Nelle mani di Dio

Non c’è evento naturale che faccia sentire più fragili di un terremoto. Tanto più qui, a Ravenna, dove per decenni esso ha rappresentato più che altro un motore di solidarietà “per altri”; dove le scosse erano sostanzialmente un “affare della collina”, non certo di pianura. E, invece, martedì in molti si sono svegliati nel cuore della notte con un peso ingombrante allo stomaco; tanti altri hanno dovuto consolare piccoli da una paura che non li consolava. Perché, appunto, il terremoto è l’evento naturale più destabilizzante che può colpire una comunità. Inevitabile, quindi, per credenti e non credenti, sentirsi improvvisamente e più intimamente “creature”, con un destino che non è saldamente nelle nostre mani, sensazione che spesso abbiamo invece nell’ordinarietà della vita. 

“Si può credere in Dio dopo un terremoto?”, si è chiesto provocatoriamente don Luigi Maria Epicoco, il teologo che è stato testimone e vittima del sisma ben più devastante de L’Aquila, del 2009.

 “Devo essere molto sincero perché la mia fede è rimasta seppellita là sotto: mi sono sentito come si sente un bambino quando pensa che siccome ha una mamma ed un papà che lo amano non gli capiterà mai niente di male – ha spiegato durante una trasmissione televisiva –. Eppure questo succede, capita, e tu rimani deluso e dici perché? Poi ho pensato che in comune con questo bambino abbiamo una idea forse non giustissima di cosa sia l’amore. L’amore non è una assicurazione ‘Kasco’ che ti protegge da tutto quello che ti accade, l’amore è un’altra cosa”.

A cosa serve, allora, prosegue don Epicoco? “A ricordarti che proprio perché sei amato anche il dolore, anche la cosa che sembra più assurda e più contraddittoria, puoi viverla. Quando uno ti ama non ti educa alla vita, ma ti dice che tu puoi affrontarla anche se difficile”.

Da qui può nascere un cambiamento, un’opportunità. E cresce, quasi spontaneamente, anche la solidarietà, quella di cui ci ha parlato (a pagina 11 su Risveglio 2000 di questa settimana ndr.), Flavia Sansoni, segretario dell’associazione Mistral, raccontandoci dei tanti messaggi di solidarietà arrivati dalle zone terremotate del Centro-Italia che i ravennati avevano sostenuto dopo il terremoto del 2016:  “Il terremoto è una brutta esperienza ma è anche uno straordinario momento di condivisione”. 

È quello che abbiamo sperimentato in molti al risveglio (se sonno è tornato ad esserci nella nostra notte) di martedì mattina, ritrovando sul cellulare messaggi e attenzioni di amici e conoscenti di altre parti d’Italia che si sono presi la briga di capire come stavamo. Di fronte a un terremoto, tutti ci sentiamo fragili, ma spesso, nella fragilità, anche fratelli.

Un’esperienza che ha cambiato profondamente la predicazione di don Epicoco: “Queste cose difficili forse ci tolgono il primo strato di pelle, ci fanno sentire la vita in una maniera diversa. Al termine di quella notte sono stato deluso come quel bambino e forse al termine di quella delusione ho incontrato davvero Dio che non era quello che mi ero inventato ma uno che è fuori dalle mie aspettative”.

No, la paura di quel che poteva o potrebbe accadere non passa. Ma la solidarietà consente di riprendere il cammino, con i piedi per terra e lo sguardo al cielo. E può renderlo più lieve.