Norcia, un anno dopo: “Facciamo diventare la solidarietà uno stile di vita”

Mons. Boccardo, il 25 settembre scorso con i vescovi dell’Umbria, con le Istituzioni e la popolazione avete ricordato il terremoto del 26 settembre 1997. Una ferita che si era, dopo 20 anni, rimarginata e che è tornata a sanguinare con il sisma del 24 agosto, del 26 e del 30 ottobre, di un anno fa. Cosa significa questo nuovo anniversario per la gente di Norcia e di queste terre?

Significa ripercorrere una storia. Le ferite del sisma del 1997 erano praticamente rimarginate e le scosse di agosto e di ottobre del 2016 le hanno riaperte. Si tratta di una vera sfida per questa gente, capace di ricominciare ogni volta da capo, di rimettere insieme i pezzi per ripartire con fiducia e determinazione.

Che ricordo ha di quei giorni di ottobre di un anno fa?

La scossa del 30 ottobre mi ha sorpreso in casa. È stata la più forte e quella che ha creato i danni maggiori. Sono uscito subito per recarmi a Norcia e negli altri Comuni colpiti. Ricordo la gente in strada disorientata che non poteva rientrare nelle abitazioni. Nei volti delle persone si vedevano tanta paura, frustrazione, incertezza e si leggeva soprattutto la domanda: ‘E adesso?’ La presenza di tanti volontari, della Chiesa, con la Caritas diocesana e i parroci, tutti rimasti fedeli al loro posto, è stata un piccolo segno di conforto e un incoraggiamento ad affrontare l’emergenza trovando anche delle risposte concrete a dei bisogni immediati.

Cosa l’ha più colpita in questo anno della sua comunità e della sua gente?

La tenacia, la fede e la condivisione. Questa gente, purtroppo abituata a fronteggiare questi eventi gravissimi, non ha mai perso la voglia di ricominciare. La tenacia: è stato bello vedere come sin dalle prime settimane dopo il sisma qualche piccola azienda familiare già riprendeva, anche se sotto una tenda, in maniera provvisoria la propria attività. La fede: quando i volontari, gli addetti della Soprintendenza, i vigili del Fuoco riuscivano a recuperare da sotto le macerie qualche oggetto di culto, come statue, tele, crocifissi, ho visto gente piangere perché ritrovava, in questi oggetti, pezzi della propria storia e della propria famiglia. Poi la condivisione e la solidarietà: essere obbligati a vivere per mesi sotto la stessa tenda aiuta necessariamente a superare screzi e problemi di comunicazione che ci possono essere soprattutto nei piccoli Paesi.

Il terremoto è stato come una scuola di convivenza pacificata perché nel momento della prova si è capaci di superare risentimenti e andare insieme nelle medesima direzione che è il bene di tutti.

Un anno dopo le scosse ritiene sia cessata la fase dell’emergenza? Come giudica il lavoro di ricostruzione sinora svolto? I rischi d’infiltrazione possono pregiudicare tutto…

L’emergenza classica è terminata. Non è finita, invece, l’emergenza della ricostruzione che potrà dirsi chiusa quando ognuno sarà tornato nella propria casa. In questo anno è stato fatto molto, grazie all’impegno delle varie Istituzioni e del volontariato. Tante persone hanno ricevuto le casette di legno e i moduli abitativi facendo di fatto ritorno nei loro abituali luoghi di residenza. Qualche cosa si è messo in moto per la messa in sicurezza dei palazzi e monumenti civici, dei luoghi di culto, non tanto per la loro vera ricostruzione. Forse bisognerebbe accelerare queste operazioni per dare alle popolazioni un segnale positivo.

Del rischio d’infiltrazioni?

Del rischio d’infiltrazioni si parla dall’inizio del terremoto. Tutto deve essere fatto nella trasparenza e nella legalità.

Siamo in tempo di emergenza e questo deve permettere di superare tutti quei passaggi burocratici non strettamente necessari in vista della legalità e della trasparenza delle operazioni. L’urgenza è la risposta ai bisogni della gente.

Il sisma non ha risparmiato chiese e opere d’arte. A che punto sono i lavori di recupero?

Consideriamo una grande grazia non aver dovuto piangere delle vittime. Nel cratere del sisma abbiamo oltre 200 chiese danneggiate, alcune crollate definitivamente e altre gravemente danneggiate e quindi non utilizzabili. Il progetto che abbiamo con l’Ufficio nazionale dei beni culturali della Cei è quello di dare almeno una chiesa ad ogni comunità. Stiamo lavorando soprattutto a Norcia e Cascia dove, grazie a Caritas Italiana, abbiamo realizzato i due primi centri di comunità. Altri sono previsti in tre Comuni. Poi ci sarà da mettere le mani alla ricostruzione o restauro dei luoghi di culto colpiti. Ci sono state già due ordinanze del Commissario straordinario per la ricostruzione che ci permettono la messa in sicurezza di diverse chiese sul nostro territorio. Aspettiamo i passi seguenti per la vera ricostruzione.

Cosa ha significato per le popolazioni terremotate la vicinanza di Papa Francesco e della Chiesa italiana?

La visita di Papa Francesco il 4 ottobre 2016 a san Pellegrino di Norcia e l’udienza alle popolazioni terremotate del 5 gennaio di questo anno sono stati due gesti eloquenti di solidarietà e di vicinanza che la nostra gente ha molto apprezzato.

Ogni volta che ho occasione di incontrare il Papa la sua prima domanda è “come sta la tua gente?” e poi chiede della ricostruzione, delle abitazioni. Il Santo Padre non ci ha fatto mancare gesti concreti di solidarietà che non si limitano solo alla visita del suo Elemosiniere che è venuto ad acquistare prodotti tipici per sostenere l’economia locale. Sono gesti di grande consolazione per questa gente.

Anche la Chiesa italiana si è subito mostrata presente con aiuti materiali e sostegno spirituale. Grazie ai suoi presidenti, prima il card. Bagnasco e ora il card. Bassetti, e a tanti vescovi che in modi diversi si sono resi presenti, non ci ha lasciati soli. La sfida adesso è fare in modo che la gente non ritrovi solo la casa ma anche il proprio ambiente umano, sociale, culturale dove possa riprendere la vita normalmente. Questo è l’impegno che ci attende nel rispetto delle competenze di ciascuno.

Quando una visita di Papa Francesco a Norcia?

Saremmo ben felici di accoglierlo, anche domani mattina. Non sono al corrente di un progetto di questo tipo. Spero vivamente che se non prima, possa venire almeno alla riapertura della basilica di san Benedetto.

Icona del sisma dell’ottobre 2016 è la basilica, oggi distrutta, di san Benedetto, patrono principale d’Europa. Dalle massime Istituzioni europee è arrivata la decisione di finanziarne la ricostruzione. Che significato avrebbe questo impegno, qualora fosse rispettato nei fatti?

L’impegno assunto dall’Ue per la ricostruzione della basilica mi pare un gesto significativo. Conosciamo bene il ruolo che ha avuto Benedetto da Norcia con i suoi monaci nell’edificazione del Continente europeo e non solo a livello religioso e spirituale ma anche culturale, umano e sociale. Il fatto che l’Europa, nelle sue massime istituzioni, si impegni materialmente a ricostruire la basilica di san Benedetto, mi induce a pensare che sia un riconoscimento almeno implicito del ruolo insostituibile di Benedetto e di tutto il Cristianesimo nella fondazione del nostro Continente.

Un contributo formalmente non riconosciuto nella Costituzione europea. Ricostruire la basilica di san Benedetto è il segno che il santo di Norcia ha qualcosa da dire anche oggi a questo nostro mondo che pare voler mettere da parte il messaggio benedettino. Spero che riedificare la basilica aiuti l’Europa a riscoprire il contributo che il Vangelo ha portato alla coscienza europea.

Il 24 maggio scorso, alla festa di sant’Eutizio, ha esortato i fedeli a “leggere dentro il terremoto che ha ferito la nostra terra e trarre degli insegnamenti”. Un anno dopo, quali sono questi insegnamenti?

Un evento come quello del terremoto non è solo un fatto di cronaca ma anche di coscienza. Dobbiamo leggere dentro questo evento. Allora il primo insegnamento è che l’uomo non è proprietario né della sua vita né del suo tempo.

Bastano pochi secondi di terremoto per azzerare tutto quello che con sforzo abbiamo costruito. Il secondo messaggio è la solidarietà. È un peccato che per scoprirlo ci voglia una scossa sismica. Vero è che nel momento della prova emergono gli aspetti più belli del cuore umano. Facciamo diventare la solidarietà uno stile di vita.

Terzo insegnamento è l’apertura degli orizzonti. Ci preoccupiamo del nostro piccolo mondo, della nostra quotidianità. Il terremoto ci mostra che nel mondo ci sono persone che soffrono come noi per altrettante catastrofi. Anche nella prova non dobbiamo rinchiuderci in noi stessi, preoccupati solo del nostro benessere, ma teniamo aperta la porta della nostra mente e del nostro cuore. Non siamo soli in questo universo.