Dal Mondo
Minori stranieri non accompagnati. Sami (Unhcr): “Garantire ascolto, partecipazione, informazioni chiare”. In Italia “crescono i pregiudizi”
Quali sono i rischi, le vulnerabilità, i sogni e i bisogni dei minori stranieri non accompagnati (Msna), ospiti dei centri di prima e seconda accoglienza in Italia?
La risposta arriva dal rapporto “L’ascolto e la partecipazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia”, frutto di un lavoro congiunto dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Il dossier è stato presentato martedì 9 luglio a Roma. Facciamo il punto della situazione dei Msna in Italia, e non solo, con Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per il Sud Europa.
Qual è la condizione dei Msna nel nostro Paese?
La situazione dei minori stranieri non accompagnati dal punto di vista della tutela legislativa in Italia è positiva anche se devono essere ancora implementate le ultime norme che garantiscono appieno la tutela dei minori stranieri e, in particolare, dei Msna. Per noi è molto importante che, nonostante gli aspetti più critici delle ultime decisioni legislative, in particolare del decreto sicurezza, vengano garantiti la tutela e l’accesso ai progetti di integrazione. Il rapporto di Agia-Unhcr evidenzia come sia estremamente importante garantire ai Msna l’ascolto e la partecipazione.
I minori stranieri non accompagnati presenti in Italia sono adolescenti, che si avvicinano alla maggiore età: per loro è fondamentale entrare in relazione con i coetanei italiani, non sentirsi discriminati e conoscere molto bene le procedure legali che li riguardano. Due le priorità: essere sicuri di essere protetti dal punto di vista legale e poter accedere all’educazione o, comunque, a una formazione in vista di un lavoro. Attualmente in Italia i Msna sono circa 8mila, collocati in diverse strutture, che, per circa il 30%, si trovano in Sicilia.
È frequente il fenomeno della loro “sparizione” dai centri?
Rispetto a questo problema, è fondamentale per i Msna sapere il percorso che dovranno affrontare, i tempi necessari per avere i documenti che permettono di vivere in maniera regolare in Italia, il percorso educativo e formativo e il supporto dato. Le informazioni sono fornite in termini di difficile comprensione per loro, per questo bisogna sviluppare degli strumenti di informazione il meno tecnici possibile, in modo da aiutare il minore a capire che l’Italia è un Paese che lo può proteggere; altrimenti, i minori ‘scompaiono’ nel senso che si mettono in movimento per cercare di raggiungere altri Paesi europei. E qui si apre un altro elemento: il fatto che la riunificazione familiare sia molto difficile nonostante sia prevista dal regolamento di Dublino. Molti minori hanno la famiglia in altri Paesi: sarebbe opportuno che la riunificazione avvenisse in maniera legale in modo tale che i Msna non si spostassero da soli, esponendosi a dei rischi gravissimi.
Si hanno numeri sul fenomeno?
No, sappiamo che negli anni passati il numero dei minori in transito è stato molto alto. Abbiamo organizzato diversi workshop con i servizi sociali, soprattutto nel Nord Italia, perché lì sono le frontiere che cercano di attraversare – sia Ventimiglia sia alla frontiera Nord tra Piemonte e Francia –, per favorire una conoscenza anche tra gli operatori sociali sul modo di intervenire e su come garantire nel miglior modo possibile protezione e informazione. Abbiamo anche attivato, soprattutto nei mesi invernali, dei team di mediatori culturali nelle stazioni e alle frontiere per informare i minori sui rischi che corrono.
I minori cosa pensano dell’accoglienza in Italia?
Noi lavoriamo con centinaia di minori e tutti riferiscono di un peggioramento del clima e dell’atteggiamento nei loro confronti.
Si dovrebbe favorire l’incontro tra ragazzi italiani e minori stranieri. Spesso, poi, quando un adulto parla a un minore straniero, soprattutto se proveniente da un Paese africano, è uso per quest’ultimo abbassare la testa. Questo, talvolta, viene considerato dagli italiani come una mancanza di rispetto, mentre per il minore è il contrario. Tante volte i Msna ci riferiscono che salutano le persone e viene loro risposto: ‘Non ti do soldi’. Percepiscono, in qualche maniera, un pregiudizio nei loro confronti, basato sempre su una mancata conoscenza. Quello che noi cerchiamo di stimolare attraverso le scuole e i comuni, dove i centri si trovano, sono occasioni di scambio.
Lega e M5s hanno trovato un accordo sugli emendamenti al Decreto sicurezza bis, con un inasprimento delle multe alle Ong (fino a un milione) e l’immediata confisca per le imbarcazioni che violano lo stop all’ingresso nei mari e porti italiani. Cosa dire del clima che si respira in Italia?
Ci preoccupa molto. Siamo stati molto chiari nel ribadire alcuni punti fermi, che attengono al mandato di Unhcr di monitorare affinché gli Stati emanino leggi in linea con il diritto internazionale. Nel Mar Mediterraneo esiste un problema di elevata rischiosità per coloro che in mano ai trafficanti si trovano spesso alla deriva. Esiste un rischio accresciuto: siamo passati da una persona che moriva ogni 23 nel 2018 a una ogni 6 nel 2019, dovuto al fatto che non solo l’Italia ma tutti gli Stati europei hanno ritirato i loro assetti navali e in questo momento non c’è nessuno che faccia ricerca e salvataggio, eccetto le Ong che svolgono un’attività umanitaria. Abbiamo chiesto che il Decreto sicurezza bis venga rivisto in Parlamento in modo tale da non proseguire la penalizzazione costante delle attività delle Ong.
Chiediamo, soprattutto, che nessuno torni in Libia perché significherebbe rientrare in un circuito di detenzione di massa dove vengono costantemente violati i diritti umani. E ai Paesi europei di finire questo approccio barca per barca, porti chiusi-porti aperti, ma di mettere in piedi un sistema di sbarchi sicuri condiviso da tutti i Paesi che si affacciano nel Mediterraneo e un sistema di distribuzione all’interno dei Paesi. Sbarco e accoglienza sono due passaggi che vanno tenuti distinti. Questa politica dei porti chiusi non risolve il problema. Il 90% dei pochissimi arrivi in Italia via mare (3mila contro i quasi 19mila della Grecia e i quasi 15mila della Spagna) sono avvenuti in maniera o spontanea o accompagnati da autorità. Le persone salvate da Ong che hanno portato a queste tensioni equivalgono a una porzione veramente minima.
Intanto, si chiude il Cara di Mineo…
La struttura era stata aperta durante l’emergenza nel periodo delle Primavere arabe: abbiamo sempre sottolineato con molteplici rapporti la situazione molto critica che si era creata nel centro. Chiaramente ci sono delle persone in stato di vulnerabilità, in particolare con problemi psichiatrici, che necessitano di assistenza. D’altra parte, il Cara di Mineo, come tutte le strutture grandi, con forti concentrazioni, sarebbero da superare.
Che possibilità hanno le persone che escono dal sistema?
Questo è un problema. Molte persone sono state trasferite in altri centri. Noi ci auguriamo che a tutte le persone che abbiano un titolo a restare in Italia venga garantito il diritto di accedere all’accoglienza e al supporto, con un’attenzione alle vulnerabilità. I malfunzionamenti nell’applicazione delle norme vigenti o la mancanza di informazioni tra migranti, rifugiati e richiedenti asili possono avere come conseguenza l’abbandono dei centri da parte delle persone benché abbiano diritto a essere accolte, esponendole a dei rischi. Vediamo che ci sono persone, che cercando lavoro o un tetto, vanno ad accrescere gli insediamenti informali, vicino alle campagne ma anche nelle città, dove le condizioni sono inaccettabili per un Paese come l’Italia. Tutto ciò necessita di un occhio molto attento delle autorità sull’impatto: occorre tutelare la legalità, che include il riconoscere a chi ha dei diritti di goderne, il prevedere per chi non ha diritto a restare il rientro nel proprio Paese nel rispetto i diritti umani e il comprendere che la creazione di decine di migliaia di irregolari comporta un grosso peso per i luoghi dove queste persone si trovano a vagare.
Sono stati liberati a Tripoli i 350 migranti del campo di detenzione di Tajoura, bombardato una settimana fa…
Per noi è una decisione estremamente positiva: sono migranti e rifugiati che hanno subito quello a cui nessun essere umano dovrebbe essere esposto. Tra loro ci sono donne, bambini molto piccoli, bambini soli, feriti: sono mesi che facciamo un appello affinché siano evacuati i 4mila rifugiati che si trovano nei centri di detenzione libici. Purtroppo, su questo non c’è la necessaria attenzione. Sono solo 4mila persone: chiudere i centri non rappresenta una minaccia per nessuno.