Dalla Chiesa
Papa in Mongolia: a religiosi e operatori pastorali, “la Chiesa non ha un’agenda politica ma conosce solo la forza umile della grazia di Dio”
“Il Signore Gesù, inviando i suoi nel mondo, non li mandò a diffondere un pensiero politico, ma a testimoniare con la vita la novità della relazione con il Padre suo, diventato ‘Padre nostro’ (cfr Gv 20,17), innescando così una concreta fraternità con ogni popolo”. L’ha detto papa Francesco, nel suo discorso nella cattedrale di Ulaanbaatar, nel corso del suo viaggio apostolico in Mongolia. “La Chiesa – ha proseguito Bergoglio nel suo discorso – che nasce da questo mandato è una Chiesa povera, che poggia solo su una fede genuina, sulla disarmata e disarmante potenza del Risorto, in grado di alleviare le sofferenze dell’umanità ferita. Ecco perché i governi e le istituzioni secolari non hanno nulla da temere dall’azione evangelizzatrice della Chiesa, perché essa non ha un’agenda politica da portare avanti, ma conosce solo la forza umile della grazia di Dio e di una Parola di misericordia e di verità, capace di promuovere il bene di tutti”.
“Per adempiere tale missione – ha specificato il Santo Padre – Cristo ha dotato la sua Chiesa di una struttura che ricorda l’armonia che c’è tra le varie membra del corpo umano: Egli è il Capo, cioè la testa che continua a guidarla, infondendo nel Corpo, cioè in noi, il suo stesso Spirito, operante soprattutto in quei segni di vita nuova che sono i Sacramenti. Per garantirne l’autenticità e l’efficacia, ha istituito l’ordine sacerdotale, segnato da un’intima associazione a Lui, buon Pastore che dà la vita per il gregge. Anche tu, don Peter, sei stato chiamato per questa missione: grazie di aver condiviso la tua esperienza con noi”. Il Pontefice ha osservato: “Così anche il santo popolo di Dio che è in Mongolia ha la pienezza dei doni spirituali. E in questa prospettiva vi invito a vedere nel vescovo non un manager, ma l’immagine viva di Cristo buon Pastore che raduna e guida il suo popolo; un discepolo colmato del carisma apostolico per edificare la vostra fraternità in Cristo e radicarla sempre più in questa nazione dalla nobile identità culturale”.
“Il fatto, poi, che il vostro vescovo sia cardinale vuol essere un’ulteriore espressione di vicinanza: voi tutti, lontani solo fisicamente, siete vicinissimi al cuore di Pietro; e tutta la Chiesa è vicina a voi, alla vostra comunità, che è veramente cattolica, cioè universale, e che attira la simpatia di tutti i fratelli e le sorelle sparsi nel mondo verso la Mongolia, in una grande comunione ecclesiale”.
“E sottolineo questa parola: comunione. La Chiesa non si comprende in base ad un criterio puramente funzionale – la Chiesa non è una ditta funzionale, che fa le cose – secondo cui il vescovo fa da moderatore delle diverse componenti, magari basandosi sul principio della maggioranza, ma in forza di un principio spirituale, per cui Gesù stesso si fa presente nella persona del vescovo per assicurare la comunione nel suo Corpo mistico. In altre parole, l’unità nella Chiesa non è questione di ordine e rispetto, e nemmeno una buona strategia per‘fare squadra’; è questione di fede e di amore al Signore, è fedeltà a Lui. Perciò è importante che tutte le componenti ecclesiali si compattino intorno al vescovo, che rappresenta Cristo vivo in mezzo al suo popolo, costruendo quella comunione sinodale che è già annuncio e che tanto aiuta a inculturare la fede”.