Valle Savio
Mercato Saraceno, di fatto isolate famiglie e frazioni lungo la provinciale per Ciola
I cantieri sono tutti abbandonati. Lungo le strade delle nostre colline rimangono le ferite causate dalle frane della mattina fra il 16 e il 17 maggio scorsi. Mentre in pianura esondavano torrenti e fiumi, nelle medie valli dal confine tra il riminese e il cesenate fino alla zona di Imola fu un susseguirsi di smottamenti in contemporanea. Un evento che non pare possibile, ma che si è verificato in Romagna e ha lasciato solchi profondi nel territorio e preoccupazioni non da poco in chi li abita.
Siamo tornati in valle del Savio, ormai per l’ennesima volta. Non possiamo lasciare abbandonate queste zone così segnate dalla furia dell’acqua caduta in enorme quantità e in un tempo brevissimo, come forse non era mai successo tra questi calanchi, tra i vigneti e i frutteti della media collina romagnola popolata di aziende agricole in piena attività, guidate anche da leve di nuove generazioni che fra questi boschi e su questi versanti a tratti dolci e a tratti scoscesi hanno deciso di investire la propria vita e le proprie risorse.
Così è stato anche per Alessandro Pari (foto qui sotto), classe 1974, che fin dai primi giorni dopo l’alluvione ci ha accompagnati nei nostri tour per raccontare quello che si incontra nel dopo-disastro.
Lungo la salita che da Mercato Saraceno porta al culmine della frazione di Ciola si incrocia un cartello con l’indicazione Mastro. Quando siamo tornati noi, due giorni fa, la giornata era di quelle speciali: tersa, aria frizzante, con lo sguardo che riesce a spaziare lontanissimo, ben oltre l’orizzonte del mare, fino a Ravenna e verso Ferrara. Qua regna un silenzio capace di incantare e fare riflettere. Ma è un silenzio anche preoccupante. Non si vedono cantieri aperti. Le frane sono quelle che qui abbiamo già documentato. All’opera non si nota nessuno. I costoni sono stati in una certa maniera sistemati, le carreggiate sono libere, i cartelli indicano i pericoli, ma la transitabilità è ancora riservata ai mezzi di soccorso. Le voragini rimangono quelle già documentate. Si intuisce che i lavori di messa in sicurezza saranno importanti, per l’impegno di tempo e di denaro.
Dicevamo di Mastro, una borgata di poche case a 520 metri sul livello del mare. Per andarci occorre deviare a destra dalla strada provinciale, quella ancora chiusa al traffico, anche se ormai vi transitano in tanti. Incontriamo Sergio Capacci, intento in alcuni lavori di sistemazione esterna. La preoccupazione è tanta, anche in lui. Chiede notizie a Pari: “Quando riaprono la strada? Quando riprendono i lavori?”. In cima al colle di Mastro c’è la casa, ora disabitata, di Giovanni Capacci e di Miria Mancini. La loro abitazione è quasi su un precipizio (foto qui sopra). La scarpata che sosteneva tutta la parte sul retro, rivolta verso il bosco, se ne è andata via. Non c’è più. Si vedono tubazioni sospese nel vuoto. Per loro c’è stato subito l’ordine di sgombero. (foto)
“All’inizio si è visto un geologo – dice Giovanni Capacci (foto qui sotto), nativo della vicina località di Musella, tra Ciola e il passo del Finocchio, tornato quassù per una scelta di vita, dopo aver lavorato per 30 anni come tecnico per il Comune di Cesena, e che ora rischia di dover compiere il tragitto in direzione inversa -. Ci è stato detto di andar via. Sono venuti due volte degli esperti. Ci hanno fatto spostare dei mobili per pericolo di ulteriori crolli. Poi non si è visto più nessuno”.
“La mia mamma ha 96 anni – dice la moglie di Capacci -. Ora è in Toscana da una mia sorella. Abbiamo portato in questa attrezzaia dei mobili dalla casa, ma la sistemazione è provvisoria. In estate va bene tutto, qua sembriamo in vacanza. Ma quando verrà il freddo, come faremo? Vorrei tornare nella mia casa”.
Poi torna l’incubo del passato. “A Sanzola di Mercato Saraceno – ricorda la signora Miria – 37 anni fa, la casa dei miei sparì in un attimo”. La speranza è che questa volta la storia non si ripeta, anche se le paure cominciano a essere tante.
In questa zona di Mastro ci sono molti viali interrotti. “Là c’è un campo di grano che non si può più mietere – aggiunge Pari -. Anche i ciliegi sono stati abbandonati. Sono impossibili da raggiungere. Le frane hanno portato a valle le strade interne. E di queste situazioni qui ce ne sono numerose. Il rischio ora, per noi, è che si venga dimenticati. Là – e indica un punto in mezzo agli alberi – ci sono 750 quintali di legna già tagliata, tutta persa”.
Risaliamo in auto. Poco dopo incrociamo l’Ape con lo stemma della Provincia di Forlì-Cesena. È Andrea Armani (foto qui sotto con Alessandro Pari), l’unico cantoniere rimasto, lo stilista delle strade come lui stesso, scherzando sul suo cognome, si definisce. “Sembra così, ma l’autunno è alle porte. Qua i lavori sono da fare prima possibile. Altrimenti saremo nei guai. Eravamo nove cantonieri, su quasi 100 chilometri di strade. Ora sono rimasto da solo. A Cesena, idem. Erano otto, adesso opera un solo cantoniere. Chi è andato in pensione non è stato rimpiazzato. Nei giorni più critici abbiamo lavorato 14-15 ore al giorno, in condizioni di estremo pericolo. Adesso sistemiamo reti di protezione e new jersey. Non mi è rimasto più un solo segnale da poter posizionare”.
Solo per i primi interventi la Provincia ha contratto dei debiti che ora deve saldare. Le aziende hanno ritirato tutti i cantieri, in attesa dei pagamenti ormai in scadenza. Ecco perché la percorribilità della provinciale tra Mercato saraceno e Linaro rimane interdetta a molti. I residenti di Monte Sasso e Mastro sono costretti a scendere lungo la via Falconara-via Bareto e a passare da Monte Iottone, lungo una strada costellata anch’essa di frane, stretta, ripida e piena di tornanti.
“La strada provinciale – insiste Pari – è da riaprire prima possibile. I lavori sono da completare, altrimenti qui saranno guai”.
Proviamo a tornare a Monte Sasso. Incrociamo il vicesindaco di Mercato Saraceno Raffaele Giovannini che dice lapidario: “La Provincia non ha più soldi e adesso noi dobbiamo pagare le aziende”. La situazione pare kafkiana: non sappiamo se è il gioco delle parti, tra governo e amministratori territoriali, fatto sta che qua i cantieri sono tutti fermi e la preoccupazione nei residenti è palpabile.
Lo conferma anche Elisa Baraghini che nel castello di Monte Sasso, un gioiello da visitare (foto qui sotto), gestisce un bed and breakfast. Dal 16 maggio non ha più lavorato. Vorrebbe avere qualche certezza. Si affida a Pari e spera che la lettera inviata a tutte le istituzioni sortisca qualche effetto, visto che finora nessuno ha risposto alla missiva invia con posta elettronica certificata.
“Ho avuto disdette anche due giorni fa – riferisce con molta amarezza, mentre ci offre delle ottime bollicine di sua produzione -. Abbiamo fatto notevoli investimenti nella vigna. Poi abbiamo avuto il covid. Abbiamo resistito, ma non sappiamo nulla del prossimo futuro. I clienti chiamano e chiedono dello stato delle strade. Io debbo dire che non si può transitare. E allora mi arrivano le rinunce”.
Ma il fatto più brutto, insiste la Baraghini, “è l’assenza di informazioni, il silenzio più totale, anche da Comune di Mercato Saraceno. La comunità che vive qui a Monte Sasso chiede di ripristinare la viabilità. Le piccole aziende come la mia rischiano di non resistere”. Ne va di un intero territorio.
Bisognerebbe che qualcuno salisse fin quassù, non solo sorvolando con l’elicottero, come accadrà lunedì con il nuovo commissario per la ricostruzione, il generale Figliuolo. I bisogni di questa gente vanno ascoltati. E i loro sguardi vanno incrociati. Solo così la realtà può apparire nella sua interezza e nella sua drammatica quotidianità del dopo alluvione.
Nella foto qui sopra, Elisa Baraghini dialoga con Alessandro Pari