Papa a Palermo. Biagio Conte: “La Chiesa deve camminare unita e diventare esempio per la società”

Senzatetto, disoccupati, immigrati, disabili, ragazze madri, ex detenuti, ex alcolisti. Il 15 settembre, saranno loro a pranzare con il Papa. È uno dei momenti culminanti del viaggio del Papa a Palermo. “Sono emozionato e felice per l’arrivo di Papa Francesco”, ci dice Biagio Conte, missionario laico che ha lasciato tutto per stare accanto agli ultimi e ha fondato 27 anni fa la Missione Speranza e Carità:

“È un momento di comunione forte con il Santo Padre in cui insieme lanciamo un messaggio di accoglienza verso tutte le persone in difficoltà, sia italiane, sia straniere. La Chiesa deve camminare unita e diventare esempio di carità per tutta la società. Bisogna essere attenti a tutti, i papà che hanno perso il lavoro, le famiglie che hanno figli disabili, le donne con figli rimaste sole, gli immigrati, i carcerati, tutti quelli che hanno perso la speranza”.

Poco più di un’ora in tutto. Divisa tra il pranzo nella mensa, dove troveranno posto più di 1.500 persone – 150 all’interno con il Papa, le altre nel grande piazzale esterno allestito per l’occasione – e la sosta in preghiera nella “Casa di preghiera di tutti i popoli”, uno dei cuori pulsanti della Missione “Speranza e carità”. Nella Cittadella del Povero e della Speranza, ex Caserma dell’aeronautica oggi divenuta tetto per 1.100 persone, Papa Francesco si fermerà anche per un momento di riposo, in uno spazio a lui riservato nella canonica.

Mentre arriviamo, l’atmosfera è ancora da “work in progress”. Lo scultore Rosario Vullo sta ultimando una enorme scultura di gesso che ritrae don Giuseppe Puglisi che abbraccia un bambino e una bambina. Sarà collocata all’ingresso della Missione, nel piazzale davanti alla chiesa, bianca anch’essa, con le volte del grande porticato esterno che sanno di abbraccio. All’interno della “Casa di preghiera di tutti i popoli”, come è stata battezzata, la presenza delle tre religioni – cristiana, ebraica, e musulmana – è palpabile in tutta la sua concretezza, richiamata anche dalla simbologia dei tre stemmi sul pavimento del sagrato. Quello cristiano è rappresentato da un tronco tagliato – che simboleggia le vite spezzate accolte qui dentro – dal quale spunta un germoglio verde, simbolo della rinascita a nuova vita, impossibile però senza l’intervento divino, come sottolinea la colomba irradiata dalla luce dello Spirito che completa il mosaico. E alla metafora dei frutti fa ricorso anche mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, in visita di “fratellanza” con chi si sta dando da fare con tutto il suo impegno per organizzare al meglio l’accoglienza del primo Papa a mettere piede in questa periferia palermitana. “La visita del Papa porterà molto frutto”, ci assicura:

“Dobbiamo accogliere tutti. Sarà un segno forte, in un momento come questo, dove si sta sviluppando una mentalità razzista”.

Missione è accoglienza, nella reciprocità e nella contaminazione di storie e volti. Lo si capisce subito, entrando nella chiesa, voluta fortemente dagli ultimi tre arcivescovi di Palermo ed eretta due anni fa a Porta Santa del Giubileo. Le otto pale d’altare, in stile cristiano copto, sono state dipinte da un tunisino di religione musulmana, Roberto Bekir Ben. I mosaici sopra l’altare maggiore sono firmati dai disabili di Ragusa, e sono ancora “in fieri”, li sta montando pezzo a pezzo un gruppo di ospiti islamici: insieme alla Madonna, a San Giovanni e agli altri santi, tra cui suor Bakhita, troverà posto in tempo per l’arrivo del Papa anche l’effige di don Puglisi.

A farci da cicerone è Riccardo Rossi, napoletano di nascita ma ormai palermitano di adozione, direttore del giornalino della Missione Speranza e carità, “La speranza”. La sua è una storia che parla da sola. Giornalista, ex addetto stampa dei Verdi, cambia decisamente percorso scegliendo di fare il volontario a Catania in una casa famiglia per disabili. Lì incontra Barbara, sposata due anni fa. La sua vita conosce un’altra svolta nel gennaio scorso, quando decide di fare una piccola vacanza a Palermo con sua moglie e finisce per dormire per dieci giorni in strada insieme a fratel Biagio, sotto i portici delle Poste Centrali di Via Roma per lanciare un appello pubblico all’accoglienza, come ha fatto con innumerevoli altri digiuni nel corso della sua vita controcorrente. Un mese dopo Riccardo e Barbara decidono di trasferirsi a Palermo. Alla Missione Speranza e carità stanno facendo un cammino speciale: fra sei mesi, con la loro promessa, diventeranno la prima famiglia terziaria della comunità.

Da deposito di armi ad arsenale della pace. La “Cittadella del povero e della speranza” è una delle quattro strutture di accoglienza della “Missione di speranza e carità”, ed è diventata una casa per 800 persone, provenienti da Paesi come Bangladesh, India, Sri Lanka, Siria, Afghanistan. L’ultimo arrivato, proprio in questi giorni, è un vietnamita. In via Archirafi, ex disinfettatoio comunale, sono ospitate circa 120 persone. A Villa Florio, terra data in comodato d’uso gratuito dall’arcidiocesi di Palermo, 60 ospiti coltivano la terra, perlopiù ortaggi. A Tagliavia, frazione di Monreale, in un terreno dato in comodato d’uso dalla diocesi, 20 persone coltivano il grano e producono formaggio, mentre i grandi uliveti sono la specialità dei 60 ospiti di Scopello, in provincia di Trapani, che si occupano anche degli animali. Tutto, qui, è frutto della Provvidenza e dell’impegno degli “uomini di buona volontà”, come recita il cartello dei lavori per il prossimo sogno della Cittadella: l’Ospedaletto, per garantire cure mediche a chi viene accolto.