Dal Mondo
Piano Mattei: le voci dei missionari in Africa. “Qui i problemi sono altri”
“La mia impressione sul Piano Mattei per l’Africa? A dir il vero io penso che siamo tutti, nel mondo, a caccia di energia, minerali e materiali nuovi e rari. L’Italia si sta affacciando forse un po’ in ritardo rispetto a Paesi che sfruttano le risorse africane da decenni. Probabilmente aveva bisogno di arrivarci con un approccio diverso e una ‘faccia più pulita’, ma l’obiettivo neanche troppo nascosto, a me pare evidente”. Questo è – secondo don Davide Marcheselli, sacerdote diocesano bolognese associato ai saveriani in missione in sud-Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo – uno degli obiettivi del Piano Mattei per l’Africa, presentato il 29 gennaio scorso a Roma, durante il summit Italia-Africa.
Il Piano – di cui si è discusso nei giorni scorsi in Senato tra il governo italiano, le istituzioni Ue e numerosi leader africani – prevede una maggiore collaborazione tra Italia e Africa, con il supporto “esterno” dell’Unione europea, in particolare in cinque ambiti: istruzione e formazione; agricoltura; salute; energia; acqua.
Don Marcheselli obietta “la fumosità del documento” e il fatto che non si faccia nessun accenno, in termini critici, al passato coloniale italiano. “Anche se l’Italia dice di avere una storia coloniale relativamente gentile, sappiamo che questa storia è estremamente negativa con dei passati tragici – ricorda –. Inoltre, il nostro Paese ha sempre collaborato con un Occidente che in Africa non ha buona fama”.
Non torna, poi, a don Davide il fatto che missionari, cooperanti e società civile africana non siano stati coinvolti nell’iniziativa italiana.“Al summit di Roma ha preso parte l’altro Congo, il Congo Brazaville, non la Repubblica Democratica del Congo, dove io vivo, ma in ogni caso, davvero sono stupito del fatto che nulla di questo Piano Mattei, nel corso dei mesi, sia giunto alle nostre orecchie di missionari e diocesi in Africa”.
E aggiunge: “Se se ne è parlato probabilmente lo avranno fatto a livelli alti di governo, o di ambasciate, però nessuno ha mai preso contatto con noi, con la popolazione locale o la società civile oppure con i missionari”.
Un altro missionario stavolta in Kenya, fra Ettore Marangi, francescano, da Nairobi dice: “Per ora a me pare una grande operazione di propaganda, perché i problemi cui vuole far fronte non sono prettamente africani, ma interessano principalmente l’Europa e l’Italia nello specifico. Ci si preoccupa di frenare l’immigrazione verso l’Italia e di assicurarsi l’approvvigionamento di gas ed energia”.
Fra Ettore ricorda che “in Kenya l’Eni investe nei biocarburanti: è etico questo in un contesto in cui la gente non può mangiare?”. Nello slum di Nairobi nel quale fra Ettore vive e opera, le case sono bidonville fatte di lamiera e terra e la povertà raggiunge livelli preoccupanti. Il Paese avrebbe bisogno di grandi investimenti in spesa pubblica, cosa che i fondi italiani, che per ora ammontano a 5 miliardi di euro, non possono garantire.
Inoltre, sia il francescano sia don Marcheselli fanno notare la presenza al vertice di Roma di leader e capi di governo non esattamente democratici: “Al summit c’era il presidente dell’Eritrea, Afewerki, che sappiamo essere un dittatore spietato. Ricordiamo che si tratta di una ex colonia italiana e che l’Italia ha interessi lì come in Somalia”, dice Marangi.
Era poi presente il presidente tunisino Kais Saied che ha affrontato a suo modo l’emergenza migranti in Tunisia. L’approccio, secondo i due missionari, avrebbe bisogno di una “visione di collaborazione, coinvolgimento e democrazia auspicabili”.