Pinocchio antico e nuovo. La recensione dello spettacolo di Antonio Latella in scena al teatro Bonci fino al 14 gennaio

Pinocchio antico e nuovo

Il romanzo

Non c’è che dire: poche opere come Pinocchio rappresentano un “classico” moderno della cultura italiana, tale da essere noto in qualsiasi Paese al mondo. La storia che alla fine del XIX secolo Carlo Lorenzini, in arte Collodi, scrisse a puntate aveva tutte le qualità del capolavoro. La fiaba, innanzi tutto, un genere da sempre in grado di affascinare lettori di ogni età; il personaggio principale, un burattino che è anche un po’ umano; anzi, già umanissimo fin dal suo nascere, nella sua curiosità, nella sua irrefrenabile vivacità, nel suo essere sempre pronto a nuove avventure. Chi è davvero Pinocchio? È un personaggio positivo? Oppure negativo? La sua trasformazione finale in bambino è un trionfo o una sconfitta? È un segno anche dell’estrema forza narrativa di un’opera il fatto che possa essere interpretata in modi opposti e mantenere in sé la sua validità. Pinocchio può essere interpretato come un testo cattolico (e così lo vide il cardinale Biffi nel suo Contro Maestro Ciliegia. Commento teologico a «Le avventure di Pinocchio»), ma anche come una storia di iniziazione massonica. Resta, ad ogni modo, la validità intrinseca della storia, dei personaggi, delle vicende. Tra le altre cose, va segnalato che la caratteristica più nota di Pinocchio, il fatto, cioè che il suo naso si allunga quando dice una bugia è un’assoluta invenzione di Collodi: nei vari repertori di argomenti legati alle fiabe non c’è traccia di qualcosa di simile. Perché proprio il naso? Si possono consultare librerie intere per analizzare questo e altri spunti del testo, ma una risposta univoca non sembra a portata di mano. Una introduzione utile per ricordare che, da quel remoto 1881 in cui ha mosso i primi passi, il nostro burattino ha fatto tanta strada e non sembra avere voglia di fermarsi. Ogni adattamento, per forza di cose, è una nuova interpretazione, è un nuovo aspetto di questa storia tante volte narrata e sempre così ricca da trasmetterci qualcosa di importante ogni volta. Lo stesso accade per lo spettacolo in scena al “Bonci” di Cesena da giovedì 11 a domenica 14 gennaio.

Lo spettacolo

Venendo allo spettacolo in scena al “Bonci”, si può dire senza dubbio che la firma, di Antonio Latella, è perfettamente riconoscibile. Il lavoro portato avanti in questi anni dal regista di Castellammare di Stabia punta molto sulla emissione sonora dei suoi attori e su una gestualità che è molto lontana da ogni forma di realismo, il realismo che viene deriso proprio in questo spettacolo in un momento di grande intensità emotiva da parte di Massimiliano Speziani che in quel momento dà vita a Geppetto (ma anche agli altri “padri” del romanzo). Dove possiamo trovare un’innovazione positiva è nell’unione di questa volontà espressiva in corpo e suoni con una scenografia che più essenziale non si può: antichi strumenti teatrali, per realizzare tuoni, fulmini, vento. Un teatro “povero”, con tanto di visibilissime barbe finte, senza cercare in alcun modo di gareggiare con gli altri medium espressivi. Il teatro è parola, è gesto, e tutto ciò che a questi due elementi viene collegato non può che essere al servizio di una voce apparentemente innaturale, in realtà strumento musicale per lo scopo che il regista e gli interpreti si prefissano. In tutto ciò, non può che risultare straniante il Pinocchio di Christian La Rosa, perché lontanissimo da ogni vulgata sul burattino. Eppure questa lontananza funziona, funziona questo burattino che s’interroga sui grandi perché della vita, partendo dalle caratteristiche più scatologiche per giungere a un fuoco d’artificio di “parolacce” che liberano Pinocchio da ogni forma di moralismo benpensante. Non è un mondo borghese, quello di Pinocchio: non lo è, in fondo, nel romanzo, che guarda soprattutto ai disperati, ai miserabili, e non può esserlo in un dramma che si ricollega non solo alle esperienze di ricerca della modernità (per l’uso della voce il riferimento non può che essere Carmelo Bene), ma anche alla sacralità del teatro classico: quello cui assistiamo è un “mistero” come potevamo ammirare sui sagrati delle antiche cattedrali, spostato in un mondo moderno che della frammentazione e della perdita d’identità ha, paradossalmente, fatto la sua identità. È stata apprezzata dai critici la scelta di far cadere sul palcoscenico per quasi tutto lo spettacolo la segatura, come una nevicata, ed a noi è parsa invece una delle idee più deboli, soprattutto perché protratta così a lungo perde la forza e l’impatto dei primi minuti, che erano invece di una straordinaria efficacia: mentre Pinocchio prende vita una miracolosa nevicata di trucioli ricopre il palcoscenico. Bellissimo. Lo stesso avviene per più di un’ora, e l’effetto si stempera. Allo stesso modo ci è sembrato che la durata complessiva dello spettacolo (circa tre ore) fosse un po’ eccessiva. Non è detto che tutti gli episodi di Collodi debbano per forza essere riproposti sul palcoscenico, perché un lasso di tempo così vasto può incidere sull’efficacia e sulla suggestione dell’insieme. La prima sera, se anche il teatro era ben lungi dall’essere esaurito, era presente un pubblico molto entusiasta, che ha salutato con reiterati applausi gli interpreti. Lo spettacolo sarà in replica fino a domenica 14. Sabato 13 gennaio gli studenti della classe IIIF del Liceo linguistico “Alpi” leggeranno l’ultima parte del romanzo, nel foyer del “Bonci” (ore 17,30; ingresso libero).