Pasqua a Norcia. Monsignor Boccardo: “resistere per risorgere”

“Nonostante la fatica, le delusioni e qualche volta le frustrazioni di questi due anni la Pasqua lancia un messaggio di speranza, di fiducia e anche di serenità che deve essere riconquistata perché le macerie – che ancora ci circondano – costituiscono quasi una tentazione a guardare in basso invece che in alto. Il Signore ci esorta a guardare in Alto, sempre e comunque”. È questo per l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo, il messaggio che viene dalla Resurrezione di Cristo. Sono spiragli di luce in una realtà in cui le ombre sembrano allungarsi su una ricostruzione che “tarda a realizzarsi” ma che “dipende anche dalla nostra buona volontà e dal nostro impegno”. Monsignor Boccardo parla della Pasqua imminente, la seconda per le popolazioni terremotate della Valnerina dopo la sequenza di terremoti che hanno sconvolto il Centro Italia dall’agosto del 2016 in poi, con le scosse drammatiche del 26 e 30 ottobre che non hanno fatto vittime ma causato migliaia di sfollati e danni inestimabili al patrimonio artistico dell’Appennino. Alle spalle dell’arcivescovo ciò che resta della basilica di san Benedetto, patrono della città. Una gabbia di ponteggi oggi protegge da ulteriori possibili crolli quella che unanimemente viene considerata l’icona del sisma.

Eccellenza, siamo vicini alla Pasqua. Ma prima della Resurrezione c’è un Calvario da salire, una Passione da vivere. A cosa corrisponde la passione in questa terra colpita dal sisma?

Per le zone della Valnerina, e in particolare per i tre comuni segnati dal sisma, Norcia, Preci e Cascia, la passione coincide con la lotta quotidiana per riprendere una vita sicura, dignitosa e, dunque, recuperare occupazione e ristabilire l’organizzazione sociale.

Passione, qui, vuol dire un lavoro che non si trova, un’impresa che tarda a ripartire, una casa che non si vede. Al di là delle macerie fatte di pietre, di muri crollati, il terremoto ha provocato anche tante ferite nelle relazioni sociali creando disgregazione. Molte persone sono partite, si sono allontanate. La passione oggi per queste zone consiste nel resistere per ritrovare una vita normale.

Anche la burocrazia è causa di passione…

Qualche giorno fa alcune persone mi dicevano che sta facendo più danni la burocrazia che il terremoto. Il sisma in pochi secondi distrugge ma poi in un modo e nell’altro finisce. La burocrazia invece si sviluppa nel tempo creando rabbia, delusione e frustrazione da parte di coloro che da troppo tempo aspettano risposte concrete.

Camminando per Norcia e dintorni non si può non notare che tutte le chiese sono ancora chiuse. Tutto fermo alle scosse del 2016…

In tutta Norcia, nella zona circostante, non c’è una sola chiesa agibile. Fortunatamente, grazie alla generosità di Caritas italiana, abbiamo potuto inaugurare tre centri di comunità, uno a Norcia, e due in zone limitrofe. Sono gli unici luoghi in cui la gente può celebrare la vita cristiana e di aggregazione, dove si trovano spazi sicuri per ritrovarsi e riprendere a tessere quella rete di relazioni personali minacciata dal terremoto. Questi luoghi ci ricordano la solidarietà e la condivisione che sono giunte alle nostre popolazioni in questi mesi. Forse è questo l’aspetto positivo del sisma: la gente della Valnerina non si è sentita sola. Questa grande gara di solidarietà morale e concreta che ha visto tanti attori in gioco, associazioni, singoli, gruppi, istituzioni oggi resta come patrimonio di umanità del popolo italiano.

C’è una storia che in questi anni l’ha particolarmente colpita e che ritiene esemplare?

È la storia di un nostro anziano di san Pellegrino, con alle spalle ben tre terremoti, che parlando con me un giorno, poco dopo il sisma di ottobre, mi disse queste parole: “Quando il Signore manda la prova, manda anche la forza per sopportarla”. Io credo che questo sia il grande messaggio che deve stare dentro questa storia del sisma. Il Signore non manda il terremoto per punire ma gli eventi della natura fanno il loro corso. Dentro queste situazioni di pena e di sofferenza la forza che Dio ci dona diventa capacità di affrontare un cammino arduo senza perdere la speranza.

Siamo in piazza san Benedetto, da qui si vede ciò che resta della basilica del santo. Una chiesa che attende, anch’essa, la Resurrezione, la ricostruzione. Sono macerie che, nonostante tutto, propagano ancora l’eco del messaggio di Benedetto: “Ora et labora” (prega e lavora). Che significato hanno queste parole nella Norcia di oggi?

Mi diceva un sacerdote di quasi 90 anni, ex parroco a Norcia durante il terremoto precedente, che Norcia si è ricostruita intorno all’altare. C’è stato un sussulto di vita cristiana, una ripresa anche di senso di appartenenza alla comunità ecclesiale e civile. Credo, per tutti questi motivi, che il messaggio di san Benedetto, “ora et labora”, non abbia perso per nulla la sua attualità e importanza. San Benedetto continua a essere presente a Norcia. Al di là dei muri della sua basilica che non ci sono più, con il suo insegnamento egli ci esorta a guardare in alto, a coltivare il nostro rapporto con Dio dal quale trarre una salda speranza e a guardare in basso per rimboccarci le maniche senza attendere che da fuori arrivino le soluzioni a tutti i problemi.

Qual è il suo augurio per questa Pasqua?

Il mio augurio è di gioia e di pace. Non sono sentimenti superficiali ma atteggiamenti interiori, quelli che permettono di custodire la forza di affrontare le avversità senza perderla. La gioia e la pace sono atteggiamenti del cuore ma soprattutto doni di Dio. L’augurio è che la Resurrezione del Signore porti a tutti e, in particolare, alle famiglie di qui che devono continuare la loro Via Crucis, la gioia e la pace del cuore per andare avanti con forza e speranza.