Dall'Italia
Nunzio di Kiev al Meeting di Rimini: “La mia speranza è nella società civile”
“Nel mondo di oggi esistono molti strumenti giuridici, almeno formalmente, come le Convenzioni di Ginevra che definiscono il trattamento dei prigionieri, sia i militari sia civili, oppure dei feriti gravi. Abbiamo le Nazioni Unite. Abbiamo diversi Paesi che vengono chiamati potenze mondiali oppure aspirano a diventare tali. Ma tutti questi strumenti è come se si sbriciolassero di fronte alla realtà della guerra, incapaci di prevenirla e di fermarla”. È un’analisi cruda sulle realtà della guerra purtroppo in corso in Ucraina e sulle reali prospettive di una pace “giusta”, quella delineata ieri pomeriggio dal nunzio apostolico di Kiev, monsignor Visvaldas Kulbokas, che è intervenuto, in collegamento video, al panel del Meeting di Rimini dal titolo “Se vuoi la pace, prepara la pace”. Con lui, sono intervenuti anche Oleksandra Matvijcuk, avvocata ucraina, Premio Nobel per la Pace 2022, e Angelo Moretti, portavoce del Movimento europeo di azione nonviolenta (Mean).
“E quindi – prosegue il nunzio – rimane la questione, che cosa fare di fronte alla guerra? Come ricostruire la pace? Come sottolinea papa Francesco, le armi non possono mai essere una soluzione alla guerra. E aggiungo, neanche le armi della difesa, che sono pur legittime e giustificabili. Proprio perché le armi da sole non arrivano al fondo del problema, non alle cause della guerra”.
Rimasto a Kiev, insieme all’ambasciatore polacco, anche durante l’attacco russo contro la capitale cominciato il 24 febbraio 2022, il nunzio racconta la sua esperienza maturata in questi due anni e mezzo. “La vita insegna che di fronte alle sfide e alle tragedie che sono enormi, anche gli sforzi devono essere altrettanto enormi. Non sono sufficienti risorse ordinarie”. Il nunzio presenta quindi una sua prospettiva al riguardo. “Le guerre – dice – non seguono nessuna regola e si evolvono molto rapidamente. Per questo le istituzioni, più o meno rigidamente regolate all’interno, diventano in gran parte inermi di fronte a questa tragedia della guerra”. Al contrario, “le persone hanno un potenziale altissimo di reagire a qualsiasi emergenza. Questo è il motivo per cui dico che ripongo la mia speranza nella società civile che mi sembra abbia in questo momento, più possibilità d’essere energica, dinamica, concreta e incisiva. Parlo di persone, singolarmente prese e di gruppi di persone che prendono a cuore le sfide, riflettono insieme e cercano le possibilità di affrontarle”. Ma c’è una condizione per riuscire in questo processo: “Abbiamo bisogno di essere insieme, di metterci in ascolto gli uni con gli altri, superare pregiudizi, superficialità e sordità, tessere una rete di amicizia per l’umanità. Non per dovere, ma spinti dal cuore”.
Al panel di Rimini, ha preso la parola anche Oleksandra Matvijcuk, avvocata ucraina per i diritti umani e Premio Nobel per la Pace 2022, che ha portato la voce del popolo ucraino ma soprattutto le immagini terribili di quanto sta vivendo. “Ho parlato con centinaia di persone che sono sopravvissute alla prigionia russa”, dice l’avvocata. “Uomini e donne mi hanno raccontato storie terribili. Sono stati picchiati, violentati, rinchiusi. Sono state tagliate loro le dita, sono state strappate le unghie. Hanno subito qualsiasi tipo di torture, anche scosse nei genitali”. E aggiunge: “Le persone in Ucraina vogliono la pace più di chiunque altro”, ha assicurato l’avvocata. “Tuttavia, la pace non si può avere quando un Paese smette di lottare. Quella non è pace, quella è occupazione. E l’occupazione è come la guerra, ma sotto un’altra forma. L’occupazione non riduce la sofferenza umana, la rende semplicemente invisibile”. La Premio Nobel racconta cosa succede quanto le truppe russe entrato nei territori occupati: “Hanno sterminato fisicamente tutte le persone più attive: preti, sindaci, giornalisti, volontari, ambientalisti, insegnanti, musicisti. È stata bandita la lingua e la cultura ucraina in quelle zone. Hanno bruciato i libri ucraini, hanno distrutto il patrimonio culturale ucraino, hanno preso bambini ucraini e li hanno portati forzatamente in Russia per riformarli e rieducarli come russi. Pertanto, le persone in Ucraina non hanno nessun’altra scelta. Se smettono di resistere all’invasione russa, non ci saremo più, non esisteremo più. Abbiamo bisogno di una pace giusta e sostenibile, come papa Francesco ha detto molte volte nei suoi discorsi”
Angelo Moretti, portavoce del Movimento europeo di azione nonviolenta (Mean), ha raccontato le missioni in Ucraina, animate da una rete di movimenti e associazioni per condividere con la società civile locale, percorsi concreti e possibili di riconciliazione. Dall’Azione cattolica al Masci, dall’Anci al Movimento dei Focolari in Ucraina. “Siamo andati 11 volte in Ucraina”, racconta. “Uomini e donne comuni, esperti in conflitti internazionali. Pacifisti, ambientalisti, cattolici e laici. Ci siamo messi in cammino per fare la nostra piccola parte in questa storia. Per ascoltare i nostri fratelli e sorelle ucraini. Non qui al sicuro in Italia, ma lì in Ucraina, a Leopoli, a Kiev, a Brovary, a 30 chilometri dal fronte, per dire a loro il nostro eccoci. Abbiamo condiviso la paura, i rifugi aerei, l’ansia, la mancanza di risposte adeguate alla violenza subita, la mancanza di acqua, di luce, il freddo e il caldo eccessivo. E ci siamo resi conto che per quanto sembravamo inutili, eravamo attesi dagli ucraini”. Le missioni del Mean continueranno. Perché – dice Moretti – “la pace è come quella perla per la quale vale la pena tuffarsi mille volte in mare per trovarla. Non sai mai quando la troverai ma sai che la vittoria non arriverà senza i continui tentativi per cercarla e anche se non abbiamo ancora trovato la perla che cercavamo, in fondo in fondo, nessuno tuffo è stato inutile”.