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Pedemonte reduce Dakar 2021
Il sogno di partecipare alla Dakar, Angelo Pedemonte lo ha finalmente realizzato. Il pilota genovese, ma residente a Cesena da una vita, è stato infatti il portacolori del team Rt73 e ha affrontato le numerose insidie del rally raid più famoso al mondo in sella alla moto Ktm in dotazione. La competizione è scattata col prologo in porogramma lo scorso 2 gennaio da Jeddah, in Arabia Saudita, ed è terminata dopo 12 tappe sempre nella stessa cittadina il 15 gennaio.
Che emozione è stata partecipare a questa celebre corsa?
“Ho desiderato tanto fare questa esperienza in quanto negli anni passati l’ho posticipata per problematiche personali. L’edizione del 2021 è stata interessante sotto il profilo dei percorsi, purtroppo si è rivelata piena di insidie e pericoli. Quest’anno la gara si è svolta in senso antiorario, non sono mancate parecchie trappole di pietra e tanti imprevisti lungo il percorso da affrontare. Gli organizzatori hanno tentato di smorzare l’intensità della gara cambiando repentinamente le superfici dei terreni ma è stato un effetto boomerang. Passare dalla terra, a sabbia e pietre ha creato incidenti e difficoltà, soprattutto nelle moto perché è la disciplina più esposta rispetto alle auto e camion”.
Come ci si prepara ad un’avventura simile?
“Ci vogliono parecchi mesi di duro lavoro. Nonostante avessi ricevuto consigli e avvertimenti da ex partecipanti, arrivare preparati è stato molto difficile. Causa Covid non ho fatto gare internazionali come in Marocco o Tunisia. Come team abbiamo disputato il Campionato Italiano Moto Rally, una gara in Sardegna, allenamenti su piste da cross locali e 6 mesi di preparazione atletica spalmata con 3 sedute a settimana. Io non sono giovanissimo e combatto anche con l’età (47, ndr) oltre che alle difficoltà della gara. Arrivare preparati alla Dakar senza averla mai vissuta non è facile, non nascondo che probabilmente la mia preparazione non era del tutto adeguata”.
I ritmi sono estenuanti.
“Non esistono tappe facili e difficili: la selettività è altissima. Tutti i giorni si percorrono 700-800km tra trasferimento e prova speciale con cronometro che corrispondono a 400-450km. Qui ci sono due soste per il rifornimento del carburante. In quei 15 minuti ci si riposa, mangia e i tecnici sistemano i giubbotti obbligatori con airbag che esplodono in caso di caduta. Fermarsi così poco in 7-8 ore di gara è insufficiente”.
Il buio è uno dei nemici più seri.
“Nei percorsi lunghi, sulle 17.20-17.30 tramonta il sole e correre senza vedere, soprattutto percorrendo le tracce profonde e sconnesse lasciate da auto e camion, è davvero problematico. Le difficoltà maggiori sono state gli orari notturni, con sveglia alle 4, il freddo intenso, derivato dalle altitudini dagli 800 ai 1200 metri con grandi escursioni al calar del sole, la convivenza con la polvere e il poco mangiare. Ci sono tanti gap che non si riescono a percepire finché non ci si imbatte in corsa”.
La spedizione in Arabia Saudita è stata possibile grazie al team Rt47.
“Sono un pilota privato ma ho cercato di avere i confort di un pilota ufficiale: ho predisposto un autocarro Mercedes 4×4 allestito come assistenza con officina e parzialmente camperizzato. A bordo c’era Simone Gilli, mio storico meccanico, e l’amico Marino Arrigoni, in veste di autista per tutto il percorso della gara. Il pilota Davide Cominardi ha condiviso il mio viaggio in gara ma purtroppo, nella prima tappa, si è ritirato per la rottura della clavicola”.
In sella al suo Ktm 450 Rally Factory ha così preso parte alle prime tre tappe, da Jeddah fino a Wadi Ad-Dawasir.
“Superate le verifiche preliminari e il prologo che ha determinato l’ordine di partenza, finalmente siamo partiti con la prima tappa. Ci sono stati problemi nell’affrontare 70km di superficie pietrosa: è un po’ come andare da Cesena a Bologna scalando una montagna. Sono terreni che si affrontano con moto più leggera e agile da Enduro. Noi invece abbiamo una Ktm da professionista ma con 30 litri di benzina 8in totale 170 chili di peso, ndr) la situazione è differente, così sono incappato in un paio di scivolate che mi hanno fatto testare l’airbag molto sensibile in dotazione su un giubbino speciale”.
Meglio è andata la seconda tappa da Bisha a Wadi Ad-Dawasir.
“Il clima si è fatto più desertico con tanta sabbia e siamo entrati nel clou della Dakar alternando tratti veloci a dune non altissime ma ‘tagliate’. In Arabia la peculiarità delle dune è che una volta scalate c’è da affrontare uno strapiombo molto impervio. Nonostante ciò ho preso un bel ritmo, la moto procedeva spedita e io stavo bene. Nei 300 chilometri di speciale cronometrata è andato tutto liscio”.
Nella terza frazione, all’anello di Wadi Ad-Dawasir si è però dovuto ritirare.
“Ero al chilometro 260 su 400 e stavo procedendo con un buon ritmo, non avvertivo troppa stanchezza, ero costante nel passo di gara ed ero riuscito a stare davanti agli altri italiani. Ho affrontato terreni discontinui, dopo essere uscito da un canyon mi si è aperto un tratto di sabbia soffice e non ho capito cosa sia successo se non che mi sono ritrovato con il casco nella sabbia. Forse ho preso una pietra nascosta e ciò ha fatto fare un backflip alla moto. Dall’impatto, che mi ha preso anche il ginocchio, si è rotto il cerchione della ruota anteriore e una piastra molto resistente. Sono stato soccorso da un pilota spagnolo, poi nel frattempo sono giunti i primi italiani. Volevo ripartire, a caldo il dolore non si sente, ma la moto era inutilizzabile. È arrivato l’elicottero di soccorso con il medico a bordo dopo 15 minuti dalla chiamata, mi hanno così portato al bivacco per ulteriori visite”.
La competizione l’ha potuta proseguire con la Dakar Expierence. Di cosa si stratta?
“Una volta che si chiede l’aiuto dei soccorsi in elicottero, si viene automaticamente eliminati dalla classifica a tempo. C’è però la possibilità, con il parere positivo dei medici, di continuare la sfida nella variante “Experience”. Il percorso è lo stesso ma non si rientra più nella graduatoria generale. Questa possibilità è unica dopodiché scatta il ritiro definitivo”.
Ristabilito dai fisioterapisti e con la moto riparata, lei ha ripreso la corsa nella tappa numero 6 (Al Qaisumah – Ha’il).
“Il trasferimento iniziale di 280km l’ho vissuto al buio e in un freddo disumano, con me avevo la giacca da frigo e guanti da sci. Nelle successive 8 ore ho affrontato 337 chilometri di dune, con l’arrivo finale raggiunto dopo il tramonto, negli ultimi 20 chilometri. Ho tenuto un buon passo ma a 300 metri dall’arrivo non ho evitato una buca creata dal passaggio dei mezzi pesanti e mi si è chiusa la ruota davanti. Cadendo ho peggiorato la mia situazione, già compromessa, alle costole e ho sentito molto dolore. Così mi sono ritirato definitivamente, non riuscivo più a respirare in maniera corretta e per affrontare queste gare occorre la massima lucidità e la miglior prestanza fisica, cose che non avevo più”.
Il prossimo anno ci riproverà?
“La voglia di tornare è la prima cosa che si pensa. Non sono un professionista e devo conciliare questo impegno con la mia famiglia e il lavoro. Non so se tornerò nel 2022 o 2023, nemmeno se ci riproverò in moto perché ho un altro progetto e mi piacerebbe cambiare mezzo. Le due ruote necessitano di una preparazione fisica e tecnica che oggi, per l’età che possiedo, non posso più permettermi. Quello che posso dire è che, l’obiettivo di terminare la Dakar, voglio portarlo a termine in futuro”.