Dall'Italia
Malattie rare. Quando ricerca fa rima con guerra e con amore. La storia di Elettra
Elettra Yvonne ha dieci anni e mezzo, è una bambina serena e solare come il nome che porta (quello della divinità pre-greca della luce), ama la musica e le coccole. Soffre della sindrome di deficienza della proteina Clkd5, una delle proteine indispensabili per lo sviluppo cerebrale. “Una malattia ultra rara e per la quale non esistono cure”, ci racconta la mamma, Maria Luisa Tutino, professore e ricercatore presso il Dipartimento di scienze chimiche dell’Università Federico II di Napoli, alla vigilia della XIV Giornata mondiale delle malattie rare che ricorre domani, 28 febbraio. La patologia è dovuta alla mutazione del gene Clkd5 che impedisce all’omonima proteina di funzionare, compromettendo così la funzionalità del sistema nervoso centrale. In molte bambine causa grave ritardo mentale, epilessie e difficoltà nei movimenti. “Nel panorama delle malattie genetiche – dice Maria Luisa – esistono patologie più rare di altre. Quella di Elettra è ultra rara: all’epoca della diagnosi con questa mutazione genetica nasceva una bimba su un milione. Oggi, grazie a tecniche diagnostiche più precise, la frequenza è di una bambina ogni 42mila; al momento nel mondo ve ne sono circa quattro/cinquemila”. La mutazione avviene in un gene supportato sul cromosoma X: per questo colpisce in prevalenza bambine.
“Al di là di tutto, Elettra ci ha portato tanta luce”, dice ancora la mamma. E precisa:
“Noi siamo stati benedetti due volte”.
Anzitutto perché, a differenza di molti malati rari, per la bimba la diagnosi è stata precoce. “Ironia della vita”, osserva sorridendo Maria Luisa, che da brava napoletana crede nella forza dell’ironia, “prima dell’arrivo di Elettra lavoravo su progetti per cercare approcci terapeutici ad alcune malattie genetiche”. La bimba ha pochi mesi quando la mamma si accorge che qualcosa non va; a circa due anni arriva la diagnosi molecolare. Da quel momento Maria Luisa si rimbocca le maniche: “Ho iniziato a studiare tutto ciò che a livello scientifico internazionale si sapeva, e ho preso contatti con ricercatori italiani e stranieri cercando di contribuire alla comunità che stava lavorando su questa patologia”.
La seconda “benedizione” consiste nel fatto che – caso rarissimo per questa sindrome – l’epilessia ha esordito tardi, a cinque anni e mezzo, e in meno di un anno è stata messa sotto controllo. “Di norma – spiega Maria Luisa – queste bimbe iniziano ad avere crisi epilettiche frequentissime, spesso farmacoresistenti, a un mese e mezzo – due mesi d’età, con gravissime conseguenze sullo sviluppo psicomotorio: non imparano a parlare, a camminare, a compiere movimenti finalizzati con le mani”. Per Elettra è stato diverso: grazie a una costante riabilitazione e neuropsicomotricità ha imparato a stare in piedi, a camminare e ad “usare” le mani. “Oggi è autonoma nei movimenti, riesce anche a salire e a scendere le scale”.
Non parla, ma “capisce tutto e comunica a gesti e con lo sguardo”.
Insomma, rispetto alla media è “iperfunzionale”.
Che cosa significa avere una figlia con questa patologia? “La nostra vita è radicalmente cambiata. La genitorialità, di per sé, modifica la geometria del cervello dei genitori, ma una situazione come questa apre un percorso personale sul senso dell’esistenza e sulla responsabilità”. Occorre un’efficiente organizzazione con diverse figure di riferimento – maestre, insegnante di sostegno, tata, operatori del centro di riabilitazione – perché “la quotidianità è più complessa rispetto a quella dei bambini ‘normali’, e bisogna accettare molte limitazioni. Tuttavia riusciamo ad avere una socialità ragionevole e, pur tra mille difficoltà, cerchiamo di conquistarci schegge di normalità”. Il momento più difficile è arrivato con il lockdown: “Mio marito ed io davanti al monitor in smartworking ed Elettra, abituata ad essere sempre stimolata a scuola e al centro di riabilitazione, a casa. Ma per fortuna l’interruzione delle terapie è stata breve”.
Per quanto riguarda il sostegno delle istituzioni, Maria Luisa parla dell’esistenza di “diverse Italie” e sottolinea:
“Bisogna sempre combattere per ottenere quelli che sono i propri diritti; una situazione alla lunga stancante”.
In ogni caso, “con una disabilità il percorso è molto più facile in Emilia-Romagna, Toscana o Lombardia”. Elettra è seguita a Siena, dove è localizzato il centro di riferimento nazionale per la sua malattia. Nel quotidiano, a Napoli è seguita da uno psichiatra e dal centro di riabilitazione: “Abbiamo trovato persone speciali dal punto di vista professionale e umano, sia a scuola sia nell’ambito della riabilitazione. La sua terapista è ormai una sorella per me”.
Quando i bambini sono piccoli è tutto più semplice. Oggi, racconta Maria Luisa, i compagni di classe vogliono bene ad Elettra e la coinvolgono in ogni attività. “Quando si diventa più grandi, invece, la diversità fa paura e si tende ad allontanarla. Quando queste creature diventano maggiorenni – aggiunge con amarezza – per lo Stato italiano non esistono più, ma è proprio quando diventano grandi che è più necessaria una forma di sostegno. I genitori sono diventati più anziani, potrebbero non esserci più…”. Nel 2016 in Italia è stata approvata la legge sul “dopo di noi”, relativa al periodo di vita delle persone con disabilità severa, successivo alla scomparsa dei genitori o familiari più prossimi. Un provvedimento che si limita a delineare gli obiettivi generali perché dal punto di vista legislativo e di programmazione degli interventi la materia è di competenza esclusiva delle Regioni. “Non so quanto la legge in questi anni abbia funzionato. Alcune Regioni come l’Emilia-Romagna si sono dotate di strutture lungo residenziali immaginate a misura della disabilità del soggetto che verrà seguito, ma questo percorso obbligato, in Italia non ancora rodato, non ci consente di dormire sonni tranquilli”.
L’8 marzo Maria Luisa parteciperà a “#Therareside. Storie ai confini della rarità, social talk in diretta su Facebook e su YouTube realizzato da Osservatorio malattie rare (Omar). Dieci puntate per creare un immaginario meno eroico e più quotidiano delle persone con malattia rara. “Porterò la mia esperienza – dice –, quella di tutti i genitori di bimbi con queste patologie:
passiamo il giorno a seguire i nostri figli e il nostro lavoro, e la notte a leggere e studiare.
Io sono ricercatore biochimico, ma conosco genitori straordinari che, pur facendo tutt’altro nella vita, hanno acquisito una capacità di interloquire dal punto di vista medico e biochimico da fare invidia a tanti colleghi. Questo probabilmente ci porta ad essere più attenti alle cose essenziali e alle necessità degli altri, a cercare soluzioni e risposte, ad apprezzare il bello e il buono che ci viene dato in maniera gratuita”.
Possiamo dire: quando ricerca fa rima con amore?“ Fa rima con amore, ma anche con guerra. Mio marito e io ci diciamo spesso che stiamo combattendo una guerra che non abbiamo dichiarato, ma continuiamo a lottare perché abbiamo in noi tanta speranza”.