Dalla Chiesa
Papa Francesco in Ungheria/3. “La Chiesa che sogniamo è quella capace di ascoltare e attenta ai più deboli”
Oggi pomeriggio, lasciata la Nunziatura Apostolica, papa Francesco si è trasferito in auto alla Concattedrale di Santo Stefano dove, poco dopo le 17 ha incontrato i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali. Al suo arrivo, il Papa è accolto all’ingresso della chiesa dal cardinale Péter Erdő arcivescovo di Esztergom–Budapest, dal presidente della Conferenza episcopale ungherese, monsignor András Veres, vescovo di Győr, e dal parroco, il quale gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione.
Due bambini hanno offerto al Papa un omaggio floreale. All’esterno della chiesa c’è tanta gente, anche in piedi. Nell’attesa dell’arrivo del Pontefice è stato recitato il Rosario e sono stati eseguito numerosi canti.
Dopo l’indirizzo di saluto del presidente della conferenza episcopale, un sacerdote cattolico, un sacerdote della Chiesa greco-cattolica, una religiosa e un catechista hanno portato la loro testimonianza. Quindi il Papa ha pronunciato il suo discorso. Sono stati diversi gli interventi fuori testo da parte del Pontefice.
“Cristo risorto, centro della storia, è il futuro”, dice Francesco. Si deve tornare a Cristo, “il peggio che può accadere alla Chiesa è una Chiesa mondana”, aggiunge il Pontefice che si raccomanda con forza su questo accenno. Poi rettifica il testo consegnato: non accoglienza profetica, ma “accoglienza aperta alla profezia”. No agli aggettivi, sì ai sostantivi, che sono in crisi, nota Bergoglio.
“Contro il disfattismo catastrofico e il conformismo mondano”, bisogna “entrare nel nostro tempo con un atteggiamento accogliente”.
Poi il Papa parla di sfida e di interrogativo per una Chiesa che assiste alla “diffusione del secolarismo e a quanto lo accompagna, il che spesso rischia di minacciare l’integrità e la bellezza della famiglia, di esporre i giovani a modelli di vita improntati al materialismo e all’edonismo, di polarizzare il dibattito su tematiche e sfide nuove. E allora la tentazione può essere quella di irrigidirsi, di chiudersi e assumere un atteggiamento da combattenti“. Invece Bergoglio invita a “cercare vie, strumenti e linguaggi nuovi”. La comunità cristiana deve essere “presente e testimoniante”. E “deve sapere ascoltare le domande e le sfide senza paura o rigidità”.
Il Papa parla del sovraccarico di lavoro per i sacerdoti, “le vocazioni calano e i preti sono pochi” e si vede “qualche segno di stanchezza”. Allora “pastori e laici si sentano corresponsabili: anzitutto nella preghiera, perché le risposte vengono dal Signore e non dal mondo, dal tabernacolo e non dal computer”. E qui il Papa fa una lunga pausa per far comprendere quanto ha appena detto.
Ci vuole fascino per la sequela a Gesù, anche nella speciale consacrazione. Ci vuole uno stile sinodale, per raggiungere il prossimo attraverso “la narrazione, la comunicazione, toccando la vita quotidiana”.
“Se siamo distanti o divisi, se ci irrigidiamo nelle posizioni o nei gruppi, non portiamo frutto. È triste quando ci si divide perché, anziché fare gioco di squadra, si fa il gioco del nemico”. Vescovi scollegati tra loro, preti in tensione col vescovo, anziani in conflitto con i giovani, diocesani con i religiosi, i presbiteri con i laici, i latini con i greci. “Ci si polarizza su questioni che riguardano la vita della Chiesa, ma pure su aspetti politici e sociali, arroccandosi su posizioni ideologiche. No, per favore: il primo lavoro pastorale è la testimonianza della comunione”. Bergoglio richiama alla preghiera, all’adorazione e all’ascolto della Parola di Dio. Fuori testo dice che “è il diavolo quello che divide. Non lasciate entrare le ideologie. E state attenti al chiacchiericcio. Distrugge. Sembra una caramella di zucchero, invece è la strada della distruzione. Niente chiacchiericcio”.
E indica due rimedi: la preghiera e “mordersi la lingua”. E poi chiede: “d’accordo? Mordersi la lingua”. Lo stile di Dio, invece, è “vicinanza, compassione e tenerezza”. Che perdona sempre, “accoglie e non giudica, incoraggia e non critica, serve e non chiacchiera”.
Francesco invita alla misericordia e alla prossimità, alla maniera di san Martino, santo ungherese, colui che divise il suo mantello per darlo uno che non l’aveva. “Questa è la Chiesa che dobbiamo sognare – dice infine Bergoglio – capace di ascolto vicendevole, di dialogo, di attenzione ai più deboli. Accogliente verso tutti e coraggiosa nel portare a ciascuno la profezia del Vangelo”.
All’uscita della Concattedrale, sulla sedia a rotella, il Papa fa il giro della piazza, mettendo a rischio le misure di sicurezza. Saltano un bel po’ di controlli, ma Bergoglio è felice e scherza con la gente che gli si fa incontro. È un Papa al termine di una giornata lunga a fatica, ma il sorriso non scompare dal suo volto. Il sorriso di una Chiesa che allarga le braccia e si fa prossima tra le case degli uomini e delle donne di oggi, a Budapest e sulle vie del mondo.