Dal Mondo
Premio Nobel per la pace all’attivista iraniana Narges Mohammadi
“Siamo felici. Questo Premio Nobel riconosce la lotta del popolo iraniano per la libertà e la democrazia in Iran e riconosce specialmente la lotta delle donne iraniane”. Così Shahrzad Sholeh, presidente dell’Associazione delle donne democratiche iraniane in Italia (Addi), commenta a caldo l’assegnazione questa mattina, da parte del Comitato per il Nobel, del Premio per la pace all’attivista iraniana Narges Mohammadi, arrestata 13 volte, condannata cinque volte e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate.
Mohammadi è ancora detenuta nel famigerato carcere di Evin e il Comitato ha espresso l’auspicio che l’Iran rilasci l’attivista. “Sono 40 anni che le donne stanno lottando contro questo regime”, dice Sholeh. “Per questo chiediamo alla comunità internazionale di intervenire alla base di questo riconoscimento. Chiediamo di verificare la situazione in cui versano tutti i prigionieri politici e le migliaia di ragazze e ragazzi arrestati durante le manifestazioni. Noi abbiamo una certezza, questo regime sarà rovesciato dalle donne”.
Il pensiero della presidente dell’Addi va alla ragazza iraniana, Armita Geravand, che è salita senza indossare il velo su un treno metropolitano ed è rimasta vittima di un “misterioso” incidente a Teheran. “È stata picchiata perché non portava il velo. Ora si trova in ospedale in gravi condizioni”. L’incidente è avvenuto a circa un anno dalla morte di Mahsa Amini ed è solo l’ultimo atto di una serie di aggressioni e violenze contro i giovani che scendono in piazza e protestano. “Sono 40 anni che assistiamo a una violazione continua dei diritti umani”, sottolinea Sholeh. “Questo premio è sicuramente importante ma quello che chiediamo ora alla comunità internazionale è di agire di conseguenza per i tantissimi prigionieri politici, donne e uomini, che sono ancora in carcere”.
“Il riconoscimento all’attivista iraniana Narges Mohammadi del Nobel per la pace premia la tenacia delle donne iraniane: non bisogna mollare, mai”, il commento dell’iraniana Farian Sabahi, ricercatrice senior in Storia contemporanea presso l’Università dell’Insubria e autrice di “Noi donne di Teheran” (Jouvence 2022).
“I premi sono importanti per accendere i riflettori”, prosegue Sabahi. “Purtroppo, però, non bastano. E soprattutto, non servono a mettere una pezza ai tanti errori commessi dall’Europa e dagli Stati Uniti. Non è da sottovalutare il fatto che gli iraniani che vivono in Iran sono chiusi in un Paese che è una sorta di gabbia: uscire non è facile, anche perché i Paesi europei non concedono facilmente i visti. I figli della leadership iraniana hanno invece – paradossalmente – maggior libertà di movimento: molti di loro studiano negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna. E, da questi Paesi, gestiscono il patrimonio di famiglia depositato in quello stesso Occidente che sanziona l’Iran. Una situazione assurda”.