Papa Francesco: nella Domenica della Divina Misericordia, “se ci prendiamo cura delle piaghe del prossimo rinasce in noi una speranza nuova”

“Questa è la gioia di Gesù, la gioia che abbiamo provato anche noi sperimentando il suo perdono. Ci è capitato di assomigliare ai discepoli della Pasqua: dopo una caduta, un peccato, un fallimento. In quei momenti sembra che non ci sia più nulla da fare. Ma proprio lì il Signore fa di tutto per donarci la sua pace: attraverso una Confessione, le parole di una persona che si fa vicina, una consolazione interiore dello Spirito, un avvenimento inaspettato e sorprendente…”. Lo ha detto il Papa nell’omelia della celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, in occasione della II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia presieduta da monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.

“Facciamo memoria del perdono e della pace ricevuti da Gesù. Ognuno di noi – ha aggiunto – li ha ricevuti; ognuno di noi ne ha l’esperienza. Facciamo un po’ di memoria, ci farà bene! Mettiamo il ricordo dell’abbraccio e delle carezze di Dio davanti a quello dei nostri sbagli e delle nostre cadute. Così alimenteremo la gioia”. Quindi, rivolgendosi ai missionari della Misericordia, ha ricordato che “oggi e sempre nella Chiesa il perdono ci deve raggiungere così, attraverso l’umile bontà di un confessore misericordioso, che sa di non essere il detentore di qualche potere, ma un canale di misericordia, che riversa sugli altri il perdono di cui lui per primo ha beneficiato. E da qui nasce quel perdonare tutto, perché Dio perdona tutto, tutto e sempre”.

“Quando sperimentiamo la gioia di essere liberati dal peso dei nostri peccati – ha detto ancora Francesco – dei nostri fallimenti; quando sappiamo in prima persona che cosa significa rinascere, dopo un’esperienza che sembrava senza via d’uscita, allora bisogna condividere con chi ci sta accanto il pane della misericordia. Sentiamoci chiamati a questo. E chiediamoci: io, qui dove vivo, io, in famiglia, io, al lavoro, nella mia comunità, promuovo la comunione, sono tessitore di riconciliazione? Mi impegno per disinnescare i conflitti, per portare perdono dove c’è odio, pace dove c’è rancore? O io cado nel mondo del chiacchiericcio, che sempre uccide?”.

Poi ha ricordato che “in Tommaso c’è la storia di ogni credente, di ognuno di noi, di ogni credente: ci sono momenti difficili, in cui sembra che la vita smentisca la fede, in cui siamo in crisi e abbiamo bisogno di toccare e di vedere. Ma, come Tommaso, è proprio qui che riscopriamo il cuore del Signore, la sua misericordia”. In queste situazioni, ha spiegato, “Gesù non viene verso di noi in modo trionfante e con prove schiaccianti, non compie miracoli roboanti, ma offre caldi segni di misericordia. Ci consola con lo stesso stile del Vangelo odierno: offrendoci le sue piaghe”. E così il Signore “ci fa scoprire anche le piaghe dei fratelli e delle sorelle”: “Sì, la misericordia di Dio, nelle nostre crisi e nelle nostre fatiche, ci mette spesso in contatto con le sofferenze del prossimo. Pensavamo di essere noi all’apice della sofferenza, al culmine di una situazione difficile, e scopriamo qui, rimanendo in silenzio, che c’è qualcuno che sta passando momenti, periodi peggiori. E, se ci prendiamo cura delle piaghe del prossimo e vi riversiamo misericordia, rinasce in noi una speranza nuova, che consola nella fatica”.