L’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” compie 150 anni. Una vicenda del tutto singolare, per un’eccellenza della sanità italiana

La storia della struttura sanitaria Bambino Gesù di Roma è singolare. Tutto ebbe inizio nel lontano 1869 quando la duchessa Arabella Fitz-James Salviati si adoperò per la fondazione di un ospedale pediatrico. Già verso la fine del XVIII secolo, si iniziò ad avvertire in Europa l’esigenza di istituire dei sanatori specifici per la degenza dei bambini, i quali fino a quel momento si erano trovati ad essere ricoverati insieme agli adulti senza godere di alcuna attenzione speciale. E così la dedizione di questa donna, sostenuta dal marito, diede prontamente i suoi frutti. Il 19 marzo del 1869 venne inaugurato il piccolo locale che nel corso degli anni sarebbe diventato il centro specialistico che conosciamo noi oggi.

Inizialmente, la stanza dalle ristrette dimensioni, collocata nelle vicinanze dell’orfanotrofio dei santi Crescenzio e Crescentino (sulla sponda sinistra del Tevere), poteva ospitare un numero risicato di pazienti. I primi in assoluto furono quattro bambine affette da una forma di tubercolosi, detta “scrofola”. Centrale, e allo stesso tempo simbolico, nella storia dell’ospedale fu l’incoraggiamento manifestato dai figli della duchessa che, come regalo di compleanno, le fecero dono di un salvadanaio con all’interno i loro risparmi. E così i primi finanziatori del progetto furono dei bambini. Il gesto fu talmente importante, anche da un punto di vista affettivo, che quel “dindarolo” (termine con cui i romani designano il salvadanaio) è custodito al Bambino Gesù.

Nel 1887 la sede fu trasferita sul colle del Gianicolo all’interno dell’antico convento di Sant’Onofrio, acquisendo così nuovi spazi per far fronte ai bisogni crescenti della struttura. Un’altra donazione importante venne dalla regina Elena di Savoia che tra il 1917 e il 1921 offrì alla Salviati la gestione della colonia di Santa Marinella.

La svolta accadde nel 1924 quando la famiglia fondatrice decise di affidare il complesso sanitario all’allora pontefice Pio XI, garantendone la sopravvivenza e la buona gestione per il futuro. Fu una scelta a dir poco lungimirante che ha permesso di rendere questo ospedale uno dei fiori all’occhiello della sanità pediatrica italiana ed europea, conosciuto anche come “l’ospedale del papa”.

Comparando i dati dell’epoca con quelli di oggi, si scopre che agli inizi della sua missione il nosocomio poteva contare sulle forze di quattro suore vincenziane, tre medici, tre infermieri e un portiere-portantino. Secondo i numeri, aggiornati al 2018, il Bambino Gesù è tra i più grandi policlinici e centri di ricerca pediatrica a livello mondiale con 3500 professionisti e ben quattro poli in cui avvengono le cure e i ricoveri, con a disposizione 607 posti letto. Un articolo apparso qualche giorno fa su “Avvenire” ha evidenziato come, sempre nel 2018, l’ospedale sia riuscito “a mettere in campo le 1,9 milioni di visite ambulatoriali, gli 85 mila accessi al pronto soccorso, i 30 mila interventi chirurgici, i 324 trapianti e i 62 casi umanitari arrivati dall’estero e i 106 voli effettuati all’eliporto vaticano grazie alla collaborazione tra le autorità vaticane e quelle italiane”.

Quest’anno ricorrono i 150 anni della fondazione di questa realtà nella quale si svolge la professione medico-sanitaria con un occhio di riguardo ai temi dell’accompagnamento, dell’innovazione e della ricerca, della prudenza e della dignità dei pazienti, come sottolineato anche dal motto che riporta: “Curate i malati, servite gli infermi”.

In virtù dell’importante ricorrenza sono previsti numerosi eventi dal carattere solidale e lo slogan, scelto per l’occasione, “Il futuro è una storia di bambini” richiama alla mente la mission dell’ospedale contrassegnata a suo tempo dalle parole di Pio XI, che affermò: “L’assistenza ospitaliera dei fanciulli poveri si addice al Nostro ministero che anche in questo continua l’opera di Nostro Signore Gesù Cristo, il quale fece oggetto di sua speciale amorevolezza i bambini e si compiacque di averli presso di sé”.