Papa a Marsiglia: “Chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza”

(da Marsiglia) “Chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza”. Dal Palais du Pharo di Marsiglia, davanti al presidente Macron e a una platea di 900 persone, il Papa ha tenuto un ampio discorso, durato circa 45 minuti, per chiedere all’Europa il “dovere dell’accoglienza” e stigmatizzare la vulgata corrente sulle migrazioni, in cui due parole risuonano falsamente, alimentando le paure della gente: “invasione ed emergenza”. Marsiglia ha un grande porto ed è una grande porta, “che non può essere chiusa”, il monito: “Vari porti mediterranei, invece, si sono chiusi”.

Il fenomeno migratorio, la tesi di Francesco, “non è tanto un’urgenza momentanea, sempre buona per far divampare propagande allarmiste, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge attorno al Mediterraneo tre continenti e che va governato con sapiente lungimiranza: con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà”.

“Quanta gente vive immersa nella violenza e patisce situazioni di ingiustizia e di persecuzione!”, ha esclamato il Papa, citando i “tanti cristiani, spesso costretti a lasciare le loro terre oppure ad abitarle senza veder riconosciuti i loro diritti, senza godere di piena cittadinanza”. “Per favore, impegniamoci perché quanti fanno parte della società possano diventarne cittadini a pieno diritto”, l’appello: “C’è un grido di dolore che più di tutti risuona, e che sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum, il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità. È il grido soffocato dei fratelli e delle sorelle migranti”.

“La storia ci interpella a un sussulto di coscienza per prevenire un naufragio di civiltà”, le parole rivolte in modo particolare al nostro continente: “Il futuro non sarà nella chiusura, che è un ritorno al passato, un’inversione di marcia nel cammino della storia”.

“Contro la terribile piaga dello sfruttamento di esseri umani, la soluzione non è respingere, ma assicurare, secondo le possibilità di ciascuno, un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo, nel contesto di una collaborazione con i Paesi d’origine”, la proposta: “Dire basta, invece, è chiudere gli occhi; tentare ora di salvare sé stessi si tramuterà in tragedia domani, quando le future generazioni ci ringrazieranno se avremo saputo creare le condizioni per un’imprescindibile integrazione, mentre ci incolperanno se avremo favorito soltanto sterili assimilazioni”. “L’integrazione è faticosa, ma lungimirante”, l’analisi del Papa: “Prepara il futuro che, volenti o nolenti, sarà insieme o non sarà; l’assimilazione, che non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri paradigmi, fa invece prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione, che fa divampare ostilità e insofferenze. Abbiamo bisogno di fraternità come del pane”.

“Con le armi si fa la guerra, non la pace, e con l’avidità di potere si torna al passato, non si costruisce il futuro”, ha ribadito Francesco auspicando che il Mediterraneo “torni a essere laboratorio di pace, luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo, non delle ideologie che contrappongono” o dei “nazionalismi antiquati e belligeranti”. “Lasciamoci toccare dalla storia di tanti nostri fratelli e sorelle in difficoltà, che hanno il diritto sia di emigrare sia di non emigrare, e non chiudiamoci nell’indifferenza”, l’invito: “Noi cristiani non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse, che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte!”, l’appello ai credenti. La pace comincia col “dare speranza ai poveri”: “Da lì occorre ripartire, dal grido spesso silenzioso degli ultimi, non dai primi della classe che, pur stando bene, alzano la voce.

Ripartiamo, Chiesa e comunità civile, dall’ascolto dei poveri, che si abbracciano, non si contano, perché sono volti, non numeri. Il cambio di passo delle nostre comunità sta nel trattarli come fratelli di cui conoscere le storie, non come problemi fastidiosi; sta nell’accoglierli, non nel nasconderli; nell’integrarli, non nello sgomberarli; nel dar loro dignità”.

“Dove c’è precarietà c’è criminalità: dove c’è povertà materiale, educativa, lavorativa, culturale e religiosa, il terreno delle mafie e dei traffici illeciti è spianato”, il grido d’allarme del Papa: “L’impegno delle sole istituzioni non basta, serve un sussulto di coscienza per dire ‘no’ all’illegalità e ‘sì’ alla solidarietà”. “Il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura”: “Chi oggi si fa prossimo dei giovani lasciati a sé stessi, facili prede della criminalità e della prostituzione? Chi è vicino alle persone schiavizzate da un lavoro che dovrebbe renderle più libere? Chi si prende cura delle famiglie impaurite, timorose del futuro e di mettere al mondo nuove creature? Chi presta ascolto al gemito degli anziani soli che, anziché esser valorizzati, vengono parcheggiati, con la prospettiva falsamente dignitosa di una morte dolce, in realtà più salata delle acque del mare? Chi pensa ai bambini non nati, rifiutati in nome di un falso diritto al progresso, che è invece regresso nei bisogni dell’individuo? Chi guarda con compassione oltre la propria riva per ascoltare le grida di dolore che si levano dal Nord Africa e dal Medio Oriente?”.

“Una Conferenza dei vescovi del Mediterraneo, che permetta ulteriori possibilità di scambio e dia maggiore rappresentatività ecclesiale alla regione”, la proposta finale per una “teologia mediterranea”.

“Le università mediterranee siano laboratori di sogni e cantieri di futuro, dove i giovani maturino incontrandosi, conoscendosi e scoprendo culture e contesti vicini e diversi al tempo stesso”, l’altra indicazione del Papa: “Così si abbattono i pregiudizi, si sanano le ferite e si scongiurano retoriche fondamentaliste”.