non per chiedere perdono, ma per farvi riflettere”. E chi può rimanere indifferente a queste parole che giungono come frecce scagliate sul perbenismo che permea tanti.

“Mi ricordo di essere sopravvissuto. Per farlo ho dovuto piangere, urlare, implorare pietà”. Si scalda l’atmosfera nonostante il freddo che la direttrice Carmela De Lorenzo cerca di giustificare al termine del pomeriggio quando ringrazia, quasi commossa, per l’obiettivo raggiunto. Ma le procedure burocratiche sono impietose e rischiano di imbrigliare anche i funzionari più solerti. “Tra qualche giorno dovrebbero sistemarcelo – dice la De Lorenzo -. Comunque grazie per quanto è stato reso possibile che ha come fine ultimo un percorso di consapevolezza, per restituire alla società persone migliori”.

I giovani non vedono le sbarre che separano

I ragazzi hanno dato vita ai libri, sottolinea la regista Spazzoli. Li hanno resi presenti. Non parole vuote, ma dense di significato, di sofferenza, di vita. “Ho perso tutto, ma ho guadagnato me stesso. Voi cosa scegliereste?” è il quesito che rimane nell’aria, sospeso tra la sorpresa di chi entrava per la prima volta in carcere e chi cercava di distinguere, tra i numerosi presenti, tra chi ha sbagliato e chi no.

Aver messo in relazione studenti e detenuti, come accaduto con questo progetto sostenuto dal ministero della Cultura e dalla Regione Emilia Romagna, in uno spazio d’arte come il teatro è un gesto che merita attenzione. Questa volta la lezione viene dai giovani che, privi dei pregiudizi degli adulti, non temono il confronto. Anche dietro le sbarre che loro non vedono.