Diocesi
Missione Leopoli/5. Questa sera è suonato l’allarme in tutto il Paese. La pace ha il volto dei bambini dell’orfanotrofio
Stavamo per andare a cena questa sera, in auto, non lontano dal seminario in cui ci ospita il vicerettore, don Michele. All’improvviso si sente il lamento della sirena. Il suono è sinistro, occorre ammetterlo, soprattutto per chi non l’ha mai sentito. Sono le 19,37, ora locale, un’ora avanti rispetto all’Italia.
Il sacerdote alla guida scruta subito l’app dedicata ai cittadini ucraini per seguire l’evoluzione di eventuali attacchi e di quali zone sono rosse, cioè con l’allarme in essere. Tutto il grande Paese, come si vede nella foto in alto, è rosso. L’allarme è scattato ovunque. In volo si sono alzati due velivoli che non si sa dove potrebbero colpire. Ecco il motivo dell’allerta. Nessuno si scompone attorno a noi. Il traffico è sostenuto, come abbiamo visto sempre in questi due giorni a Leopoli, una città da un milione di abitanti, con un centro storico accogliente e stracolmo di gente a passeggio e nei locali.
Il don ci spiega che è assai improbabile un attacco su Leopoli, vista l’ampia distanza dal confine russo. Ci fa notare sulla mappa i due mezzi che incutono timore. Ci spiega che l’allarme cesserà con un successivo suono della sirena. Sino ad allora rimarrà in vigore. L’aspetto della città non muta. Noi ci sediamo a tavola, ordiniamo e dopo pochi minuti si sente il suono del cessato pericolo (foto qui sotto). Sono le 19,57. Venti minuti in cui la vita qui a Leopoli non è cambiata. Rimangono rosse tre sole regioni, due a est e la Crimea, a sud.
Ogni tanto, in centro si vedono i sacchi di sabbia alle finestre dei piani più vicini alla strada. Oppure si notano le statue ricoperte di protezione (foto qui sotto) per evitare eventuali danni dagli scoppi. Per il resto, come abbiamo scritto ieri (cfr pezzi a fianco) la guerra si ascolta nei discorsi di quanti si incontrano. Anzi, non si parla quasi solo che di quell’argomento. Gli effetti del conflitto e le macerie sono nelle menti e nei cuori di tanti, anche se si cerca di fare andare avanti la vita come se non esistesse. Si pensa anche al dopo conflitto, con i danni di tanti giovani al fronte, di tanti che non tornano, di tanti che hanno perso anni a combattere e faranno fatica a riprendere la vita di prima. “Gli anziani soli e i reduci da gestire – fa notare don Andry – saranno il vero problema di domani. Non sarà facile per nessuno”.
Nell’episcopio di rito latino di Leopoli ci aspetta il vescovo ausiliare, monsignor Edward Kawa, che è anche il segretario della conferenza episcopale ucraina. “La Russia non è così forte come appare all’esterno”, dice in avvio di conversazione che si concentra subito sulla guerra e i problemi da essa creata. Poi prova a scherzare: “Quando suona l’allarme i bambini della vicina scuola si rifugiano nei sotterranei, poi però si lamentano perché là non arriva la connessione del wifi”.
Il presule ringrazia per gli aiuti che qua sono arrivati da tutta Europa e anche per quelli partiti da Cesena. “Con la guerra ci siamo dimenticati i poveri – aggiunge -. Abbiamo spedito più di duemila camion di aiuti nell’est dell’Ucraina. Durante i primi mesi di guerra anche 15 camion al giorno. Adesso due o tre a settimana. Ora i prezzi sono aumentati, ma le pensioni sono rimaste ferme, così molti anziani sono andati in difficoltà. Diversi, per risparmiare, vengono alle nostre mense. I bisogni, quindi, sono evidenti qui per questa fetta di popolazione e per i profughi. Abbiamo inviato molti generatori di corrente a Kharkiv dove spesso manca la corrente, ma non vogliamo dimenticare i nostri poveri”.
Monsignor Kawa fa memoria del bombardamento avvenuto il 19 settembre scorso nel magazzino della Caritas spes. “Tenete voi le merci – ci dicevano dalle città più a est, molto meno sicure di Leopoli, così rimangono più al riparo. Poi, invece, è successo quello che tutti voi sapete, con un missile che ha colpito la nostra struttura”. (Qui sotto la foto di allora pubblicata dall’agenzia Sir. Foto Caritas spes). Nell’attacco vennero distrutti 33 bancali di pacchi alimentari, 10 di kit igienici e cibo in scatola, 10 di generatori e vestiti. “Secondo i rappresentanti dell’arcidiocesi di Leopoli, che gestisce il magazzino, nel magazzino vennero bruciate circa 300 tonnellate di beni umanitari”, come scrisse in quei giorni l’agenzia Sir.
Sulle voci di possibili corruzioni, il vescovo taglia corto: “Vengono diffuse per mettere la Chiesa in cattiva luce. La Caritas è l’organizzazione che porta i maggiori aiuti in Ucraina. La Chiesa gode di stima e fa tutto il possibile per agire al meglio”. Poi racconta delle verifiche rigorose, e degli aiuti che arrivano anche dalle aziende locali. “Tanti hanno offerto magazzini gratis per stoccare le merci. Oppure hanno messo a disposizione operai, muletti, o quanto altro poteva servire. Molti aiuti arrivano dalla Polonia. Ci hanno lasciato dieci camion che abbiamo usato per due anni. Ce li avevano dati che avevano 4000 chilometri. Ora ne hanno 80.000”.
Monsignor Kawa ricorda anche il cardinale Konrad Krajewski, l’elemosiniere di papa Francesco, e il sostegno arrivato dalla Santa Sede. Cita anche Wiola, del magazzino della Caritas polacca di Lezajsk, una molto attenta e precisa nel suo operare per la Caritas. “Se non c’è il suo visto, alla frontiera i carichi di aiuti non ricevono l’ok per il transito”.
Per chi è sotto le bombe, come nella zona di Kherson, occorre cibo, materiale per l’igiene personale e medicine. In inverno anche i vestiti sono utili. A Zaporižžja serve anche l’acqua potabile, ma trasportarla con i camion non ha molto senso. È meglio acquistarla sul posto, fa notare il presule.
Rimane forte il bisogno di generatori di corrente, mentre in inverno sono molto utili le stufe che negli ultimi tempi sono arrivate dall’Olanda.
“Ogni giorno prego per la fine della guerra – dice poco prima delle foto ricordo (qui sotto) monsignor Kawa. Che poi aggiunge -. La guerra? Chi l’ha cominciata? A volte le responsabilità non vengono riconosciute”.
Che ne sarà di questo Paese nel dopoguerra? “Crescerà molto – dice il vescovo -. Ci vorrà tempo, ma crescerà. Speriamo in Dio. E ricordiamoci di chi ha perso mariti e figli. Ci vediamo dopo la guerra, tra qualche mese o settimana. Chissà?”.
Il vescovo di rito greco cattolico è l’arcieparca metropolita di Leopoli, monsignor Ihor Voz’njak. “Questa guerra è un fatto pesante. Tutti ne portiamo i segni”. Poi aggiunge: “Ho parlato con un cappellano tornato dalla prima linea. È ferito a un braccio. Adesso fa la riabilitazione. Abbiamo venti sacerdoti impegnati come cappellani militari. Finora uno solo è rimasto ferito”.
Anche per il vescovo greco-cattolico c’è il tempo per una fotografia (qui sotto) e per una riflessione finale: “Prego tutti i giorni Dio perché finisca la guerra. Non importa se vinciamo noi o no”.
Don Andry ci porta alla sede della Caritas diocesana (foto qui sotto) di cui è direttore. La struttura occupa 55 dipendenti, molti assunti grazie a progetti in corso, diversi sostenuti anche dall’estero. Sono più di 100 le famiglie assistite a domicilio e 50 quelle cui ogni mese viene portato un pacco con vivere e generi di prima necessità, come prodotti per l’igiene personale. Gli attuali 210 metri quadrati sono diventati stretti. Don Andry e la Diocesi hanno in animo di aprire a breve un’altra sede molto più vasta, di oltre mille metri quadrati. Anche per le aumentate difficoltà e per le nuove che si presenteranno nel dopoguerra.
Le priorità, per il direttore, rimangono sempre le stesse: lavoro, bambini, anziani, giovani, famiglie e disabili. “Avremo bisogno di psicologi, per chi tornerà dal fronte”, precisa don Andry. Un’emergenza nell’emergenza della guerra. Un ragionare che non ci ha abbandonato mai durante tutta la giornata che si è chiusa con la visita a un orfanotrofio.
Qui Andrea Casadei della nostra Caritas diocesana improvvisa un piccolo intrattenimento per i bambini e i ragazzi ospiti. Vestito da Spiderman (foto qui sotto) legge i messaggi realizzati dai bambini della scuola elementare di Gambettola. Più di 60 disegni con i colori delle bandiere di Itala e Ucraina, tanti cuori e diversi simboli della pace. Numerosi anche i volti da mettere insieme, per una fraternità che allarga il cuore e mette insieme due popoli.
Gli ospiti ucraini ricordano i soggiorni in Italia, in particolare a Sondrio, e ringraziano con alcune parole in italiano: “grazie, pasta, pizza, ciao”. Un saluto che è anche un augurio di pace, da Leopoli, per tutto il mondo. E ha il volto di questi bambini.
Nella foto qui sopra, sacchi di sabbia alle finestre, in centro a Leopoli, Ucraina.