Dall'Italia
L’impegno italiano per Alfie: la testimonianza del senatore Pillon
Simone Pillon avvocato bresciano e neo senatore della Repubblica, da sempre impegnato nei movimenti pro-life e pro-family, ha vissuto in prima persona l’impegno per il riconoscimento della cittadinanza italiana ad Alfie Evans e per il trasferimento del piccolo nel nostro paese.
Senatore ci eravate quasi riusciti a portare Alfie in Italia, cos’è accaduto?
Sabato mattina avevamo ottenuto il passaporto per Alfie Evans ed erano già stati attivati i procedimenti davanti al giudice tutelare italiano, che avrebbero portato al riconoscimento di una giurisdizione italiana in base agli articoli n. 258 e n. 259 del Trattato istitutivo dell’Unione europea. Tramite il console avremmo poi potuto emanare provvedimenti tutelari a cautela del minore: la violazione eccepita infatti non riguardava il diritto alla salute, poiché essa concerne gli stati membri, bensì la violazione del Trattato agli articoli n. 20 e n. 56, che riguardano la libera circolazione delle persone e la libera fruizione dei servizi. Avevo anche ottenuto il passaporto diplomatico per potermi recare a Liverpool di persona. Purtroppo il tempo non ci è bastato.
In tanti si sono adoperati per la salvezza del piccolo Alfie. Com’è stato possibile congiungere tante forze all’apparenza così diverse?
Non è stato semplice rispettare la privacy familiare, la gestione delle notizie e la tensione che il caso aveva generato. Nei giorni scorsi siam dovuti rimanere molto sottotraccia, cercando di fare tutto il possibile, anche perché gli sviluppi giuridici avevano raggiunto una china pericolosa, complice soprattutto il clamore mediatico. Bisogna però dare merito a tutto il mondo associativo proveniente dal family day, in particolare all’associazione Steadfast Onlus nella persona del presidente Emmanuele di Leo, che ha assistito e dato una speranza alla famiglia di Alfie. Poi penso ovviamente anche a papa Francesco, che si è mosso con grande generosità e concretezza. Anche a lui va il nostro ringraziamento per gli sforzi profusi.
Anche la politica si è esposta molto per soccorrere il bambino…
Certamente sono stati numerosi i canali politici che si sono attivati per soccorrere il piccolo, dalla presidenza del Senato al ministero degli Esteri con tutto il personale, fino all’ambasciata e al consolato italiano in Inghilterra. Basti pensare che all’ultima udienza erano presenti in aula anche i funzionari della Farnesina, pronti per richiamare, qualora il giudice avesse dato parere positivo al trasferimento, un elicottero attrezzato, che avrebbe trasportato Alfie in meno di due ore nel nostro paese. Lì gli sarebbero stati ripristinati ventilazione e nutrizione. Anche il segretario politico del mio partito si è mosso con discrezione e decisione in questa vicenda: lui ha voluto firmare per primo la mozione che avevo preparato da presentare in Senato per salvare Alfie.
Quale ruolo assume ora l’Italia sul campo internazionale dopo questa vicenda?
Posso dire di essere profondamente orgoglioso del mio paese, poiché a partire dalla gente comune, fino alle istituzioni l’Italia ha dimostrato un coraggio e una forza forse inusitate. Abbiamo comprovato di essere faro di civiltà, un paese dove c’è ancora spazio per accogliere la vita, anche quella malata e disabile. Per questo col mio gruppo parlamentare abbiamo già depositato in Parlamento una mozione che verrà discussa, per impegnare il governo a promuovere sia presso l’Unione europea che alle Nazioni unite, una moratoria universale contro la sospensione dei trattamenti salvavita quali l’idratazione, l’alimentazione e la respirazione. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’accanimento terapeutico, ma serve per far sì che le persone non muoiano di fame, di sete o soffocate.
Il cardinale Sgreccia commentando la vicenda di Alfie ha parlato di accanimento “tanatologico” (accanimento di morte): come considera da giurista le parole del giudice britannico che ha ritenuto inutile la vita del bimbo?
Io credo che la vita di Alfie Evans non avrebbe potuto essere più utile, a differenza di quanto il giudice inglese aveva affermato. Quando un magistrato, in uno dei paesi più civili ed evoluti, arriva a pronunciarsi in questo modo ritengo che abbiamo un problema serio come Occidente e come cultura occidentale. Ogni volta che noi utilizziamo un aggettivo per qualificare una vita, commettiamo un abuso. Ma il giudizio espresso dal giudice è stato smentito dallo stesso Alfie: ha smosso con la sua breve esistenza milioni di cuori, riportando al centro dell’attenzione la tutela dell’innocente e del debole e questo è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo da ringraziare questo bambino.
Quali altre iniziative scaturiranno da questa vicenda?
Ne seguiranno certamente due: una giuridica e una di popolo. Noi vogliamo sapere esattamente come sono andati i fatti. Grazie alla cittadinanza concessagli, Alfie era diventato cittadino italiano. Ora devono svilupparsi delle conseguenze giuridiche: per questo presenteremo in settimana un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, affinché sia fatta piena luce sulle cause del decesso. Non si tratta di fare giustizialismo, ma di affermare la verità. Un cittadino italiano è morto in un ospedale inglese senza cure. Qualcuno ne deve rendere conto e l’Italia non può permettere che ciò accada di nuovo.
La posizione dell’ospedale Alder Hey di Liverpool è sembrata molto scomoda. C’è chi ha risollevato scandali passati, legati alla struttura ospedaliera, su presunte sperimentazioni con gli organi dei bambini deceduti…
La famiglia Evans cerca giustizia e verità per Alfie. Quello che riguarda il passato concerne la magistratura inglese. Ma su questa specifica vicenda abbiamo ricevuto espresso mandato dai genitori del bimbo per procedere davanti alla magistratura italiana. L’articolo 10 del nostro codice penale rende possibile perseguire reati commessi da stranieri all’estero contro un cittadino italiano.
E l’iniziativa di popolo?
Dobbiamo fare in modo che il popolo che si è alzato in piedi resti in piedi. Per questo rilancio l’invito dell’associazione Steadfast Onlus per la grande manifestazione di sabato 12 maggio a Roma in piazza Bocca della Verità, in nome di Alfie, di Charlie e di Isaiah che prima di lui hanno subito la stessa condanna. Dobbiamo dire a gran voce che né i giudici né i medici hanno il diritto di espropriare le famiglie della loro responsabilità genitoriale sui propri figli.
A proposito della responsabilità genitoriale. L’hanno sorpresa le dichiarazioni degli esponenti delle associazioni radicali che sostenevano invece la scelta dei giudici? Eppure nel dibattito sul biotestamento difendevano la libertà di scelta dei singoli.
Le parole dei radicali si commentano da sole. Chi ha portato nel nostro paese 6 milioni di aborti, chi vorrebbe l’eutanasia legale, chi vorrebbe sdoganare l’aiuto al suicidio è solo portatore di una cultura di morte. Noi invece siamo per la cultura della vita.
In più parti si sono manifestate azioni di solidarietà a sostegno della famiglia Evans. Anche nella nostra città, nei giorni scorsi, è stato organizzato un momento di preghiera. Quale pensiero si sente di rivolgere a Tom e Kate i genitori del piccolo Alfie?
Alfie era diventato un po’ il figlio di tutti noi. Tutti abbiamo combattuto per lui con forza, coraggio e determinazione. Ma questi genitori hanno testimoniato al mondo cosa può fare una famiglia: l’amore di una mamma e la determinazione di un papà. Non esiste una forza del genere né nella società né nella politica. La loro volontà è stata unica.