Dal Mondo
Prende forma una nuova politica economica europea
“Hello, everyone. We did it. Europe is strong. Europe is united. Nous l’avons fait: l’Europe est solide, l’Europe est robuste et surtout l’Europe elle est rassemblée”. Si sfrega gli occhi, aggiusta la giacca e poi comincia a parlare, Charles Michel, mentre a Bruxelles sta sorgendo il sole. Dopo quattro giorni di trattative spigolose, a tratti disperate, all’alba di martedì 21 luglio il presidente del Consiglio europeo è in grado di dire “ce l’abbiamo fatta, l’Europa è solida e unita”.
Decisioni e numeri. I capi di Stato e di governo, in conclave nel Palazzo Europa da venerdì scorso, hanno definito il Quadro finanziario pluriennale (ovvero il bilancio Ue per il periodo 2021-2027, che adesso necessita del via libera dell’Europarlamento) pari a 1.074 miliardi, e il Recovery Plan, ovvero il fondo da 750 miliardi per rispondere alla crisi economica generata dalla pandemia Covid-19. Sono previsti 390 miliardi in sussidi a fondo perduto e 360 di prestiti a condizioni contenute, reperiti sui mercati mediante i bond, garantiti dal Qfp. Il controllo sulla spesa è affidato alla Commissione Ue; viene inoltre introdotto il “freno d’emergenza” che permette a uno Stato di far verificare all’Ue che i progetti nazionali stiano procedendo secondo quanto pattuito e che i fondi europei non vengano sperperati. Nel complesso l’Ue intraprende con decisione la strada delle “risorse proprie”, che in parte la sganciano dai trasferimenti nazionali e le consente di avviare un’azione redistributiva. Un passo da gigante nella storia comunitaria.
“Bisogna correre”. Per le “Conclusioni”, documento finale e ufficiale del summit, sono occorse 69 pagine nella versione inglese. Il più soddisfatto dell’esito appare il premier italiano Giuseppe Conte: “con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l’Italia con forza e cambiare volto al Paese. Ora dobbiamo correre”. La cifra che spetterebbe all’Italia – la nazione maggiormente colpita dall’epidemia sul fronte sanitario, economico e sociale – è la più elevata perché i fondi saranno ripartiti secondo un rinnovato criterio di solidarietà. “Siamo soddisfatti: abbiamo approvato – aggiunge Conte in conferenza stampa – un piano di rilancio ambizioso e adeguato alla crisi che stiamo vivendo. Abbiamo conseguito questo risultato tutelando la dignità del nostro Paese e l’autonomia delle istituzioni comunitarie”. Poi un messaggio politico interno: “il Recovery Fund è la priorità e spero possa contribuire a distrarre l’attenzione morbosa attorno al Mes” (il fondo salva-Stati, osteggiato da una parte della maggioranza che sostiene il governo Conte).
Il ruolo dei “frugali”. Ma il commento più azzeccato lo si deve al commissario Ue all’economia, Paolo Gentiloni: “l’Europa è più forte delle proprie divisioni”. Perché le divisioni sono emerse durante i negoziati e certamente non vanno in soffitta all’indomani del summit. Ci sono infatti Paesi virtuosi sul piano economico e dei conti pubblici – i cosiddetti “frugali”, capitanati dall’Olanda – che reclamano rigore e riforme, puntando l’indice verso i mediterranei e in qualche caso verso l’est. Onestamente occorre riconoscere che di riforme e di bilancio in ordine c’è bisogno, specialmente in Italia. Ciò non toglie che questo sia il momento della solidarietà, di far ripartire tutta l’economia europea, a vantaggio di tutti. È quello che, a fatica, si è dovuto far comprendere al premier olandese Mark Rutte. Il quale ha infine ceduto, ottenendo in contraccambio un generoso “sconto” sul bilancio Ue. È il “rebate”, che andrà a vantaggio anche di Austria, Danimarca e Svezia.
Nuova impostazione. Per convincere i Paesi Bassi, appoggiati da Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia, si è comunque imposta la credibilità e il peso politico-economico della Germania della cancelliera Angela Merkel e la voce della Francia del presidente Emmanuel Macron. Oltremodo convincente, e determinato, è apparso il presidente del Consiglio italiano Conte, appoggiato dall’omologo spagnolo Pedro Sanchez. Ne esce un’Europa “utile”, probabilmente necessaria, anche se attraversata – se ne avuta ulteriore conferma – da egoismi inconcludenti e nazionalismi miopi. Soprattutto sembra emergere una inedita impostazione della politica economica, secondo la quale il mercato unico e l’euro, elementi condivisi, devono essere tutelati per un vantaggio reciproco all’interno dell’Ue e per un maggior peso europeo nell’economia globale.
Democrazia e stato di diritto. Occorre poi sottolineare il fatto che la distribuzione e utilizzo dei fondi saranno vincolati al rispetto della democrazia e dello stato di diritto, che sono alla base della costruzione europea. Su questo punto si è scagliato il premier ungherese Viktor Orban. Ma si tratta di un passaggio cruciale per riaffermare che l’Ue non è solo un edificio economico, ma – come si dice – una “comunità di valori”.
I tempi della politica. Si è peraltro sottolineata la lunghezza del vertice. Ciò conferma solamente che la politica ha bisogno di tempo e di pazienza: per discutere tesi diverse e talvolta opposte, per imbastire un compromesso al rialzo, per non cedere alla logica del “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Giungendo, infine, a un risultato che riesca a tenere insieme la logica del buongoverno con quella delle riforme. Il Consiglio europeo appena concluso passerà alla storia sia per il varo del Recovery Fund (Next Generation Eu), sia per il piglio con il quale l’olandese Rutte ha tenuto testa ai “grandi”. Se ne deduce che ogni Paese ha pari dignità e diritto di parola, e questo è un caposaldo dell’Unione europea. Ma vale anche la necessità di superare il diritto di veto, secondo il quale uno Stato o un blocco di Paesi (in questo caso con nemmeno un decimo della popolazione comunitaria) riesca a intralciare decisioni di politica economica o di politica estera. La Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe decollare in autunno, dovrà nuovamente mettere in agenda questa antistorica incongruenza.
Una nuova occasione. Ora, spenti i riflettori sul vertice, si tratta di tornare ciascuno a casa propria per far diventare questo accordo – utile, anche se imperfetto – un fatto concreto, sviluppando una serie di interventi a favore di imprese, mercati, lavoratori, famiglie, puntando fra l’altro su innovazione, rivoluzione digitale ed economia sostenibile. È il tempo del fare, dello spendere senza sprecare. Ancora una volta l’Italia ha un’occasione da non perdere.