Monsignor Regattieri: “Stando accanto al malato tu predichi il Vangelo”

Di seguito pubblichiamo la riflessione che il vescovo Douglas Regattieri ha scritto per l’agenzia Sir sulla Giornata mondiale del malato che tutta la Chiesa celebra oggi. 

Sono passati ormai trent’anni dalla prima Giornata Mondiale del Malato istituita da san Giovanni Paolo II (13 maggio 1992). Il 4 giugno del 2006 a firma del cardinal Montenegro, la Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute pubblicò una nota pastorale che riproponeva all’attenzione della Chiesa la pastorale dei malati: Predicate il vangelo e curate i malati. Si voleva invitare la comunità cristiana nel suo complesso a sentirsi soggetto corresponsabile della pastorale della salute, integrandola in una pastorale d’insieme. È evidente che la pandemia ha reso ancora più urgente questo dovere della Chiesa tutta. Le sfide che provengono dal mondo della salute chiedono alla Chiesa una risposta animata dalla speranza. Tale azione profetica sarà possibile se la comunità ecclesiale si sentirà costantemente provocata dal modo di agire di Gesù Cristo.

Secondo i vangeli sinottici Gesù abbina spesso l’annuncio del Vangelo con la cura dei malati. La finale del vangelo di Marco è significativa. Il Risorto affida agli Undici il compito di predicare, di curare e guarire i malati. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura…. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: …imporranno le man i ai malati e questi guariranno” (Mc 16, 15.17-18). Così anche il Vangelo di Luca: “Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demoni e di guarire le malattie” (9, 29).

La Chiesa è chiamata a curare i malati. È evidente che essa non invade il campo della medicina e non interferisce con le scienze mediche. Curare i malati per lei significa prossimità, presenza, vicinanza, ascolto. La cura nella prossimità interpella le nostre comunità; in particolare i sacerdoti, i diaconi, i ministri straordinari della Comunione, i ministri della consolazione.

In questo tempo di pandemia si è acuito il bisogno di prossimità, sia da parte dei malati che si sono ritrovati improvvisamente soli; sia da parte della comunità che non ha potuto farsi vicina fisicamente ai suoi malati.

Nel vangelo di Marco, in quella che è chiamata la giornata-tipo di Gesù, il Maestro combina insieme, direi ponendole sullo stesso livello e dando ad esse lo stesso valore, azioni importanti come: la chiamata dei primi discepoli, l’insegnamento nella sinagoga, la scacciata dei demoni, la visita e la guarigione dei malati, in particolare in casa di Simone guarendo la suocera e la preghiera silenziosa notturna (Cfr Mc 1, 14-35). Stare accanto ai malati e predicare il Vangelo stanno sullo stesso piano. Mi verrebbe da dire che sono attività pastorali che si equivalgono: stando accanto al malato tu predichi il Vangelo.

Del resto, l’esame a cui saremo sottoposti tutti alla fine della vita, verterà sul grado di prossimità che avremo saputo vivere: hai dato da mangiare a chi aveva fame? Sei stato accanto al letto di chi era malato? Perché in quell’affamato, su quel letto c’era Gesù! Ma che razza di vescovo, di sacerdote sei? Che razza di diacono, di ministro della Comunione sei, se aspetti comodamente sul divano che i parenti ti telefonino per comunicarti la morte di quel malato che avresti dovuto visitare?