Papa Francesco in Ungheria/2. L’incontro con le autorità: “L’Europa non diventi preda di populismi autoreferenziali”

Papa Francesco parla di Budapest come una città di piena di storia, di ponti e di santi. E chi ci arriva nota subito i numerosi ponti che attraversano il Danubio, il grande fiume tra passa per l’Europa centrale. Rivolto alle autorità, Bergoglio parla, nel suo primo discorso della visita a Budapest che andrà avanti fino a domenica prossima, di politica e subito ci viene in mente il discorso tenuto a Cesena, in piazza del Popolo, il primo ottobre 2017. Cita la “passione concreta” e parla di “vivere insieme garantendo a tutti diritti e rispettando doveri”.

Accennando alla storia, ricorda le “violenze e oppressioni provocate dalle dittature nazista e comunista” e accenna: “come scordare il 1956?”. Parla anche della deportazione di “decine e decine di migliaia di abitanti” e ricorda che “Budapest è oggi una delle città europee con la maggiore percentuale di popolazione ebraica”. 

Il Papa ricorda l’Europa, “la grande speranza”, ma mette in guardia dai “solisti della guerra”, “si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri”, con l’effetto di “infiammare gli animi” e il rischio di tornare a “una sorta di infantilismo bellico”.

Il Papa invita l’Europa e “unire i distanti” e a “non lasciare nessuno per sempre nemico”. Sollecita a “ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori. Fa i nomi di De Gasperi, Schuman e Adenauer, e poi si chiede, pensando all’Ucraina che cita, “dove sono gli sforzi creativi di pace?”. 

Budapest, dice ancora Bergoglio, è una città di ponti. L’invito a costruire ponti è contenuto anche nel telegramma spedito in mattinata al presidente italiano Sergio Mattarella, al momento della partenza, come avviene in ogni viaggio apostolico. 

Il Pontefice si congratula per la cura ecologica (Budapest, si vede subito, ha molto verde) e parla di ponti per riflettere “sull’importanza di un’unità che non significhi uniformità”. Poi l’invito all’Europa dei 27 che “necessita del contributo di tutti senza sminuire la singolarità di alcuno. “C’è bisogno – aggiunge – di un insieme che non appiattisca le parti e di parti che si sentano ben integrate nell’insieme”. Auspica che l’Europa non diventi “preda di populismi autoreferenziali, ma “nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto”. Bergoglio cita le colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender. Parla di aborto come di “tragica sconfitta”. Poi dice che “l’Ungheria può fare da pontiere“, per il suo carattere ecumenico: “qui diverse confessioni convivono senza antagonismi”. Pensa, citandola, all’abbazia di Pannonhalma, “uno dei grandi monumenti spirituali di questo Paese, luogo di preghiera e ponte di fraternità”.

Infine la Budapest dei santi, santo Stefano, primo re d’Ungheria. Il Papa ricorda la storia ungherese come “segnata dalla santità”, e menziona alcuni passaggi della Costituzione: “Rispettiamo la libertà e la cultura degli altri popoli, ci impegniamo a collaborare con tutte le nazioni del mondo” e le minoranze nazionali, “parti costitutive dello Stato”. Il testo, dice Bergoglio, è impregnato di “spirito cristiano”. E poi aggiunge, sempre citando la Costituzione: “dichiariamo essere un obbligo l’assistenza ai bisognosi e ai poveri”.

Francesco ringrazia per “la promozione delle opere caritative ed educative… nelle quali si impegna la compagine cattolica locale”. Sollecita a “non prestarsi a una sorta di collateralismo con le logiche del potere. Fa bene, da questo punto di vista, una sana laicità, che non scada nel laicismo diffuso. Chi si professa cristiano è chiamato a testimoniare e a camminare con tutti”. Chiamati a “riconoscersi figli amati dal Padre e amare ciascuno come fratello”.

L’ultimo argomento è quello dell’accoglienza, “senza scuse e indugi”. “Una sfida epocale, che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme (e qui insiste con la voce) non sarà”.