Monsieur Teste al “Bonci” con Paul Valéry alla ricerca della mente umana

Paul Valéry (1871 – 1945) è stato definito l’asceta della speculazione filosofica. Il più autorevole portavoce del Simbolismo come valore assoluto della poesia lirica è l’erede di una tradizione che rimonta in ambito francese a René Descartes, al Cartesio di «cogito ergo sum». L’intellettualismo della cultura francese in lui ebbe uno dei massimi aedi. Fautore di una visione della poesia scollegata dalla prassi storiografica, Valéry è stato amato da Walter Benjamin e, in Italia, dagli Ermetici e da Ungaretti. All’opposto, il poeta Thomas Stears Eliot lo condannava perché, senza una base storica, non c’era più alcun punto di contatto fra antichi e moderni. Di lui disse Jorge Luis Borges: «Yeats, Rilke e Eliot hanno composto versi più memorabili; Joyce e Stefan George hanno compiuto modificazioni più profonde nel loro strumento linguistico; ma dietro l’opera di quegli eminenti artefici, non c’è una personalità paragonabile a quella di Valéry». “Monsieur Teste”, opera del 1926 in cui coesistono epistole, frammenti, pagine di diario, racconti in terza persona e conversazioni, è un compendio raffinato di tutta la sua produzione, nel quale Valéry sviluppa un flusso interiore che sembra solo attendere di essere sollevato dalla voce.

Lo spettacolo

Afferma Chiara Guidi, che dello spettacolo è ideatrice e interprete: «Tentare di mettere in musica le parole di un testo filosofico significa entrare con il suono nell’essenza stessa del pensiero. Non tutta la filosofia, però, si può ‘cantare’ mentre la si recita. Monsieur Teste, sì! Perché nel linguaggio di Valéry v’è una visione sottile che, portando oltre ‘i bordi muti della parola’, non può che interrogare la musica». L’epilogo di Màntica-Inganno (osservatorio di teatro, danza, musica, cinema, disegno a cura di Chiara Guidi e Societas Raffaello Sanzio) ha intrecciato la programmazione del Teatro “Bonci”: Chiara Guidi ha presentato venerdì 21 dicembre “Monsieur Teste. Una prosa filosofica per contrabbasso, percussioni e voce”, spettacolo realizzato ed eseguito con i musicisti Michele Rabbia (percussioni, elettronica) e Daniele Roccato (violoncello, elettronica), sul testo omonimo di Paul Valéry.

Una scena sgombra: presenti, a destra e sinistra dello spettatore, il violoncellista e il percussionista; al centro, immobile, la schiena rivolta al pubblico, Chiara Guidi. Vestita completamente di nero, fissa un disco nero, mentre una luce si muove come un pendolo sullo sfondo. Una scenografia estremamente minimale che permette allo spettatore di fissare l’attenzione sulla cosa più importante, la voce dell’attrice, i suoni degli strumentisti e, soprattutto, le parole di Paul Valéry. Chiara Guidi è una voce straordinaria, e ciò è ben noto, ma non si può che rimanere ammirati, ogni volta, per come questo suo talento riesca a dare nuova vita alle parole che interpreta. Dal tono sussurrato a quello gridato, con tutte le varianti intermedie, Chiara Guidi prende per mano lo spettatore e fa davvero “danzare” il testo di Valéry insieme alle musiche, di grande fascino e suggestione. Piccolo colpo di scena finale: il disco nero in cui non si riflette l’attrice viene liberato negli ultimi istanti del recital, quando si allude alla morte di Monsieur Teste. Ed ecco che il disco si rivela come uno specchio. Come nell’alchimia, la “nigredo” era il passo iniziale della Grande opera, il primo passo per la realizzazione della pietra filosofale: così in questo “Monsieur Teste” le varie riflessioni dell’autore francese vanno ripensate a novant’anni da quando furono scritte. Nel frattempo il mondo ha visto la seconda guerra mondiale, gli orrori dei genocidi, le armi atomiche, e siamo forse meno disponibili a credere nell’asciutta purezza della mente umana. Per questo le parole di Valéry sono affascinanti e inquietanti nello stesso tempo (e in fondo l’inquietudine è un aspetto del fascino), e l’interpretazione di Chiara Guidi ha dato risalto a tutti questi aspetti dell’opera. Peccato che ben poche persone fossero presenti allo spettacolo (poche decine): i presenti hanno però salutato con reiterati applausi – meritatamente – gli interpreti.